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2023-03-22
Il Cremlino rilancia il piano di pace cinese: Xi-Zelensky più vicini
Xi Jinping e Vladimir Putin (Ansa)
Si è conclusa alle 16.37 di ieri la seconda giornata della visita del presidente cinese, Xi Jinping, in Russia. L’agenzia Ria Novosti ha reso noto che durante l’incontro al Cremlino, durato circa tre ore, «è stato firmato un accordo per lo sviluppo economico fino al 2030». Vladimir Putin ha dichiarato che con Xi c’è stato «uno scambio di opinioni franco e sostanzioso» e secondo il consigliere diplomatico del Cremlino, Yury Ushakov, il leader russo nel corso del 2023 si recherà in visita ufficiale in Cina.
Ma cosa c’è davvero nell’accordo siglato da russi e cinesi? Xi ne ha parlato all’agenzia Xinhua: «Siamo pronti a espandere la cooperazione con la Russia nei settori del commercio, degli investimenti, della catena degli approvvigionamenti, dei mega progetti, dell’energia e dell’alta tecnologia».
Putin ha anche affermato che «Russia e Cina possono diventare leader mondiali nel campo dell’Intelligenza artificiale», affermazioni che a Washington avranno registrato con molta preoccupazione. Lo stesso vale per un’altra dichiarazione del presidente russo, che ha reso noto che tra Cina e Russia c’è piena intesa per la costruzione del gasdotto Forza della Siberia 2 per l’esportazione di gas russo in Cina, che si aggiungerà al Forza della Siberia 1, già in attività. Chi temeva l’annuncio di una possibile cooperazione militare ha tirato un sospiro di sollievo, anche se la dichiarazione congiunta («La Federazione russa e la Cina intendono sostenere la tutela dei reciproci interessi, prima di tutto sovranità, integrità territoriale e sicurezza») non lascia molto tranquilli.
A proposito della possibilità che Xi Jinping e Volodymyr Zelensky si sentano telefonicamente durante il soggiorno moscovita del presidente cinese, Ushakov ha affermato che «in questo contesto, una tale conversazione è del tutto irrilevante. Non so nemmeno se la parte cinese abbia confermato o meno una tale possibilità». Silenzio di Pechino, ma è evidente che se Xi Jinping prenderà l’iniziativa lo farà una volta rientrato in patria. Da parte di Kiev, un funzionario ucraino citato dalla Cnn ha dichiarato che a proposito della telefonata «non è stato programmato nulla di concreto, ma si lavora per organizzarla».
Mentre a Mosca era in corso la seconda giornata del vertice, il primo ministro giapponese, Fumio Kishida, è arrivato a Kiev in treno dalla Polonia. Dopo aver visitato Bucha, il premier giapponese ha affermato all’agenzia Kyodo che «il Giappone continuerà con il massimo impegno per sostenere l’Ucraina e per ripristinare la pace». La visita del premier giapponese di ritorno da Nuova Delhi - dove ha annunciato il piano Indo Pacifico libero e aperto che serve principalmente a mitigare la crescente influenza della Cina nella regione - non è piaciuta ai cinesi, che attraverso Wang Wenbin, portavoce del ministero degli Esteri, hanno manifestato il loro fastidio: «Premier giapponese a Kiev? Serve una de-escalation, non il contrario. La comunità internazionale dovrebbe attenersi alla giusta direzione di promuovere colloqui di pace e creare le condizioni per una soluzione politica della crisi in Ucraina, anziché il contrario». Tra India e Giappone gli scambi commerciali sono stati pari a 20,57 miliardi di dollari nel 2021-2022, con l’India che ha importato beni giapponesi per un valore di 14,49 miliardi di dollari e con le recenti intese le parti hanno deciso di far crescere la partnership anche nei settori della Difesa (l’Italia è partner di entrambi) e nel coordinamento negli affari strategici, visto che la preoccupazione per le mosse della Cina è condivisa.
A proposito di una possibile fine del conflitto, Putin a Ria Novosti ha dichiarato che «il piano di pace della Cina può essere preso come base per un accordo in Ucraina, quando l’Occidente e Kiev saranno pronti». Intanto dagli Usa sono arrivate pesanti accuse alla Cina, che in articolo del New York Times viene incolpata di aver fornito alla Russia droni per un valore di 12 milioni di dollari, attraverso una serie di triangolazione societarie e doganali. Pronta la risposta del portavoce di Wang Wenbin: «La Cina non è né creatrice, né parte della crisi in Ucraina, né ha fornito armi ad alcuna delle due parti in conflitto».
Fin qui la guerra delle parole e le stilettate della diplomazia, ma sul campo ucraini e russi continuano a combattersi ferocemente. Ieri mattina il ministero della Difesa di Mosca ha fatto sapere che un suo caccia Su-35 ha intercettato sul Mar Baltico due bombardieri strategici B-52H Usa che volavano in direzione del confine russo: il jet è rientrato dopo che i bombardieri si sono allontanati. Mosca ha precisato che «non è stata consentita alcuna violazione del confine di Stato della Russia». Successivamente, il ministero della Difesa ucraino su Telegram ha dichiarato che un’esplosione nella città di Dzhankoi, nel Nord della Crimea, ha portato alla distruzione di missili da crociera russi destinati alla loro flotta nel Mar Nero: «Un’esplosione nella città di Dzhankoi, nel Nord della Crimea temporaneamente occupata, ha distrutto i missili da crociera russi Kalibr che venivano trasportati su treni a rotaia», mentre le forze armate russe hanno lanciato attacchi (senza vittime) contro tre centri nell’Oblast di Sumy.
Infine Volodymyr Zelensky, in una conferenza stampa, ha detto «di aver invitato la Cina al dialogo e di aspettare una risposta. Abbiamo offerto alla Cina di diventare un partner nell’attuazione della formula di pace. Abbiamo trasmesso la nostra formula su tutti i canali. Vi invitiamo al dialogo. Aspettiamo la vostra risposta». Al momento non è ancora arrivata, a parte «dei segnali, ma nulla di concreto».
Grillini e dem si sfidano a «Chi vuol essere pacifista?»
Via libera del Senato alla risoluzione proposta dalla maggioranza, dopo le comunicazioni di Giorgia Meloni in vista del prossimo Consiglio europeo di domani e dopodomani. Ieri a Palazzo Madama il dibattito ha fatto emergere un dato politico su tutti: è finito il tempo degli slogan, i dem targati Elly Schlein tornano ad allinearsi alla dottrina del tanto vituperato Enrico Letta, basata sull’appiattimento totale ai desiderata di Usa e Ue, in sintonia con il Terzo polo. La nuova leader del Pd si è già «normalizzata». Si sgancia, invece, Giuseppe Conte, che vuole riaccendere i riflettori sul M5s, libero di dire «basta» all’invio di armi in Ucraina con una propria risoluzione.
«Siamo un membro della Nato», sottolinea la Meloni, «e condividiamo la sua posizione sull’aggressione della Russia all’Ucraina: sappiamo che in quest’Aula ci sono partiti che auspicano un accordo con la Cina o una resa di Kiev. Noi non siamo di questo avviso». La Meloni ribadisce il «pieno sostegno dell’Italia all’Ucraina in ogni ambito. L’aiuto militare è necessario per garantire la legittima difesa di una regione aggredita e significa proteggere la vita dei civili. Questo governo non ha mai fatto mistero di voler aumentare i propri stanziamenti in spese militari», sottolinea ancora la Meloni, «come hanno fatto i governi precedenti, magari di soppiatto, senza il coraggio di metterci la faccia. Noi invece crediamo che su queste cose bisogna mettercela. Rispettare gli impegni è vitale per tutelare la sovranità nazionale».
La Meloni poi attacca Conte: «Ho sentito dire che andrei in Europa a prendere ordini. Lo diranno i fatti. Non mi vedrete mai fare questo. Io preferisco dimettermi», argomenta la Meloni, «piuttosto che presentarmi al cospetto di un mio omologo europeo con i toni con i quali Conte andò da Angela Merkel, a dirle che il M5s erano ragazzi che avevano paura di scendere nei consensi ma alla fine avrebbero fatto quello che l’Europa chiedeva». Il Pd si accuccia: «La nostra posizione è chiara», sottolinea il senatore dem Alessandro Alfieri, «mai equidistanza, sempre dalla parte delle democrazie liberali, dalla parte del popolo ucraino e del suo legittimo diritto a difendersi».
I pentastellati, contrari all’invio di altre armi, attaccano governo e Pd: «Quella che doveva essere la patriota», dice in Aula la senatrice del M5s Alessandra Maiorino, «si è fatta dettare la politica economica da Bruxelles e la politica estera da Washington. Dobbiamo essere franchi», sottolinea la Maiorino, «e questo lo dico anche agli amici del Pd: chi è per l’escalation militare non può essere anche per un percorso diplomatico che porti alla pace. Delle due l’una. Basta ipocrisie». «Con il Pd», commenta Conte, «non si rompe nulla perché la posizione del Pd è stata sempre questa, di grande convinzione per quanto riguarda questa strategia che sta perseguendo un’escalation militare». Contraria a ulteriori invii di armi anche l’Alleanza Verdi e Sinistra, come sottolinea il capogruppo a Palazzo Madama Peppe De Cristofaro.
Opposizioni divise e maggioranza compatta, dunque, anche se il capogruppo al Senato della Lega, Massimiliano Romeo, qualche parola di riflessione la spende: «Comunichiamo il voto favorevole alla risoluzione della maggioranza», dice in Aula Romeo, «ma esprimiamo forte preoccupazione per come stanno andando le cose. L’obiettivo della cessazione delle ostilità sembra più una dichiarazione di principio, anzi si sente parlare costantemente di offensiva. Il problema non è il sostegno militare, ma la corsa ad armamenti sempre più potenti, con il rischio di un incidente da cui non si può tornare indietro».
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Kiev conferma: «Possibile telefonata tra i leader». La missione in Ucraina del premier giapponese scatena l’ira di Pechino.Via libera del Senato alla risoluzione della maggioranza sugli aiuti agli invasi. Il M5s provoca il Pd: «O diplomazia o escalation».Lo speciale contiene due articoli.Si è conclusa alle 16.37 di ieri la seconda giornata della visita del presidente cinese, Xi Jinping, in Russia. L’agenzia Ria Novosti ha reso noto che durante l’incontro al Cremlino, durato circa tre ore, «è stato firmato un accordo per lo sviluppo economico fino al 2030». Vladimir Putin ha dichiarato che con Xi c’è stato «uno scambio di opinioni franco e sostanzioso» e secondo il consigliere diplomatico del Cremlino, Yury Ushakov, il leader russo nel corso del 2023 si recherà in visita ufficiale in Cina. Ma cosa c’è davvero nell’accordo siglato da russi e cinesi? Xi ne ha parlato all’agenzia Xinhua: «Siamo pronti a espandere la cooperazione con la Russia nei settori del commercio, degli investimenti, della catena degli approvvigionamenti, dei mega progetti, dell’energia e dell’alta tecnologia». Putin ha anche affermato che «Russia e Cina possono diventare leader mondiali nel campo dell’Intelligenza artificiale», affermazioni che a Washington avranno registrato con molta preoccupazione. Lo stesso vale per un’altra dichiarazione del presidente russo, che ha reso noto che tra Cina e Russia c’è piena intesa per la costruzione del gasdotto Forza della Siberia 2 per l’esportazione di gas russo in Cina, che si aggiungerà al Forza della Siberia 1, già in attività. Chi temeva l’annuncio di una possibile cooperazione militare ha tirato un sospiro di sollievo, anche se la dichiarazione congiunta («La Federazione russa e la Cina intendono sostenere la tutela dei reciproci interessi, prima di tutto sovranità, integrità territoriale e sicurezza») non lascia molto tranquilli. A proposito della possibilità che Xi Jinping e Volodymyr Zelensky si sentano telefonicamente durante il soggiorno moscovita del presidente cinese, Ushakov ha affermato che «in questo contesto, una tale conversazione è del tutto irrilevante. Non so nemmeno se la parte cinese abbia confermato o meno una tale possibilità». Silenzio di Pechino, ma è evidente che se Xi Jinping prenderà l’iniziativa lo farà una volta rientrato in patria. Da parte di Kiev, un funzionario ucraino citato dalla Cnn ha dichiarato che a proposito della telefonata «non è stato programmato nulla di concreto, ma si lavora per organizzarla». Mentre a Mosca era in corso la seconda giornata del vertice, il primo ministro giapponese, Fumio Kishida, è arrivato a Kiev in treno dalla Polonia. Dopo aver visitato Bucha, il premier giapponese ha affermato all’agenzia Kyodo che «il Giappone continuerà con il massimo impegno per sostenere l’Ucraina e per ripristinare la pace». La visita del premier giapponese di ritorno da Nuova Delhi - dove ha annunciato il piano Indo Pacifico libero e aperto che serve principalmente a mitigare la crescente influenza della Cina nella regione - non è piaciuta ai cinesi, che attraverso Wang Wenbin, portavoce del ministero degli Esteri, hanno manifestato il loro fastidio: «Premier giapponese a Kiev? Serve una de-escalation, non il contrario. La comunità internazionale dovrebbe attenersi alla giusta direzione di promuovere colloqui di pace e creare le condizioni per una soluzione politica della crisi in Ucraina, anziché il contrario». Tra India e Giappone gli scambi commerciali sono stati pari a 20,57 miliardi di dollari nel 2021-2022, con l’India che ha importato beni giapponesi per un valore di 14,49 miliardi di dollari e con le recenti intese le parti hanno deciso di far crescere la partnership anche nei settori della Difesa (l’Italia è partner di entrambi) e nel coordinamento negli affari strategici, visto che la preoccupazione per le mosse della Cina è condivisa. A proposito di una possibile fine del conflitto, Putin a Ria Novosti ha dichiarato che «il piano di pace della Cina può essere preso come base per un accordo in Ucraina, quando l’Occidente e Kiev saranno pronti». Intanto dagli Usa sono arrivate pesanti accuse alla Cina, che in articolo del New York Times viene incolpata di aver fornito alla Russia droni per un valore di 12 milioni di dollari, attraverso una serie di triangolazione societarie e doganali. Pronta la risposta del portavoce di Wang Wenbin: «La Cina non è né creatrice, né parte della crisi in Ucraina, né ha fornito armi ad alcuna delle due parti in conflitto». Fin qui la guerra delle parole e le stilettate della diplomazia, ma sul campo ucraini e russi continuano a combattersi ferocemente. Ieri mattina il ministero della Difesa di Mosca ha fatto sapere che un suo caccia Su-35 ha intercettato sul Mar Baltico due bombardieri strategici B-52H Usa che volavano in direzione del confine russo: il jet è rientrato dopo che i bombardieri si sono allontanati. Mosca ha precisato che «non è stata consentita alcuna violazione del confine di Stato della Russia». Successivamente, il ministero della Difesa ucraino su Telegram ha dichiarato che un’esplosione nella città di Dzhankoi, nel Nord della Crimea, ha portato alla distruzione di missili da crociera russi destinati alla loro flotta nel Mar Nero: «Un’esplosione nella città di Dzhankoi, nel Nord della Crimea temporaneamente occupata, ha distrutto i missili da crociera russi Kalibr che venivano trasportati su treni a rotaia», mentre le forze armate russe hanno lanciato attacchi (senza vittime) contro tre centri nell’Oblast di Sumy. Infine Volodymyr Zelensky, in una conferenza stampa, ha detto «di aver invitato la Cina al dialogo e di aspettare una risposta. Abbiamo offerto alla Cina di diventare un partner nell’attuazione della formula di pace. Abbiamo trasmesso la nostra formula su tutti i canali. Vi invitiamo al dialogo. Aspettiamo la vostra risposta». Al momento non è ancora arrivata, a parte «dei segnali, ma nulla di concreto».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/cremlino-rilancia-piano-pace-cinese-2659633146.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="grillini-e-dem-si-sfidano-a-chi-vuol-essere-pacifista" data-post-id="2659633146" data-published-at="1679448736" data-use-pagination="False"> Grillini e dem si sfidano a «Chi vuol essere pacifista?» Via libera del Senato alla risoluzione proposta dalla maggioranza, dopo le comunicazioni di Giorgia Meloni in vista del prossimo Consiglio europeo di domani e dopodomani. Ieri a Palazzo Madama il dibattito ha fatto emergere un dato politico su tutti: è finito il tempo degli slogan, i dem targati Elly Schlein tornano ad allinearsi alla dottrina del tanto vituperato Enrico Letta, basata sull’appiattimento totale ai desiderata di Usa e Ue, in sintonia con il Terzo polo. La nuova leader del Pd si è già «normalizzata». Si sgancia, invece, Giuseppe Conte, che vuole riaccendere i riflettori sul M5s, libero di dire «basta» all’invio di armi in Ucraina con una propria risoluzione. «Siamo un membro della Nato», sottolinea la Meloni, «e condividiamo la sua posizione sull’aggressione della Russia all’Ucraina: sappiamo che in quest’Aula ci sono partiti che auspicano un accordo con la Cina o una resa di Kiev. Noi non siamo di questo avviso». La Meloni ribadisce il «pieno sostegno dell’Italia all’Ucraina in ogni ambito. L’aiuto militare è necessario per garantire la legittima difesa di una regione aggredita e significa proteggere la vita dei civili. Questo governo non ha mai fatto mistero di voler aumentare i propri stanziamenti in spese militari», sottolinea ancora la Meloni, «come hanno fatto i governi precedenti, magari di soppiatto, senza il coraggio di metterci la faccia. Noi invece crediamo che su queste cose bisogna mettercela. Rispettare gli impegni è vitale per tutelare la sovranità nazionale». La Meloni poi attacca Conte: «Ho sentito dire che andrei in Europa a prendere ordini. Lo diranno i fatti. Non mi vedrete mai fare questo. Io preferisco dimettermi», argomenta la Meloni, «piuttosto che presentarmi al cospetto di un mio omologo europeo con i toni con i quali Conte andò da Angela Merkel, a dirle che il M5s erano ragazzi che avevano paura di scendere nei consensi ma alla fine avrebbero fatto quello che l’Europa chiedeva». Il Pd si accuccia: «La nostra posizione è chiara», sottolinea il senatore dem Alessandro Alfieri, «mai equidistanza, sempre dalla parte delle democrazie liberali, dalla parte del popolo ucraino e del suo legittimo diritto a difendersi». I pentastellati, contrari all’invio di altre armi, attaccano governo e Pd: «Quella che doveva essere la patriota», dice in Aula la senatrice del M5s Alessandra Maiorino, «si è fatta dettare la politica economica da Bruxelles e la politica estera da Washington. Dobbiamo essere franchi», sottolinea la Maiorino, «e questo lo dico anche agli amici del Pd: chi è per l’escalation militare non può essere anche per un percorso diplomatico che porti alla pace. Delle due l’una. Basta ipocrisie». «Con il Pd», commenta Conte, «non si rompe nulla perché la posizione del Pd è stata sempre questa, di grande convinzione per quanto riguarda questa strategia che sta perseguendo un’escalation militare». Contraria a ulteriori invii di armi anche l’Alleanza Verdi e Sinistra, come sottolinea il capogruppo a Palazzo Madama Peppe De Cristofaro. Opposizioni divise e maggioranza compatta, dunque, anche se il capogruppo al Senato della Lega, Massimiliano Romeo, qualche parola di riflessione la spende: «Comunichiamo il voto favorevole alla risoluzione della maggioranza», dice in Aula Romeo, «ma esprimiamo forte preoccupazione per come stanno andando le cose. L’obiettivo della cessazione delle ostilità sembra più una dichiarazione di principio, anzi si sente parlare costantemente di offensiva. Il problema non è il sostegno militare, ma la corsa ad armamenti sempre più potenti, con il rischio di un incidente da cui non si può tornare indietro».
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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