2021-02-13
Il Cts diede disco verde alle mascherine fallate. Altre Procure indagano sulle forniture in Friuli
Il Comitato tecnico scientifico approvò i dispositivi del produttore cinese incriminato. Dopo Gorizia, anche Udine e Trieste puntano i fari sul lotto risultato non a norma.inchieste su prodotti intermediati o ritirati. Per quelle ritirate dalle Aziende sanitarie del Friuli Venezia Giulia, «la vicenda viene seguita dalle Procure di Trieste, Gorizia e Udine, che hanno aperto relativi fascicoli», batte l'Ansa. E se a Trieste il procuratore Antonio De Nicolo ha confermato l'esistenza di più fascicoli aperti in diverse fasi dell'emergenza «su segnalazione di istituzioni che hanno ricevuto mascherine indicate come non regolari», a Udine il capo della Procura Claudia Danelon, contattato dalla Verità è apparso poco abituato a gestire le richieste della stampa. Si è arroccato: «Non so nulla di quel fascicolo. Non ho ancora visto, nessuno mi ha riferito e devo prima verificare. Saluti». Il procuratore di Gorizia Massimiliano Lia, invece, ieri non ha risposto a chiamate e messaggi. Attorno alla questione, insomma, sembra esserci molta riservatezza. Che non appartiene invece alla politica. Sia nei consigli regionali, sia in parlamento, dove il deputato di Fratelli d'Italia Andrea Delmastro, per esempio, ha depositato un'interpellanza alla presidenza del Consiglio dei ministri nella quale si chiede «quanti dei pezzi di Kn95 prodotti dalla Wenzhou huasai sono finiti negli ospedali e nelle Rsa italiane e, soprattutto, se il governo intenda avviare opportune ispezioni per verificare gli standard qualitativi delle mascherine cinesi acquistate dal commissario Arcuri». Dopo aver appreso la notizia che il rimanente della fornitura da 60.000 mascherine Kn95 prodotte dalla Wenzhou huasai e consegnate alla Regione Friuli Venezia Giulia è stata ritirata dall'Arcs (l'Azienda regionale di coordinamento per la salute), nelle altre regioni c'è chi comincia a chiedersi se quel materiale, che ha allarmato gli operatori sanitari friulani per la dicitura «medical use prohibited» stampata sulle confezioni, sia in mano ad altri camici bianchi. È il caso dell'Emilia Romagna, dove la consigliera di Forza Italia Valentina Castaldini, in un'interrogazione chiede all'esecutivo regionale se questo tipo di Dpi sia stato distribuito anche lì. E si domanda se siano stati predisposti «ritiri di questi prodotti». La questione insomma si sta diffondendo a macchia d'olio, forse anche per il clamoroso nuovo capitolo della vicenda scoperto dalla Verità. L'11 maggio il Cts, che supporta il governo nella gestione della pandemia e ratifica i pareri dell'Inail relativi alle mascherine prive di marchio e certificazione CE, ha dato il via libera alle Ffp2/Kn95 prodotte la Wenzhou xilian electrical technology, parte della maxi fornitura da 801 milioni di pezzi. Dal riepilogo dei voli agli atti dell'inchiesta della Procura di Roma sugli intermediari Mario Benotti, Andrea Tommasi e Jorge Solis, di quelle mascherine risultano arrivate in Italia 42,2 milioni di pezzi, anche questi destinati a ospedali e Rsa. Proprio il tipo di commessa su cui ieri ha lanciato l'allarme il laboratorio torinese Fonderia Mestieri, che bollando come non corrispondenti agli standard due delle mascherine distribuite in Friuli Venezia Giulia ha fatto scoppiare il caso. E ieri il laboratorio qualificato dall'ente accreditato italiano Eurofins product testing Italy ha spiegato che nelle maxi partite c'è il rischio che ci siano prodotti diversi rispetto alle attese. Il titolare ha infatti raccontato che «in altri casi di maschere importate in grossi quantitativi, dopo aver visto grosse differenze di comportamento tra una maschera e l'altra le abbiamo aperte e abbiamo trovato all'interno prodotti diversi. In pratica, quello che era arrivato in Italia come unico prodotto era in realtà un groupage di molti produttori sotto lo stesso marchio». La qualità? «Almeno dieci volte peggiore rispetto a qanto previsto dalla norma». In un documento dell'Inail datato 23 giugno 2020 e indirizzato direttamente alla Wenzhou xilian viene sancita la bocciatura delle mascherine dello stesso tipo di quelle validate un mese e mezzo prima dal Cts, proprio sulla base di certificati approvati dall'Inail. Nel documento, che si basa su certificazioni cinesi trasmesse all'istituto via Pec il 2 e l'11 maggio, l'Inail dichiara «la non rispondenza alle norme vigenti in materia di dispositivi di protezione individuale» di di Kn95 prodotte dalla Wenzhou xilian .Per cercare di capire come sia possibile che le certificazioni cinesi di mascherine dello stesso tipo e prodotte dallo stesso fabbricante vengano approvate e bocciate proprio negli stessi giorni abbiamo contattato il legale che ha fatto da intermediario tra la fabbrica cinese e l'Inail. E l'avvocato Massimiliano Fioravanti ha spiegato: «In quel momento era stato varato un decreto legge del marzo 2020 che attribuiva all'Inail lo smistamento delle pratiche di fornitori che si proponevano di vendere dispositivi di protezione. Il percorso che dovevano fare le richieste era trasmettere il carteggio del loro prodotto […] contenente le schede tecniche e le certificazioni. Il mio incarico era quello di fascicolare i documenti e inoltrarli per via telematica all'Inail, cosa che ho fatto per 32 o 34 di queste società, che sono tutte parte del gruppo Whenzou». L'avvocato ha chiuso i rapporti prima dell'estate, dopo aver trasmesso gli esiti, «tutti negativi», ammette. Poi spiega che «nella la maggior parte dei casi, dopo aver esaminato il fascicolo, l'Inail ha fatto dei rilievi tecnici a seguito dei quali non sono state ammesse autorizzazioni». Ma a chi volevano proporre quel materiale i cinesi? L'idea, secondo l'avvocato, era probabilmente quella di fare una proposta di fornitura alla Protezione civile ma anche a privati. Il suo incarico, però, non riguardava le finalità della fornitura, ma solo le richieste all'Inail. Come è andata a finire? «Non so se in seguito i certificati siano stati sanati», afferma Fioravanti, che aggiunge: «Io inviai, come richiesto, una lettera di risposta al direttore del dipartimento Inail e riferii ai clienti che dopo il rigetto si poteva ricorrere al Tar, ma non mi chiesero altro e la cosa finì così».