2022-08-15
«Cos’è una donna?» Il docufilm che distrugge l’ideologia trans
Matt Walsh (Jason Davis/Getty Images)
L’editorialista conservatore americano Matt Walsh ha realizzato un’inchiesta ponendo a intellettuali e attivisti un solo interrogativo: «What is a woman?». Le risposte dei liberal svelano la follia Lgbt.La profondità del dramma si evince dalla difficoltà che i più trovano nel rispondere a una domanda semplicissima: che cosa è una donna? Matt Walsh, classe 1986, commentatore politico americano di orientamento conservatore ed editorialista di The Daily Wire, ha girato per gli Stati Uniti porgendo la questione a psicologi, professori universitari, terapisti di coppia e attivisti Lgbt. A tutti, senza polemica e con orecchie ben disposte all’ascolto, si è limitato a chiedere: What is a woman? Il risultato di tale inchiesta è un documentario di poco meno di due ore diretto da Justin Folk che negli Usa è stato visto da milioni di persone e ha suscitato una rovente discussione pubblica. Walsh non ha avuto bisogno di far trasparire più di tanto le proprie posizioni ideologiche, e non ha dovuto in alcun modo provocare i suoi interlocutori. Si può dire che, nella gran parte dei casi, essi abbiano fatto tutto da soli, contribuendo a creare un documento strabiliante, una prova quasi scientifica della pressoché totale inconsistenza (e pericolosità) delle teorie sulla fluidità e la modificazione del genere. Risposte e reazioni alle pacate richieste di Walsh sono difficili da descrivere tanto risultano impressionanti. Prendiamo il caso di Patrick Grzanka, che si occupa di studi sul gender e le donne all’Università del Tennessee. Walsh si accomoda nel suo studio e snocciola la solita interrogazione: What is a woman? Grzanka replica piccato con un’altra domanda: «Perché me lo stai chiedendo?». Poi cerca in ogni modo di eludere la questione. Infine, si decide a fornire una risposta: «Una donna è qualcuno che si identifica come donna».rabbia e fuga Walsh, senza perdere la calma, fa notare al professore che si tratta di una stravagante definizione «circolare», e insiste a chiedere che cosa sia - alla fine dei conti - quella «donna» con cui ci si identifica. «Non sto cercando un certo tipo di definizione», precisa Matt, impassibile. «Sto semplicemente cercando una definizione». A quanto pare, tuttavia, Grzanka non vuole o non è in grado di affrontare l’impresa: il docente di studi sulle donne non può dire che cosa sia una donna. Si arrabbia, dice di essere a disagio, accusa l’intervistatore di transfobia e poi interrompe la conversazione. Fa sorridere, ma è agghiacciante.Un’altra scena ha come protagonista Gert Comfrey. Biologicamente donna - come evidente dall’aspetto fisico - si definisce persona non binaria e lavora come «gender therapist». Curiosità: la Comfrey ha addirittura una master in Studi biblici alla Vanderbilt University. Tuttavia, neppure lei è in grado di rispondere alla solita domanda. Si limita a dire «è una grande domanda» e si cava dagli impicci con un colpo di tacco: «Poiché non sono una donna non so davvero risponderti».delirio totale Le chiacchierate di Walsh con i docenti universitari e gli attivisti si svolgono più o meno tutte nello stesso modo. Matt chiede, l’interlocutore sulle prime evita di rispondere, poi fornisce una risposta confusa, poi si incarta e alla prima obiezione si infastidisce, parla di transfobia e di solito prende il largo. Certo, è perfino comprensibile che chi prende estremamente sul serio le teorie gender sia restio a fornire risposte semplici a una domanda semplice. Comprenderemmo, dunque, se un intellettuale fornisse una definizione estremamente complessa e sfumata del termine donna. Ma il punto è che molti sembrano non essere del tutto in grado di definire una donna. O, meglio, è come se volessero evitare di farlo pur conoscendo in cuor loro la verità. Anche gli attivisti più convinti sanno - istintivamente, verrebbe da dire - che cosa sia una donna. E nella prima definizione che appare nella loro mente, le caratteristiche biologiche non sono affatto secondarie. Però si sforzano di abbattere l’istinto - la «natura» - e cercano di far prevalere la cultura, cioè il ragionamento, la costruzione dell’identità femminile. A quel punto, si incartano. Se un individuo si definisce «donna», infatti, è inevitabile che si riferisca a un modello, e questo modello corrisponde - con caratteristiche di volta in volta diverse - a un «essere umano di sesso femminile». Negarlo è assurdo, oltre che stupido. Come definire altrimenti la «donnità» che alcune persone «sentono» dentro di sé? Come ha notato più volte la filosofa francese Sylviane Agacinski, il transessuale avverte forte il desiderio di cambiare sesso, e in questo modo riafferma la differenza fra maschio e femmina. Invece, i teorici transfemministi che puntano ad abolire la differenza le idee sembrano avercele piuttosto confuse. In più, non contenti, cercano di imporle all’universo mondo provando per giunta a cancellare ogni forma di dissenso. in sala operatoria Il quadro si complica quando dalla teoria fumosa e contorta si passa alla pratica clinica, alla realtà della transizione chirurgica e della medicalizzazione. Matt Walsh, nel corso del suo viaggio allucinante, incontra Marci Bowers, chirurgo pediatrico che ha eseguito migliaia di interventi chirurgici, moltissimi dei quali su minorenni. Ascoltandola, si scopre che sostanzialmente tutti coloro che si sottopongono a questo tipo di operazione non saranno in grado di provare soddisfazione sessuale. La Bowers può creare in sala operatoria organi sessuali artificiali e funzionanti, ma non ha la possibilità di dotare i suoi pazienti della capacità di provare piacere. Basterebbero fatti come questi a suggerire una enorme prudenza, specialmente quando si tratta di indirizzare i minori verso la transizione. Qualora però tutto ciò non bastasse, si può aggiungere l’ennesima testimonianza raccolta dall’editorialista del Daily Wire, quella di una donna che ormai da anni ha cambiato sesso, diventando uomo. Il suo racconto è straziante: operazioni su operazioni, farmaci da assumere costantemente e la consapevolezza che «non sarò mai davvero un maschio». Dalle sue parole, emerge una sofferenza che gli attivisti cercano costantemente di negare, di nascondere sotto i lustrini e le canzoni. Non c’è dubbio che si tratti di situazioni difficili da sbrogliare, e di temi estremamente delicati, che vanno affrontati con sensibilità estrema: caso per caso, persona dopo persona. E non rassicura affatto sapere che a gestire questa materia incandescente siano i portabandiera di teorie fumose e inconsistenti.Ps. Nel documentario, qualcuno che sa rispondere alla domanda su che cosa sia una donna in effetti c’è: il capo di una tribù di Masai che Walsh si perita di visitare. Va diretto al punto su ogni questione, solo una volta rimane senza parole: quando Matt gli chiede se sa che cosa significhi «non binario».