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2021-05-17
I martiri di cui nessuno parla. Ogni giorno uccisi 13 cristiani
Se si toglie all'uomo la possibilità di cercare la verità fino alla radice, quindi fino a misurarsi con Dio, dell'uomo resta ben poco. A meno che non si scambi per umano uno dei molti surrogati oggi alla moda, tutti prodotti però che offrono poche garanzie anche per una buona convivenza civile. L'uomo che non sente il dovere di porsi le domande ultime resta povero, rattrappito su sé stesso. Per questo la libertà religiosa, rettamente intesa, cioè rivolta alla ricerca del Dio vero e non una marmellata delle religioni, è da ritenersi fonte primaria dei cosiddetti diritti umani. Ostacolare questa libertà significa uccidere, non solo fisicamente. Eppure oggi la persecuzione, e specialmente quella a danno dei cristiani, è un dato di fatto. Una realtà che la pandemia ha addirittura amplificato, perché oltre ad aver aggravato le vulnerabilità sociali, culturali ed economiche, ha legittimato l'incremento di sorveglianza e delle restrizioni di governi totalitari o autoritari.
Nell'ultimo rapporto sulla libertà religiosa nel mondo della fondazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che soffre, si registra che essa «è violata in quasi un terzo dei Paesi del mondo». Viene individuata una «zona rossa» di 26 Paesi dove le persecuzioni sono considerate «estreme», quasi la metà di questi si trova in Africa dove cresce l'espansione di reti jihadiste transnazionali che si diffondono lungo l'equatore e aspirano a essere «califfati» transcontinentali. In Asia, invece, la persecuzione dei gruppi religiosi è principalmente opera di dittature marxiste, come quelle della Corea del Nord e della Cina; in India il rischio arriva soprattutto da movimenti di nazionalismo etno religioso.
Poi ci sono 36 Paesi in zona «arancione» dove la persecuzione è meno estrema, ma la libertà religiosa di fatto non c'è. In questa fascia sono annoverati Stati del Medio Oriente, dell'Asia meridionale e centrale, nonché le ex Repubbliche sovietiche e le nazioni limitrofe, Paesi che hanno approvato leggi volte a impedire l'espansione di quelle che considerano religioni straniere e a vietare «l'islam non tradizionale». Poi c'è la persecuzione «educata», potremmo dire da zona «gialla», che nei Paesi occidentali si fonda soprattutto sull'ascesa di nuovi «diritti», nuove norme culturali create in base a valori in evoluzione, che consegnano le religioni «all'oscurità della coscienza di ciascuno, o alla marginalità del recinto chiuso delle chiese, delle sinagoghe e delle moschee». La World watch list 2021 di Open doors / Porte aperte ha registrato, nel periodo ottobre 2019-settembre 2020, ben 13 cristiani morti ammazzati nel mondo ogni giorno, a cui quotidianamente si devono aggiungere 12 chiese ed edifici connessi attaccati o chiusi, 11 cristiani arrestati senza processo e 4 rapiti.
La politica risponde a singhiozzo davanti a questa epidemia liberticida e anticristiana. «Dalla creazione di un'Alleanza internazionale per la libertà religiosa alla firma di ordini esecutivi che promuovono la libertà religiosa e la libertà di coscienza, l'amministrazione Trump», ha scritto il Wall Street journal, «ha elevato questi problemi in patria e all'estero come nessun altro. Joe Biden farebbe bene a costruire sull'eredità del suo predecessore». Ma il nuovo presidente, nonostante il recente riconoscimento del «genocidio» armeno, finora sembra orientato ad altre priorità. Anzi i cattolici americani, compresi i vescovi, discutono sulla figura del secondo presidente «cattolico» dopo John Kennedy, proprio per questioni etiche che rimandano all'obiezione di coscienza e quindi alla libertà religiosa.
In Italia recentemente è stata approvata in Commissione esteri alla Camera la risoluzione presentata da Andrea Delmastro Delle Vedove, capogruppo di Fdi, che prevede tra i criteri da valutare per la concessione dei fondi italiani per la cooperazione allo sviluppo anche il rispetto del diritto a professare liberamente la propria fede. Ma anche quando sono validi, questi restano spesso episodi isolati, segno che non si tratta di una vera priorità. La Commissione Ue ha impiegato un anno e mezzo dall'insediamento per nominare l'inviato speciale per la promozione e la protezione della libertà di religione o di credo fuori dell'Ue: il ritardo, per quanto motivato dalla pandemia, mostra lo scarso rilievo politico dato alla materia. Dopo la scadenza del precedente inviato speciale, lo slovacco Ján Figel, la Commissione aveva addirittura smantellato l'ufficio, per poi ripristinarlo nel luglio 2020 dopo le vibranti proteste di diverse associazioni, ma la nomina del nuovo inviato, il cipriota Christos Stylianides, è arrivata solo il 5 maggio scorso. E si spera che gli siano forniti più mezzi rispetto a quelli decisamente scarni assegnati a Figel nei suoi 4 anni di valido servizio.
Il tema della libertà religiosa si può anche declinare come «cristianofobia», come evidenziano i ripetuti atti vandalici nei confronti di chiese (anche roghi, come sappiamo) che avvengono in Francia con periodicità costante. Secondo il ministero dell'Interno, nel 2018 sono stati censiti 1.063 «fatti anticristiani» e nel 2017 erano stati 1.038. Eppure, nulla accade nella vecchia Europa che ha rifiutato le sue radici cristiane, nessun «Christian lives matter», nessuna voce si alza dalle articolesse che contano. Anzi, come disse il professor Henry Jenkins, si conferma che «il nuovo anticattolicesimo rimane l'unico pregiudizio accettabile».
«Un figlio ucciso sotto i miei occhi per obbligarmi ad adorare Allah»
Se l'inferno esiste, non dev'essere molto diverso dall'esperienza toccata a Rebecca Bitrus. Sì, perché questa donna ha sperimentato l'esperienza di un rapimento, con tanto di sfruttamento e abusi sessuali, per mano nientemeno che degli uomini di Boko Haram, l'organizzazione terroristica jihadista diffusa nel nord della Nigeria, nota anche come Gruppo della gente della sunna per la propaganda religiosa e il jihad, dal 2015 alleatasi con lo Stato islamico.
La Bitrus, sequestrata quando aveva solo 28 anni, ha vissuto un calvario lungo due anni. Tutto ebbe inizio il 28 agosto 2014, quando la giovane donna - appartenente alla comunità Dogon Ghukwu Kangarwan Bagi, situata al Nord dello Stato nigeriano del Borno, al confine tra Ciad e Niger - fu testimone dell'arrivo del terroristi. Al momento dell'attacco, aveva provato a fuggire con il marito e i figli, Zacarías e Jonatan. Il marito è però riuscito a scappare, lei no.
«Mi hanno trasformato in una schiava», ricorda la Bitrus ripensando a quel durissimo periodo, «ho lavorato per loro, ho cucinato, ho pulito e lavato i vestiti. Dopo un anno, mi hanno chiesto di diventare musulmana, ma non volevo rinunciare alla mia fede. Credo in Gesù e qualunque cosa mi facciano non cambierò la mia opinione». Inutile dire che, per un simile rifiuto, la donna poteva essere giustiziata da un momento all'altro. In effetti, spazientiti per l'attaccamento alla fede della donna, i terroristi, dopo circa un anno, avevano preso provvedimenti.
Così la Bitrus, a un certo punto, è stata rinchiusa una gabbia sottoterra per tre giorni, senza cibo né acqua. Siccome ancora non mollava, gli uomini di Boko Haram hanno inflitto alla donna il più atroce dolore che può vivere una madre: hanno preso Jonatan, il figlio di poco più di un anno, e lo hanno gettato nel fiume, dov'è annegato quasi immediatamente. Alla fine, la cristiana è riuscita a fuggire. Ha camminato per quasi un mese, mangiando erba. Tuttora il suo corpo porta i segni di quell'incredibile e terrificante esperienza.
A distanza di anni, e nonostante l'immenso dolore vissuto, Rebecca Bitrus ha deciso di condividere la sua esperienza, mettendo in luce come essa sia una prova, più che del male degli uomini, della grandezza del Signore: «Voglio raccontare la mia storia, la fede mi ha aiutato a sopravvivere e voglio dire a tutti che l'unica cosa che ci salva è Dio». Parole che lasciano senza fiato, per la forza e l'attaccamento alla vita di cui sono l'esempio.
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Nel mondo ogni giorno 13 morti, soprattutto nei regimi comunisti e islamici. Donald Trump aveva denunciato le violenze mentre Joe Biden si defila. E l'Europa, disconosciute le proprie radici, adesso tace.L'odissea di Rebecca Bitrus rapita, abusata e ridotta in schiavitù nel Nord della Nigeria dai terroristi di Boko Haram: «Chiusa tre giorni in una gabbia sotto terra senza cibo, sopravvissuta grazie alla fede».Lo speciale contiene due articoli.Se si toglie all'uomo la possibilità di cercare la verità fino alla radice, quindi fino a misurarsi con Dio, dell'uomo resta ben poco. A meno che non si scambi per umano uno dei molti surrogati oggi alla moda, tutti prodotti però che offrono poche garanzie anche per una buona convivenza civile. L'uomo che non sente il dovere di porsi le domande ultime resta povero, rattrappito su sé stesso. Per questo la libertà religiosa, rettamente intesa, cioè rivolta alla ricerca del Dio vero e non una marmellata delle religioni, è da ritenersi fonte primaria dei cosiddetti diritti umani. Ostacolare questa libertà significa uccidere, non solo fisicamente. Eppure oggi la persecuzione, e specialmente quella a danno dei cristiani, è un dato di fatto. Una realtà che la pandemia ha addirittura amplificato, perché oltre ad aver aggravato le vulnerabilità sociali, culturali ed economiche, ha legittimato l'incremento di sorveglianza e delle restrizioni di governi totalitari o autoritari.Nell'ultimo rapporto sulla libertà religiosa nel mondo della fondazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che soffre, si registra che essa «è violata in quasi un terzo dei Paesi del mondo». Viene individuata una «zona rossa» di 26 Paesi dove le persecuzioni sono considerate «estreme», quasi la metà di questi si trova in Africa dove cresce l'espansione di reti jihadiste transnazionali che si diffondono lungo l'equatore e aspirano a essere «califfati» transcontinentali. In Asia, invece, la persecuzione dei gruppi religiosi è principalmente opera di dittature marxiste, come quelle della Corea del Nord e della Cina; in India il rischio arriva soprattutto da movimenti di nazionalismo etno religioso. Poi ci sono 36 Paesi in zona «arancione» dove la persecuzione è meno estrema, ma la libertà religiosa di fatto non c'è. In questa fascia sono annoverati Stati del Medio Oriente, dell'Asia meridionale e centrale, nonché le ex Repubbliche sovietiche e le nazioni limitrofe, Paesi che hanno approvato leggi volte a impedire l'espansione di quelle che considerano religioni straniere e a vietare «l'islam non tradizionale». Poi c'è la persecuzione «educata», potremmo dire da zona «gialla», che nei Paesi occidentali si fonda soprattutto sull'ascesa di nuovi «diritti», nuove norme culturali create in base a valori in evoluzione, che consegnano le religioni «all'oscurità della coscienza di ciascuno, o alla marginalità del recinto chiuso delle chiese, delle sinagoghe e delle moschee». La World watch list 2021 di Open doors / Porte aperte ha registrato, nel periodo ottobre 2019-settembre 2020, ben 13 cristiani morti ammazzati nel mondo ogni giorno, a cui quotidianamente si devono aggiungere 12 chiese ed edifici connessi attaccati o chiusi, 11 cristiani arrestati senza processo e 4 rapiti.La politica risponde a singhiozzo davanti a questa epidemia liberticida e anticristiana. «Dalla creazione di un'Alleanza internazionale per la libertà religiosa alla firma di ordini esecutivi che promuovono la libertà religiosa e la libertà di coscienza, l'amministrazione Trump», ha scritto il Wall Street journal, «ha elevato questi problemi in patria e all'estero come nessun altro. Joe Biden farebbe bene a costruire sull'eredità del suo predecessore». Ma il nuovo presidente, nonostante il recente riconoscimento del «genocidio» armeno, finora sembra orientato ad altre priorità. Anzi i cattolici americani, compresi i vescovi, discutono sulla figura del secondo presidente «cattolico» dopo John Kennedy, proprio per questioni etiche che rimandano all'obiezione di coscienza e quindi alla libertà religiosa. In Italia recentemente è stata approvata in Commissione esteri alla Camera la risoluzione presentata da Andrea Delmastro Delle Vedove, capogruppo di Fdi, che prevede tra i criteri da valutare per la concessione dei fondi italiani per la cooperazione allo sviluppo anche il rispetto del diritto a professare liberamente la propria fede. Ma anche quando sono validi, questi restano spesso episodi isolati, segno che non si tratta di una vera priorità. La Commissione Ue ha impiegato un anno e mezzo dall'insediamento per nominare l'inviato speciale per la promozione e la protezione della libertà di religione o di credo fuori dell'Ue: il ritardo, per quanto motivato dalla pandemia, mostra lo scarso rilievo politico dato alla materia. Dopo la scadenza del precedente inviato speciale, lo slovacco Ján Figel, la Commissione aveva addirittura smantellato l'ufficio, per poi ripristinarlo nel luglio 2020 dopo le vibranti proteste di diverse associazioni, ma la nomina del nuovo inviato, il cipriota Christos Stylianides, è arrivata solo il 5 maggio scorso. E si spera che gli siano forniti più mezzi rispetto a quelli decisamente scarni assegnati a Figel nei suoi 4 anni di valido servizio.Il tema della libertà religiosa si può anche declinare come «cristianofobia», come evidenziano i ripetuti atti vandalici nei confronti di chiese (anche roghi, come sappiamo) che avvengono in Francia con periodicità costante. Secondo il ministero dell'Interno, nel 2018 sono stati censiti 1.063 «fatti anticristiani» e nel 2017 erano stati 1.038. Eppure, nulla accade nella vecchia Europa che ha rifiutato le sue radici cristiane, nessun «Christian lives matter», nessuna voce si alza dalle articolesse che contano. Anzi, come disse il professor Henry Jenkins, si conferma che «il nuovo anticattolicesimo rimane l'unico pregiudizio accettabile».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/cristiani-perseguitati-nuovi-martiri-2653005033.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="un-figlio-ucciso-sotto-i-miei-occhi-per-obbligarmi-ad-adorare-allah" data-post-id="2653005033" data-published-at="1621180433" data-use-pagination="False"> «Un figlio ucciso sotto i miei occhi per obbligarmi ad adorare Allah» Se l'inferno esiste, non dev'essere molto diverso dall'esperienza toccata a Rebecca Bitrus. Sì, perché questa donna ha sperimentato l'esperienza di un rapimento, con tanto di sfruttamento e abusi sessuali, per mano nientemeno che degli uomini di Boko Haram, l'organizzazione terroristica jihadista diffusa nel nord della Nigeria, nota anche come Gruppo della gente della sunna per la propaganda religiosa e il jihad, dal 2015 alleatasi con lo Stato islamico. La Bitrus, sequestrata quando aveva solo 28 anni, ha vissuto un calvario lungo due anni. Tutto ebbe inizio il 28 agosto 2014, quando la giovane donna - appartenente alla comunità Dogon Ghukwu Kangarwan Bagi, situata al Nord dello Stato nigeriano del Borno, al confine tra Ciad e Niger - fu testimone dell'arrivo del terroristi. Al momento dell'attacco, aveva provato a fuggire con il marito e i figli, Zacarías e Jonatan. Il marito è però riuscito a scappare, lei no. «Mi hanno trasformato in una schiava», ricorda la Bitrus ripensando a quel durissimo periodo, «ho lavorato per loro, ho cucinato, ho pulito e lavato i vestiti. Dopo un anno, mi hanno chiesto di diventare musulmana, ma non volevo rinunciare alla mia fede. Credo in Gesù e qualunque cosa mi facciano non cambierò la mia opinione». Inutile dire che, per un simile rifiuto, la donna poteva essere giustiziata da un momento all'altro. In effetti, spazientiti per l'attaccamento alla fede della donna, i terroristi, dopo circa un anno, avevano preso provvedimenti. Così la Bitrus, a un certo punto, è stata rinchiusa una gabbia sottoterra per tre giorni, senza cibo né acqua. Siccome ancora non mollava, gli uomini di Boko Haram hanno inflitto alla donna il più atroce dolore che può vivere una madre: hanno preso Jonatan, il figlio di poco più di un anno, e lo hanno gettato nel fiume, dov'è annegato quasi immediatamente. Alla fine, la cristiana è riuscita a fuggire. Ha camminato per quasi un mese, mangiando erba. Tuttora il suo corpo porta i segni di quell'incredibile e terrificante esperienza. A distanza di anni, e nonostante l'immenso dolore vissuto, Rebecca Bitrus ha deciso di condividere la sua esperienza, mettendo in luce come essa sia una prova, più che del male degli uomini, della grandezza del Signore: «Voglio raccontare la mia storia, la fede mi ha aiutato a sopravvivere e voglio dire a tutti che l'unica cosa che ci salva è Dio». Parole che lasciano senza fiato, per la forza e l'attaccamento alla vita di cui sono l'esempio.
In Toscana un laboratorio a cielo aperto, dove con Enel il calore nascosto della Terra diventa elettricità, teleriscaldamento e turismo.
L’energia geotermica è una fonte rinnovabile tanto antica quanto moderna, perché nasce dal calore naturale generato all’interno della Terra, sotto forma di vapore ad alta temperatura, convogliato attraverso una rete di vapordotti per alimentare le turbine a vapore che girando, azionano gli alternatori degli impianti di generazione. Si tratta di condotte chiuse che trasportano il vapore naturale dal sottosuolo fino alle turbine, permettendo di trasformare il calore terrestre in elettricità senza dispersioni. Questo calore, prodotto dai movimenti geologici naturali e dal gradiente geotermico determinato dalla profondità, può essere utilizzato per produrre elettricità, riscaldare edifici e alimentare processi industriali. La geotermia diventa così una risorsa strategica nella transizione energetica.
L’energia geotermica non dipende da stagionalità o condizioni climatiche: è continua e programmabile, dando un contributo alla stabilità del sistema elettrico.
Oggi la geotermia è riconosciuta globalmente come una delle tecnologie più affidabili e sostenibili: in Cile, Islanda, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Filippine e molti altri Paesi questa filiera sta sviluppandosi vigorosamente. Ma è in Italia – e più precisamente in Toscana – che questa storia ha mosso i suoi primi passi.
La presenza dei soffioni boraciferi nel territorio di Larderello (Pisa), da sempre caratterizzato da manifestazioni naturali come vapori, geyser e acque termali, ha fatto intuire il valore energetico di quella forza invisibile. Già nel Medioevo erano attive piccole attività produttive basate sul contenuto minerale dei fluidi geotermici, ma è nel 1818 – grazie all’ingegnere francese François Jacques de Larderel – che avviene il primo utilizzo industriale. Il passaggio decisivo c’è però nel 1904, quando Piero Ginori Conti, sfruttando il vapore naturale, accende a Larderello le prime cinque lampadine: è la prima produzione elettrica geotermica al mondo, anticipando la nascita nel 1913 della prima centrale geotermoelettrica al mondo. Da allora questa tecnologia non ha mai smesso di evolversi, fino a diventare un laboratorio internazionale di ricerca e innovazione.
Attualmente, la Toscana rappresenta il cuore della geotermia nazionale: tra le province di Pisa, Grosseto e Siena Enel gestisce 34 centrali, per un totale di 37 gruppi di produzione che garantiscono una potenza installata di quasi 1.000 MW. Questi impianti generano ogni anno tra i 5,5 e i quasi 6 miliardi di kWh, pari a oltre un terzo del fabbisogno elettrico regionale e al 70% della produzione rinnovabile della Toscana.
Si tratta anche di uno dei più avanzati siti produttivi dal punto di vista tecnologico, che punta non allo sfruttamento ma alla coltivazione di questi giacimenti di energia. Nelle moderne centrali geotermiche, il vapore che ha già azionato le turbine – chiamato tecnicamente «vapore esausto» – non viene disperso nell'atmosfera, ma viene convogliato nelle torri refrigeranti, che con un processo di condensazione ritrasformano il vapore in acqua e lo reimmettono nei serbatoi naturali sotterranei attraverso pozzi di reiniezione.
Accanto alla dimensione produttiva, la geotermia toscana si distingue per la sua capacità di integrarsi nel tessuto sociale ed economico locale. Il calore geotermico residuo – dopo aver alimentato le turbine dell’impianto di generazione - è ceduto gratuitamente o a costi agevolati per alimentare reti di teleriscaldamento che raggiungono oltre 13.000 utenze, scuole, palazzetti, piscine e edifici pubblici, riducendo le emissioni e i consumi di combustibili fossili. Lo stesso calore sostiene attività agricole e artigianali, come serre per la coltivazione di fiori e ortaggi e aziende alimentari, che utilizzano questo calore «di scarto» invece di bruciare gas o gasolio. Persino la produzione di birra artigianale può beneficiare di questa fonte termica sostenibile!
Ma c’è dell’altro, perché questa integrazione tra energia e territorio si riflette anche sul turismo. Le zone geotermiche della cosiddetta «Valle del Diavolo», tra Larderello, Sasso Pisano e Monterotondo Marittimo, attirano ogni anno migliaia di visitatori. Musei, percorsi guidati e la possibilità di osservare da vicino fenomeni naturali e impianti di produzione, rendono il distretto un caso unico al mondo, dove la tecnologia convive con una geografia dominata da vapori e sorgenti naturali che affascinano da secoli viaggiatori e studiosi, creandoun’offerta turistica che vive grazie alla sinergia tra Enel, soggetti istituzionali, imprese, tessuto associativo e consorzi turistici.
Così, oltre un secolo dopo le prime lampadine illuminate dal vapore di Larderello, la geotermia continua ad essere una storia italiana che unisce ingegneria e paesaggio, sostenibilità e comunità. Una storia che prosegue guardando al futuro della transizione energetica, con una risorsa che scorre sotto ai nostri piedi e che il Paese ha imparato per primo a trasformare in energia e opportunità.
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