2021-01-07
La crisi finirà col solito mercato di poltrone
Da escludere le urne ed esecutivi tecnici a guida Marta Cartabia o Mario Draghi (che non vuole bruciarsi). Restano due ipotesi: un Conte ter (però l'avvocato teme trappole da Matteo Renzi), o un semplice rimpasto. In ogni caso, il Palazzo si confermerebbe scollegato dal Paese.Dopo un mese di chiacchiere e minacce, una cosa appare certa, ed è che la verifica non pare destinata a concludersi con nuove elezioni. Lo scioglimento del Parlamento per tornare al voto è escluso dallo stesso Matteo Renzi, il quale continua ad agitare lo spauracchio della crisi ben sapendo di non potersi permettere una campagna elettorale, in quanto i primi che avrebbero da rimetterci se si tornasse alle urne sarebbero proprio lui e la sua creatura, Italia viva, che, visti i sondaggi, i maligni hanno già ribattezzato Italia morta.Sì, l'unica certezza è che non si vota. Così la verifica lascia aperte altre ipotesi, a cominciare dal rimpasto per finire, passando per un Conte ter, in un cosiddetto governo di scopo, ossia un esecutivo con un programma limitato, destinato a durare giusto il tempo di raggiungere determinati obiettivi. Per capire quanta concretezza abbiano le varie ipotesi, cominciamo dall'ultima, ossia da quella di un nuovo presidente del Consiglio con mandato limitato. I giornali hanno fatto il nome di Marta Cartabia, cioè dell'ex presidente della Corte costituzionale, riserva della Repubblica in attesa di prossima collocazione. La signora sarebbe una pupilla di Sergio Mattarella e, come tale, avrebbe la possibilità di essere scelta nel mucchio degli aspiranti premier, anche solo per un giorno. Ma che cosa potrebbe fare una professoressa alle prese con una maggioranza rissosa e divisa come quella attuale? Di certo non molto, visto che i governi tecnici in questo Paese hanno una durata limitata. L'ultimo che si ricordi è quello di Mario Monti, ma l'ex rettore ballò per un solo anno, potendo comunque contare su una maggioranza ampia, che comprendeva maggioranza e opposizione, fatta eccezione per la Lega. In questo caso, chi sosterrebbe il governo Cartabia? Difficile che Giorgia Meloni si faccia attrarre, e altrettanto si può dire di Matteo Salvini. E se la maggioranza del centrodestra stesse alla finestra, molto probabilmente anche Forza Italia farebbe lo stesso, per non veder risucchiati dagli alleati parte dei suoi consensi. Dunque, l'ex presidente della Consulta si ritroverebbe a guidare un esecutivo sostenuto da Pd, Italia viva, 5 stelle e Leu, ovvero gli stessi che oggi tengono in piedi il governo giallorosso di Conte, una combriccola di persone che in 18 mesi non ha dimostrato di andare d'amore e d'accordo. Qualcuno ha fatto anche il nome di Mario Draghi, ma la figura dell'ex presidente della Bce stride con l'ipotesi di un esecutivo a termine. Perché un uomo del calibro dell'ex governatore dovrebbe bruciarsi per un governo di scopo, e per di più sorretto da leader imprevedibili e spregiudicati come Matteo Renzi o Beppe Grillo? Se un banchiere stimato e conosciuto in tutto il mondo si mette in gioco, non lo fa per un esecutivo che ha impressa la data di scadenza come lo yogurt. Soprattutto, non per mettersi al servizio di una maggioranza che pare una maionese impazzita.Scartate dunque le ipotesi di esecutivi tecnici, di scopo o di larghe intese (per farli servono per prima cosa proprio le intese e al momento non si vedono), rimangono in campo altre due soluzioni della crisi. La prima è rappresentata dal Conte ter, ovvero da un esecutivo sempre guidato dall'avvocato di Volturara Appula, ma nato dopo che quest'ultimo abbia rassegnato le dimissioni nelle mani del capo dello Stato. Per gli italiani cambierebbe poco, perché a Palazzo Chigi rimarrebbe sempre Giuseppe Conte, ma per la politica - in particolare per Renzi - cambierebbe molto, perché il premier ne uscirebbe ridimensionato, costretto alla resa e a formare una nuova squadra. Per il senatore semplice di Scandicci significherebbe un successo, cioè la dimostrazione che conta ancora e che, nonostante i sondaggi gli assegnino una percentuale fra il 2 e il 3%, è ancora lui a dare le carte. Questa ipotesi è particolarmente temuta dal presidente del Consiglio, il quale, avendo imparato a conoscere il fondatore di Italia viva, non si fida e ha paura che, una volta rassegnate le dimissioni, Renzi cambi le carte in tavola, favorendo la nascita di un esecutivo guidato da Dario Franceschini. L'attuale ministro della Cultura non ha alcuna chance di poter tenere a bada una maggioranza così eterogenea, ma come è noto l'ambizione non ha confini e a Renzi, in fondo, serve uno che porti la croce fino alla chiusura della finestra elettorale, cioè per sei mesi. Dopo si può fare quel che si vuole.Da ultimo, resta l'ipotesi più concreta, ovvero il rimpasto, cioè la prosecuzione del Conte bis, ma con la nomina di alcuni ministri e l'uscita di altri. Si fanno i nomi di Ettore Rosato, che potrebbe andare alla Difesa al posto di Lorenzo Guerini, ma anche di Maria Elena Boschi, Graziano Delrio e Andrea Orlando. Due esponenti di Italia viva e due del Pd che potrebbero prendere il posto del ministro Luciana Lamorgese, di Paola De Micheli, Nunzia Catalfo e Vincenzo Spadafora, ossia di un tecnico, di un esponente del Pd e di due dei 5 stelle. Il giro di poltrone servirebbe a riequilibrare le percentuali, riallineando i posti sulla base dei sondaggi: un modo un po' originale di tener conto degli umori del Paese.Ora, noi non sappiamo se alla fine a prevalere sarà un rimpasto che faccia posto alla pupilla di Renzi o al vicesegretario del Pd, ma visto che di votare non si parla, il rimescolamento di incarichi per offrire uno strapuntino in più a Italia viva e una prospettiva europea al suo leader rimane, dopo un mese di interviste, la soluzione più probabile. Con il che, la finta crisi nel momento di pandemia vera dimostrerebbe ancora di più quanto distacco ci sia tra la vita reale e quella che va in scena nei palazzi della politica. Tradotto, se la discussione sugli equilibri del governo si concludesse con poltrone e nomine, non mi stupirei che prima o poi qualche politico venisse inseguito con i forconi.
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)
Francesca Albanese (Ansa)