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2018-05-02
Per calcolare il costo della vita ora si usa il litro di latte
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Abbiamo così provato a comparare il costo della vita in alcune delle più grandi città del mondo con l'aiuto di Numbeo, una piattaforma creata in crowdfunding nel 2009 in grado di calcolare con precisione e in tempo reale il prezzo di un litro di latte a Milano e a Tokyo.
Quando si fa un confronto tra città, l'indice del costo della vita deve assolutamente tenere conto di molti fattori come le spese per mangiare, le spese per vestirsi, quelle per istruirsi e curarsi, ma anche l'affitto, le bollette, il costo dei ristoranti, il costo dei trasporti, quello della benzina e addirittura il prezzo di un caffè, dello shopping (low cost e di lusso) di tutti quei beni e servizi necessari per avere una vita normale.
Sebbene il Canada sia uno dei Paesi più cari per quanto riguarda lo shopping, le catene low cost come per esempio H&M risultano avere tra i prezzi più conveniente in tutto il mondo. La spesa media di una donna di Toronto si aggira intorno agli 11 euro, il 70% in meno rispetto a quanto spenderebbe, per gli stessi abiti, una donna di Hong Kong. E addirittura meno della metà rispetto alla cifra spesa da una donna di New York che per una sessione di shopping da H&M spende circa 24 euro. Per quanto riguarda il settore del lusso, oltre alla Speedy 30 di Vuitton in versione «convenienza» in Inghilterra, sono proprio le it bag, ovvero le ambitissime borse di grandi brand, ad avere la maggior oscillazione di prezzo di Paese in Paese.
Prendiamo per esempio la Spontini di Saint Laurent. Net-a-Porter, uno dei principali portali di shopping di lusso al mondo, vende la versione scamosciata a 1.390 euro in Italia. La stessa borsa, in Arabia Saudita costa invece 1.221 euro, il 30% in meno rispetto al Canada dove la Spontini è in vendita a 1.591 dollari. La variazione di prezzo è dovuta a scelte strategiche del brand, come dimostra Marc Jacobs che in Arabia Saudita costa ben il 19% in meno rispetto al Canada poiché i suoi accessori compiono un tragitto minore nel raggiungere l'Arabia rispetto alle terre canadesi.
Guardando al Belpaese, secondo i dati raccolti da Numbeo e aggiornati al 2018, la città più cara d'Italia per costo della vita risulta essere Firenze, dove un chilo di mele, per esempio, vi costerà in media 2.12 euro rispetto all'1.84 euro di Milano, seconda nella classifica delle città più care d'Italia e gli 1.76 euro di Roma, situata sul gradino più basso del podio. La classifica cambia di pochissimo se si considerano invece le spese d'affitto con le prime tre posizioni occupate rispettivamente da Milano, Firenze e Roma. Al fondo della classifica troviamo invece Napoli, Catania e Torino. Comparando la prima e l'ultima città, Firenze e Napoli, scopriamo come per mantenere uno stile di vita base, con un'uscita a settimana a cena, una casa modesta in affitto e qualche sfizio (come caffè e sigarette), a Firenze servono circa 3.500 euro rispetto ai 2.800 richiesti per mantenere lo stesso stile di vita a Napoli.
Passando all'Europa, senza sorprese il costo della vita più alto spetta alla Svizzera e più precisamente alla città di Zurigo. Qui, per un litro di latte si arriva a spendere 1.25 euro, per un chilo di riso addirittura 2.20 euro e per un chilo di mele ben 3.15 euro. Al secondo e al terzo posto della classifica europea troviamo rispettivamente l'Islanda e la Norvegia. L'Italia compare al trentaduesimo posto con Firenze, dopo la Francia (quattordicesima con Parigi) e l'Inghilterra (ventiduesima con Londra). All'ultimo posto della classifica dei Paesi europei troviamo l'Ucraina dove, rispetto alla Svizzera, un litro di latte costa solo 0.60 euro, un chilo di riso 0.76 euro e un chilo di mele 0.59 euro.
Aprendosi a una visione più generale, il posto più caro del mondo in cui vivere sono le Bermuda. Nella capitale Hamilton un chilo di riso costa ben 7.46 euro, oltre l'82% in più rispetto alla stessa quantità di riso acquistabile a Milano. Dal secondo al sesto posto della classifica troviamo invece la Svizzera con le città di Zurigo, Ginevra, Basilea, Berna e Losanna. L'Italia si trova al sessantesimo posto della classifica con Firenze e al settantesimo con Milano. New York si trova al quattordicesimo posto della classifica, Tokyo «solo» al ventunesimo, preceduto invece da Kyoto, l'antica capitale nipponica, che si piazza al tredicesimo posto della classifica. A stupire è Dubai. La città d'oro degli Emirati Arabi, simbolo del lusso a cinque stelle, si posiziona infatti al 175esimo posto della classifica mondiale per costo della vita. Vivere qui costa il 10% in meno rispetto a Milano e ben il 50% in meno rispetto ad Hamilton a oggi sul gradino più alto delle città più costosa del mondo.
INFOGRAFICA
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Qualche tempo fa su tutti i portali di moda e sui social network è rimbalzata una notizia che ha cambiato la vita alle fashion victim di tutto il mondo: acquistare una borsa firmata Louis Vuitton su un sito inglese costa molto meno rispetto allo stesso acquisto effettuato on line a New York, Parigi o in Cina. Secondo una ricerca di Deloitte, per acquistare una Vuitton Speedy 30, il classico bauletto logato della maison francese, nella Grande Mela si spendono 970 dollari e in Cina, a Pechino, 1.115. A Londra, invece, servono «solo» 802 dollari. L'effetto «saldo» è merito della localizzazione delle tariffe. Basta collegarsi a un portale locale per risparmiare. La guida ai differenti costi è la piattaforma Numbeo che tra i principali parametri di valutazione utilizza proprio il prodotto vaccino. Abbiamo così provato a comparare il costo della vita in alcune delle più grandi città del mondo con l'aiuto di Numbeo, una piattaforma creata in crowdfunding nel 2009 in grado di calcolare con precisione e in tempo reale il prezzo di un litro di latte a Milano e a Tokyo. Quando si fa un confronto tra città, l'indice del costo della vita deve assolutamente tenere conto di molti fattori come le spese per mangiare, le spese per vestirsi, quelle per istruirsi e curarsi, ma anche l'affitto, le bollette, il costo dei ristoranti, il costo dei trasporti, quello della benzina e addirittura il prezzo di un caffè, dello shopping (low cost e di lusso) di tutti quei beni e servizi necessari per avere una vita normale. Sebbene il Canada sia uno dei Paesi più cari per quanto riguarda lo shopping, le catene low cost come per esempio H&M risultano avere tra i prezzi più conveniente in tutto il mondo. La spesa media di una donna di Toronto si aggira intorno agli 11 euro, il 70% in meno rispetto a quanto spenderebbe, per gli stessi abiti, una donna di Hong Kong. E addirittura meno della metà rispetto alla cifra spesa da una donna di New York che per una sessione di shopping da H&M spende circa 24 euro. Per quanto riguarda il settore del lusso, oltre alla Speedy 30 di Vuitton in versione «convenienza» in Inghilterra, sono proprio le it bag, ovvero le ambitissime borse di grandi brand, ad avere la maggior oscillazione di prezzo di Paese in Paese. Prendiamo per esempio la Spontini di Saint Laurent. Net-a-Porter, uno dei principali portali di shopping di lusso al mondo, vende la versione scamosciata a 1.390 euro in Italia. La stessa borsa, in Arabia Saudita costa invece 1.221 euro, il 30% in meno rispetto al Canada dove la Spontini è in vendita a 1.591 dollari. La variazione di prezzo è dovuta a scelte strategiche del brand, come dimostra Marc Jacobs che in Arabia Saudita costa ben il 19% in meno rispetto al Canada poiché i suoi accessori compiono un tragitto minore nel raggiungere l'Arabia rispetto alle terre canadesi. Guardando al Belpaese, secondo i dati raccolti da Numbeo e aggiornati al 2018, la città più cara d'Italia per costo della vita risulta essere Firenze, dove un chilo di mele, per esempio, vi costerà in media 2.12 euro rispetto all'1.84 euro di Milano, seconda nella classifica delle città più care d'Italia e gli 1.76 euro di Roma, situata sul gradino più basso del podio. La classifica cambia di pochissimo se si considerano invece le spese d'affitto con le prime tre posizioni occupate rispettivamente da Milano, Firenze e Roma. Al fondo della classifica troviamo invece Napoli, Catania e Torino. Comparando la prima e l'ultima città, Firenze e Napoli, scopriamo come per mantenere uno stile di vita base, con un'uscita a settimana a cena, una casa modesta in affitto e qualche sfizio (come caffè e sigarette), a Firenze servono circa 3.500 euro rispetto ai 2.800 richiesti per mantenere lo stesso stile di vita a Napoli. Passando all'Europa, senza sorprese il costo della vita più alto spetta alla Svizzera e più precisamente alla città di Zurigo. Qui, per un litro di latte si arriva a spendere 1.25 euro, per un chilo di riso addirittura 2.20 euro e per un chilo di mele ben 3.15 euro. Al secondo e al terzo posto della classifica europea troviamo rispettivamente l'Islanda e la Norvegia. L'Italia compare al trentaduesimo posto con Firenze, dopo la Francia (quattordicesima con Parigi) e l'Inghilterra (ventiduesima con Londra). All'ultimo posto della classifica dei Paesi europei troviamo l'Ucraina dove, rispetto alla Svizzera, un litro di latte costa solo 0.60 euro, un chilo di riso 0.76 euro e un chilo di mele 0.59 euro. Aprendosi a una visione più generale, il posto più caro del mondo in cui vivere sono le Bermuda. Nella capitale Hamilton un chilo di riso costa ben 7.46 euro, oltre l'82% in più rispetto alla stessa quantità di riso acquistabile a Milano. Dal secondo al sesto posto della classifica troviamo invece la Svizzera con le città di Zurigo, Ginevra, Basilea, Berna e Losanna. L'Italia si trova al sessantesimo posto della classifica con Firenze e al settantesimo con Milano. New York si trova al quattordicesimo posto della classifica, Tokyo «solo» al ventunesimo, preceduto invece da Kyoto, l'antica capitale nipponica, che si piazza al tredicesimo posto della classifica. A stupire è Dubai. La città d'oro degli Emirati Arabi, simbolo del lusso a cinque stelle, si posiziona infatti al 175esimo posto della classifica mondiale per costo della vita. Vivere qui costa il 10% in meno rispetto a Milano e ben il 50% in meno rispetto ad Hamilton a oggi sul gradino più alto delle città più costosa del mondo. INFOGRAFICA!function(e,t,n,s){var i="InfogramEmbeds",o=e.getElementsByTagName(t)[0],d=/^http:/.test(e.location)?"http:":"https:";if(/^\/{2}/.test(s)&&(s=d+s),window[i]&&window[i].initialized)window[i].process&&window[i].process();else if(!e.getElementById(n)){var a=e.createElement(t);a.async=1,a.id=n,a.src=s,o.parentNode.insertBefore(a,o)}}(document,"script","infogram-async","https://e.infogram.com/js/dist/embed-loader-min.js");
Getty Images
Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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