2021-07-26
Contro Storari tutta l’ipocrisia delle toghe
Il pubblico ministero che si è ribellato all'insabbiamento dei verbali di Piero Amara ora rischia di essere cacciato. Il Csm ha deciso di punire lui e non la Procura, anche se informò Piercamillo Davigo sulla presunta loggia Ungheria. Il sistema è fuori controllo e va risanato.Venerdì il Consiglio superiore della magistratura si occuperà di Paolo Storari, decidendo se rimuoverlo e trasferirlo ad altri incarichi, cioè lontano da Milano, impedendogli di fare il pm. Vi state chiedendo chi sia costui da meritare l'attenzione del parlamentino dei giudici e, anche se di minore importanza, la nostra? Storari è il pm che è riuscito in un colpo solo a mettere nei guai mezza Procura di Milano e un mammasantissima delle toghe come Piercamillo Davigo e ad aprire uno squarcio sull'uso e l'abuso dell'obbligatorietà dell'azione penale. Come Luca Palamara, ex capo di una delle correnti più importanti della magistratura, Storari è nei fatti il testimonial migliore non solo della necessità di una profonda riforma della giustizia, cioè di qualche cosa di più incisivo della legge proposta da Marta Cartabia, ma è anche un esempio di quanto sia urgente affrettarsi a firmare i referendum proposti da Lega e Radicali sulla responsabilità civile delle toghe e sul funzionamento dello stesso Csm.Il caso Storari, al pari del caso Palamara, è la dimostrazione di un sistema impazzito e fuori controllo, dominato dalle camarille e dalle guerre tra bande. In pratica, il pm milanese è colui che raccoglie le confidenze di un ballista di nome Piero Amara, uno che a suon di fandonie mescolate a mezza verità ha portato a spasso, salvandosi fino a poco tempo fa dalla galera, alcuni importanti magistrati. Quando incappa in Storari, l'ex avvocato dell'Eni diventato confidente dei pm, svela l'esistenza di una presunta loggia massonica denominata Ungheria. Dal racconto di Amara, l'associazione segreta sembra il buco nero del nostro Paese, la madre di tutti i segreti inconfessati. Ma curiosamente, invece di indagare gli aderenti alla presunta loggia o di indagare Amara per calunnia, a Milano si decide di chiudere in un cassetto la faccenda. Vi domandate perché, visto che esiste l'obbligatorietà dell'azione penale e dunque ogni notizia di reato va approfondita? La risposta è che Amara era testimone dell'accusa contro l'Eni e dunque non era il caso di aprire un fascicolo che avrebbe fatto tremare le gambe a tanti o avrebbe fatto traballare il processo Eni. Dunque, si fa finta di niente, cioè che Amara non abbia parlato. Peccato che Storari non sia d'accordo e di fronte all'inerzia del suo ufficio decida di passare i verbali - secretati - a Piercamillo Davigo, che all'epoca era il capo di una corrente della magistratura, oltre che un esponente del Csm. L'ex dottor Sottile del pool che fa? Respinge le carte perché coperte da segreto o corre a denunciare tutto, ritenendo che a Milano non stiano facendo il loro dovere? Né l'una né l'altra cosa. Davigo si rivolge al vicepresidente del Csm, al procuratore generale della Cassazione, ad alcuni colleghi, perfino al capo della commissione Antimafia, l'ex grillino Nicola Morra. Ma i suoi sono sempre discorsi ufficiosi, perché mai fa mettere a verbale o pretende l'apertura di qualche pratica. Risultato, mentre la faccenda gira di bocca in bocca e coinvolge una serie di personalità di spicco, qualcuno si incarica di consegnare i documenti ai giornali, che invece di pubblicare consegnano tutto in Procura. E qui parte la rumba, perché viene aperta un'inchiesta per fuga di notizie, sulla quale indaga lo stesso Storari che, con il senno di poi, è involontariamente all'origine della fuga di notizie. La storia, come avrete capito, è incredibile, perché ci sono un testimone che svela presunti reati, una Procura che mette in sonno il verbale, un pm che non ci sta, un consigliere del Csm che fa girare i documenti, un'indagine per fuga di notizie affidata a colui che forse è all'origine della fuga, un procuratore generale della Cassazione che, pur avendo avuto notizia di un'indagine finita su un binario morto, si attiva solo contro il pm che contesta l'inattività dei suoi capi. Nel frattempo, si muovono la Procura di Brescia che indaga su quella di Milano per scoprire come mai nascose delle prove a discarico degli imputati, e i vertici della magistratura inquirente milanese che fanno muro per non alzare il velo su che cosa è successo nel processo Eni. Ecco, non so a voi, ma a me il procedimento disciplinare a carico del pm Storari, cioè di colui che non accettava di non indagare su notizie di reato e per questo si rivolse a Davigo, pare uno straordinario esempio di ipocrisia della magistratura, la quale non deve prendersela con il solo Storari, ma se vuole davvero restituire alle toghe il prestigio che dovrebbero avere, ha il dovere di rimuovere non Storari, bensì gli interi vertici della Procura di Milano. Si può ignorare che un video fondamentale per l'assoluzione degli imputati non sia stato consegnato né alla difesa né ai giudici? Ci si può rifiutare di consegnare una rogatoria che potrebbe chiarire una volta per tutte l'attendibilità di un teste e la probabile subornazione di un altro testimone? Ovvio che no. L'accusa, cioè i pm, non possono nascondere le prove a discarico, anche se queste demoliscono l'impianto che ha prodotto un rinvio a giudizio. I fatti sono fatti e vanno presi come tali e dunque anche il procuratore generale della Cassazione, se vuole apparire imparziale, ha il dovere di agire non solo nei confronti di Storari per violazione del segreto istruttorio, ma anche dei suoi colleghi, per l'omissione di atti d'ufficio.Come dicevo, gli sviluppi del caso sono la prova che qualche cosa va cambiato nella magistratura. Il Csm così non funziona e neppure il processo penale sbilanciato a favore dei pm funziona. La riforma Cartabia andrebbe modificata, ma non per dare maggior potere ai pm, al contrario per ridurlo, cioè per impedire che siano arbitri delle nomine e anche dell'azione disciplinare, consentendo finalmente che anche fra le toghe chi sbaglia possa pagare. Il caso Storari e quello di Luca Palamara dimostrano che la battaglia dei 5 stelle per estendere la prescrizione è roba da manettari, che poco ha a che fare con la giustizia. Se si vuole cambiare c'è ben altro da fare che discutere di improcedibilità, faccenda che allarma solo la redazione del Fatto e alcuni suoi amici pm, i quali vedono sfuggire la possibilità di tenere aperti all'infinito i processi. Grazie al cielo, Giuseppe Conte e i grillini su questo argomento sono stati messi da Mario Draghi con le spalle al muro. Checché ne pensi Marco Travaglio, i 5 stelle o mangiano la minestra cucinata da Marta Cartabia o saltano dalla finestra, cioè escono dal governo, suicidandosi. Nonostante la raffica di titoli sparati dalla ridotta del Fatto, l'ex presidente del Consiglio pare non avere gran voglia di suicidarsi. Così, ieri è stato costretto a smentire il voto di sfiducia al governo. Probabilmente se ne uscirà con la promessa di una rapida caducazione della riforma. Noi intanto aspettiamo la caducazione della sua leadership.Ps. Pare che 50 pm abbiano firmato una lettera a sostegno del collega Storari. Se la notizia corrispondesse al vero sarebbe la dimostrazione che nella Procura di Milano qualche cosa non funziona.
Attività all'aria aperta in Val di Fassa (Gaia Panozzo)
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