2022-01-07
Cresce il malumore leghista. «Ci stanno provocando per costringerci a uscire»
Giancarlo GIorgetti e Matteo Salvini (Ansa)
Il Cdm di mercoledì e l’ultima stretta hanno lasciato strascichi nella maggioranza Il Pd punta a un modello Ursula senza Carroccio. E i grillini sono ormai nel pallone. L’ennesima battaglia in consiglio dei Ministri sulle misure anticovid allarga il solco che divide la Lega dagli «alleati» di maggioranza. Certo, il Carroccio è riuscito in qualche modo a limitare i danni, evitando almeno il delirio del super green pass obbligatorio per andare dal barbiere o alla posta, ma trattasi di contentino: le misure più drastiche, a partire dal vaccino obbligatorio per gli over 50, sono passate tra gli applausi e le fanfare del Pd, di Leu e di Forza Italia. Un partito, quello di Silvio Berlusconi, che appare ormai come una costola della sinistra, per parafrasare una leggendaria definizione attribuita a Massimo D’Alema a proposito della Lega di Umberto Bossi. L’esultanza del ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, ormai arruolato con i galloni di ufficiale nell’esercito dei chiusuristi, guidato dal generalissimo Roberto Speranza, ha lasciato di stucco solo chi ancora non ha capito, o fa finta di non capire, dove vuole andare a parare Enrico Letta: un nuovo governo sostenuto dalla cosiddetta «maggioranza Ursula», ovvero con la Lega all’opposizione e il sostegno del partito di Silvio Berlusconi. «Letta», dicono alla Verità fonti autorevoli del Carroccio, «sin dal nostro ingresso in maggioranza sta lavorando per costringerci a uscire. Il livello delle provocazioni sale ogni giorno che passa, e le misure anticovid sono un pretesto per metterci in difficoltà, perché ora si avvicina l’elezione del presidente della Repubblica, ghiotta occasione per il Pd e Leu per raggiungere il loro obiettivo. Per quanto ci riguarda, non intendiamo dargliela vinta». E Forza Italia? «Parliamoci chiaro», aggiunge la nostra fonte, «l’appiattimento totale dei ministri sulla linea della sinistra danneggia prima di tutto Silvio Berlusconi. Se il Cav ha davvero intenzione di candidarsi al Quirinale, inizi a mettere in conto il rischio che molti parlamentari della Lega, nel segreto dell’urna, gli faranno pagare questa deriva». Nuvoloni neri si addensano dunque sul bisnonno Silvio, ma non è che nonno Mario Draghi stia messo meglio. Il potere logora chi non ce l’ha, ma ancora di più chi lo ha e decide di non esercitarlo: in soli 11 mesi la figura del premier forte che più forte non si può, di Mario il decisionista, di Mario il Salvatore della Patria, si è appannata assai, soprattutto nelle ultime settimane, quando ha indossato i panni del mediatore doroteo e ha iniziato a varare decreti senza capo né coda. L’esigenza di non scontentare i partiti che dovranno eleggerlo al Quirinale ha finito per scontentare gli italiani, e ora l’ex leader della Bce si ritrova in una condizione paradossale: potrebbero decidere di eleggerlo alla presidenza della Repubblica pur di mettere fine a questo governo di tutti e di nessuno che non è in grado di prendere una decisione chiara e di assumersene le responsabilità. Promoveatur ut amoveatur: chi l’avrebbe mai detto, 11 mesi fa, che Draghi si sarebbe impigliato nelle reti a strascico della barocchissima partitocrazia italiana? Pochissimi, anzi nessuno, e invece siamo arrivati al punto: tra una ventina di giorni nonno Mario potrebbe traslocare al Colle per dare la possibilità ai partiti di rimettere in equilibrio un sistema completamente saltato. Equilibrio che consiste, e torniamo al punto sul quale la Verità insiste da giorni, di un governo guidato da un politico, con Lega e Fratelli d’Italia all’opposizione e Forza Italia in maggioranza. Tra l’altro la presenza di Fi viene ritenuta indispensabile anche «per non lasciare l’eventuale governo sotto scacco di Renzi», come ci dice un esponente autorevole del Pd. In tutto questo marasma, un fattore di totale instabilità è dato dalla inesistenza di una linea politica nel M5s. Nel penultimo consiglio dei Ministri, quello dello scorso 29 dicembre, i grillini, capitanati da Stefano Patuanelli, in asse con la Lega riuscirono a fermare i provvedimenti più drastici richiesti da Pd, Leu e Forza Italia. L’altro ieri, il M5s si è letteralmente liquefatto, e in cabina di regia la voce del ministro Fabiana Dadone, che ha sostituito Patuanelli, non si è udita. Sul Quirinale è caos totale: il caso del vicepresidente del M5s, Michele Gubitosa, è da manuale di come non si fa politica. «Sergio Mattarella è stato sempre ed è il primo nome che il M5s voterebbe per il Quirinale», scandiva l’ottimo Gubitosa martedì scorso; «Non bisogna tirare Mattarella per la giacchetta!» ammoniva ieri il vice Conte. Un delirio, in termini politici, da parte di chi, però , pur avendo perso in questi quattro anni di legislatura ben 105 tra deputati e senatori, è ancora il più sostanzioso gruppo di grandi elettori, con 233 parlamentari, un quinto dei grandi elettori. Conte non controlla nulla, e anche per questo la riunione congiunta dei gruppi in programma la prossima settimana, si annuncia incandescente. I capigruppo alla Camera e al Senato, Davide Crippa e Mariolina Castellone, sono agguerritissimi: pretendono che dall’assemblea esca una indicazione precisa. Il problema è che se Conte farà il nome di Draghi, nei gruppi scatterà l’allarme rosso, perché deputati e senatori penseranno che l’obiettivo dell’ex premier sia quello di precipitarsi alle elezioni anticipate prima di essere destituito. Morale della favola: i big di Pd, Lega e Forza Italia parlano più che altro con Luigi Di Maio, considerato l’unico in grado di organizzare le truppe grilline.