2022-06-07
Il Copasir smentisce il «Corriere»: «Non indaghiamo sugli influencer»
Il presidente del Copasir, Adolfo Urso (Imagoeconomica)
Secondo il quotidiano, l’elenco dei presunti «agenti» pro Mosca è stato compilato dal Comitato presieduto da Adolfo Urso. Che però nega. Un report dei servizi esiste, ma è stato presentato dopo l’uscita degli articoli.Due giorni, tre pagine. Domenica mattina, a pagina 6, il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo a firma Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini con un titolo suggestivo e diretto: «I putiniani d’Italia». Sommario: «Il materiale raccolto dai servizi individua i canali usati per la propaganda e ricostruisce i contatti. Così la Rete fa partire la controinformazione». Ieri il ritorno di fiamma: il giornale di via Solferino ha insistito con la pubblicazione della lista di proscrizione dei presunti putiniani italiani. Una «rete», così la definiscono gli augusti colleghi, di «politici, economisti, freelance, opinionisti», i quali incarnerebbero la «minaccia ibrida russa». Che cosa farebbero questi agenti nemici? Semplice: tenterebbero di «influenzare il dibattito nei Paesi occidentali con propaganda, disinformazione, fake news». Si potrebbe obiettare che è esattamente ciò che fa la gran parte della stampa cosiddetta mainstream, solo in un’altra direzione. In ogni caso, il Corriere procede tetragono e coglie l’occasione per ribadire nomi e cognomi dei sospettati di tradimento. Giornalisti come Giorgio Bianchi e Maurizio Vezzosi, analisti come l’ottantaquattrenne Manlio Dinucci e vari altri. Persone che in molti casi non si conoscono fra loro e le cui posizioni sono sempre state espresse alla luce del sole. In pratica, a costoro si rimprovera di avere idee diverse da quelle del nostro governo. Il punto è: chi li rimprovera? E di che cosa lì accusa nello specifico? Ecco, questo passaggio non è molto chiaro. Secondo il Corriere a occuparsi delle quinte colonne moscovite in Italia sarebbe stato il Copasir, e a tal proposito il giornale esibisce le dichiarazioni del vicepresidente Federica Dieni dei 5 stelle. «Stiamo facendo approfondimenti sulle forme di disinformazione e di ingerenze straniere», dice la signora, «siamo in attesa di alcune risposte». Quindi non solo il comitato avrebbe elaborato il catalogo di nemici del popolo, ma starebbe addirittura allargando l’indagine, in cerca di altri pericolosi sabotatori. Piccolo problema. Adolfo Urso, senatore di Fratelli d’Italia e presidente del Copasir, fornisce una versione decisamente diversa. «In merito a quanto riportato da alcuni organi di stampa», dice Urso in una nota stampa, «il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica rileva di non aver mai condotto proprie indagini su presunti influencer e di aver ricevuto solo questa mattina un report specifico che per quanto ci riguarda, come sempre, resta classificato. Peraltro», continua il senatore, «il Comitato si attiene sempre scrupolosamente a quanto previsto dalla legge 124/2007, non è una Commissione di inchiesta ma organo di controllo e garanzia; non ha poteri di indagine ma ottiene informazioni dagli organi preposti, nel corso di audizioni o sulla base di specifiche richieste, anche al fine di realizzare, ove lo ritenga, relazioni tematiche al Parlamento».Insomma, Urso, presidente del Copasir, smentisce ciò che il Corriere della Sera ha affermato per ben due giorni di fila. E cioè che sia stato il suo comitato a mettere in piedi il bailamme sui putiniani. Non solo. Urso conclude il suo comunicato stampa con una sorta di ammonimento, auspicando «soprattutto su questa vicenda, che vi sia sempre una corretta attribuzione e riconoscibilità delle fonti proprio al fine di garantire quella libera e corretta informazione che è alla base della nostra democrazia, e che ciascuno si attenga alle proprie responsabilità, nella piena e leale collaborazione tra gli organi dello Stato».Capite bene che qui qualcosa non torna. Se non è stato il Copasir a indagare sui putiniani immaginari, chi è stato? Secondo quanto risulta alla Verità, esiste effettivamente un report sull’attività online a favore di Mosca ed evidentemente è stato realizzato dal Dis o direttamente dall’Aisi secondo il metodo che in gergo si chiama «da fonti aperte». In pratica si setaccia il Web e si passano in rassegna i social secondo parole chiave. Questo report (che contiene anche informazioni sulle minacce rivolte allo stesso Urso) è stato sì consegnato al Copasir, ma soltanto ieri mattina (lunedì) intorno alle 10. Quindi 24 ore dopo l’uscita dell’articolo sul Corriere. Curioso, no? Se le cose stanno così, per quale motivo il Corriere ha sentito l’esigenza di tirare in mezzo il Copasir anche se non c’entrava direttamente? Il comitato guidato da Urso si sta occupando di monitorare l’attività dei talk show italiani, specialmente quelli della Tv di Stato in relazione a possibili infiltrazioni russe. Ma non si è mai dedicato alla compilazione di liste di proscrizione di giornalisti, opinionisti o influencer. La sensazione, dunque, è che qualcuno stia cercando di rimescolare le carte, attribuendo al Copasir una attività di indagine che in realtà è stata svolta dai servizi, e come tale non dovrebbe avere natura politica. È un modo per lanciare messaggi o per intimidire qualche esponente politico a mezzo stampa? Oppure è un tentativo di gettare fango sulle voci critiche attribuendo la responsabilità a un organo istituzionale? Non lo sappiamo, e forse dovrebbe essere il Corriere a chiarirlo, spiegando da dove provengano certe informazioni: sono veline? Oppure davvero il Copasir ha prodotto un elenco di putiniani e Urso mente (improbabile, ma chissà)? Comunque sia, ormai la frittata è fatta. I nomi dei reprobi sono finiti in prima pagina, le accuse a mezzo stampa sono state formulate, il fango è stato sparso in abbondanza. In fondo non stupisce, non è la prima volta che accade. Sconforta un po’ che il più blasonato quotidiano italiano si presti a certe operazioni. Dopo tutto, però, i giornali sono lo specchio della nazione.
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