2021-11-05
Contro le censure Lgbt serve un’Arcifamiglia
In questo Paese di aborto, natalità e differenza tra i sessi si può parlare solo se si rispettano i dogmi progressisti. Altrimenti chi osi difendere la vita o il legame naturale tra uomo e donna viene zittito e tacciato di oscurantismo. Urge una resistenza culturaleViviamo in un Paese in cui si discute tranquillamente e ormai da tempo, sui giornali e in televisione, di come dare la morte, cioè se l’iniezione letale la debba passare la mutua oppure se siano le persone che intendono farla finita a doversi fare carico delle spese e dell’assistenza al suicidio. Tuttavia, dalle nostre parti, non si può dibattere della vita, pena essere contestati e accusati di oscurantismo. Proprio così: di aborto, di natalità, di famiglia, di differenza fra i sessi si può parlare soltanto se si accetta di restare all’interno dell’ordine del discorso stabilito dagli intellettuali progressisti. Altrimenti si viene insultati, censurati, considerati omofobi e razzisti. Ne abbiamo avuto una chiarissima dimostrazione non molto tempo fa, durante il Congresso mondiale delle famiglie che si è svolto a Verona nel 2019. I relatori del congresso, per la sola colpa di aver voluto discutere per tre giorni di come tutelare la vita, di come aiutare la famiglia naturale, sono infatti finiti nel mirino della lobby Lgbt, cioè di lesbiche, gay, bisex e transex, i quali spalleggiati da decine di organizzazioni della sinistra hanno predisposto una chiassosa contro manifestazione. Secondo costoro infatti può esistere l’Arcigay, l’Arcibisex e forse anche l’Arcitransex, ma l’Arcifamiglia no, perché chi difende la famiglia, intesa come unione fra un uomo e una donna e non tanto come matrimonio, propugna secondo i compagni idee pericolose e retrograde, dunque fasciste.Già. Dire che i bambini nascono da un uomo e una donna e non da una provetta, non da un utero in affitto, non dal potere dei soldi che compra tutto, anche la vita, è Medioevo. Significa non essere moderni, non capire che la famiglia ha fallito, perché è un’istituzione arcaica, superata dai tempi e dalla moda.In Italia può parlare chiunque. Chi sponsorizzi l’eutanasia, chi faccia propaganda per movimenti terroristici, e anche chi consideri il transessualismo una forma di eroismo moderno. Ma se si azzarda ad aprire bocca qualcuno che è a favore della famiglia, ossia di un nucleo formato da un uomo e una donna - sposati o no, regolarizzati in chiesa o in municipio -, con dei bambini che siano concepiti senza l’aiuto della scienza, allora sono dolori. bavaglioSempre durante quei giorni del 2019, ho sentito personalmente, a Porta a Porta, la senatrice Monica Cirinnà, esponente del Pd che ha fatto da levatrice alla legge sulle unioni civili, dire che un congresso sulla famiglia deve parlare di tutte le famiglie. Chiaro: se si parla di famiglie naturali e non di famiglie gay, arcobaleno o arancione, si vìola il codice politicamente corretto imposto dalla sinistra e dalla stampa che le tiene bordone. Vietato parlare di famiglie normali. Secondo il pensiero unico è obbligatorio discutere anche delle altre famiglie. Ma il bavaglio che si vuole imporre non riguarda solo l’unione fra un uomo e una donna, da cui fino a prova contraria nascono i bambini, bensì anche il tema della vita o, meglio, dell’aborto. Un fuoco di sbarramento preventivo impedisce di discutere dell’interruzione di gravidanza, perché anche solo pensare di introdurre aiuti a favore di donne che per varie ragioni, economiche o psicologiche, non intendono portare a compimento la gestazione è ritenuto fascista. La 194 non si tocca, dicono i compagni facendo riferimento alla legge del 1974. Ma forse, prima di pensare a toccarla, sarebbe il caso di applicarla.Se poco meno di 50 anni fa fu introdotta una regolamentazione per l’interruzione di gravidanza non fu per favorire gli aborti, ma per impedire quelli clandestini, che spesso si concludevano con la morte della donna. La 194 prevedeva di mettere in campo misure per aiutare le donne che non volevano avere un figlio. Essendo la scelta dettata spesso da motivazioni economiche o sociali, oltre che da ragioni morali o psicologiche, la legge avrebbe dovuto rimuovere gli ostacoli, favorendo una scelta consapevole prima di arrivare alla sala in cui si pratica l’aborto.solita protervia Ma questa parte in tanti se la sono dimenticata, preferendo procedere con la meccanica interruzione della gravidanza. A distanza di quasi mezzo secolo dalla 194, è dunque un reato discutere di come aiutare le donne, evitando che facciano ricorso all’aborto per risolvere i loro problemi? Spesso sentiamo femministe (o presunte tali) e giornaliste che si considerano molto al passo con i tempi dichiarare - con protervia tutta la protervia di cui la sinistra è capace - che solo le donne possono discutere di aborto. Ovvio. Costoro si ritengono le «vere democratiche» che hanno il monopolio del dibattito. Loro non sono fasciste e neppure vengono dal Medioevo. Sono solo compagne. Unite dalla prepotenza e dalla certezza che su famiglia, aborto e temi etici il pensiero debba essere unico. Il loro. Il comunismo in fondo era questo. La famiglia non esisteva. Esisteva il partito. E anche i figli non erano di mamma e papà, ma del comitato centrale. [...]
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco
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