
Temendo l'infezione, ho attivato la procedura prevista dalla Asl di Roma. Assistenza perfetta, salvo restare una settimana in attesa dell'esito. Ma è bastato recarmi all'hot spot di Fiumicino, dedicato a chi rientra dall'estero, per sapere di essere negativo in mezz'ora.«Tempestivamente» e «responsabilmente». Quante volte ci siamo sentiti ripetere queste due parole come un mantra dal nuovo «ordine» di sacerdoti e sacerdotesse devoti al culto della mascherina e di quant'altro? Avendo sintomi influenzali (senza febbre), responsabilmente e tempestivamente ho segnalato la cosa. Tempestivamente, gli operatori della Asl Roma 3 competente martedì scorso (15 settembre) sono venuti a casa a farmi il tampone per il virus malefico. Il lunedì 21 ero ancora ad aspettare l'esito. Ieri, da turista «per caso Covid» all'aeroporto ci ho messo mezz'ora… Per una settimana avrei potuto essere positivo «pauci-sintomatico» con sintomi lievi e rappresentare un pericolo per gli altri, o essere fortunatamente negativo ma in ogni caso costretto a rinunciare ad ogni impegno di lavoro e personale anche se da giorni non ho più alcun malessere. Di ritorno da una trasferta di lavoro fuori del Lazio, la sera di sabato 12 avverto i soliti segnali dell'influenza: un po' raffreddato, qualche brivido, ossa rotte, non ho febbre. La situazione resta invariata domenica e lunedì mattina. Così per rispetto dei miei colleghi e di chi dovrei incontrare avvio la trafila tramite il medico di base. Rintraccio il dottor Davide Fabretti, sostituto della mia dottoressa che è in ferie settembrine. Giovane medico e sveglio ritiene che, comunque, anche senza febbre, potrei essere stato infettato dal Sars-Cov2 e tempestivamente manda la mail alla Asl Roma 3 competente, intorno alle 16. Alle 18 ricevo la telefonata dalla Asl (06 56487404): «Domani veniamo a casa per il tampone, dalle 14».Caspita, funziona. Apprezzo l'efficacia ancora di più il giorno dopo, martedì 15. Alle 16 è sulla porta l'infermiera tutta bardata, molto professionale. Mi infila il tubicino in gola e nel naso. Solo un po' fastidioso. Quanto tempo ci vuole per avere il risultato? «Tre-quattro giorni, le comunicheranno il referto» risponde.Non saranno le 24/48 ore previste ma pazienza. Anche perché, dove vado? Non sto in piedi, la spossatezza è ancora più accentuata, la sera soprattutto dentro le ossa mi sembra di avere qualcuno che le prende a martellate. Invece finisco nel limbo. Tachipirina e aspetto. Intanto penso a cosa hanno vissuto tante persone, malate, chiuse in casa e abbandonate a sé stesse, al culmine dell'emergenza. Giovedì 17 non ho più nessun sintomo, merito del Padreterno non della Asl Roma 3. Nel pomeriggio, quindi, comincio a telefonare a quello stesso numero da cui mi avevano chiamato. Una, cinque, dieci volte. Nessuna risposta. Venerdì 18 verso le 17, botta di fortuna: rispondono. Voce femminile: «Noi facciamo i tamponi, non ci occupiamo dell'esito. Deve mandare una mail a sorveglianza.domiciliare@aslroma3.it». Mando subito la mail. Nessuna risposta.Il giorno dopo, sabato 19, siccome penso che un servizio di emergenza in piena pandemia non osservi la settimana corta, verso le 11.30 invio una Pec allo stesso indirizzo. Nessuna risposta. Per non sapere né leggere né scrivere e perché della mia privacy decido io che fare, intorno alle 13 inoltro la Pec anche a direzione.generale@aslroma3 e aslroma4 (sono gestite dallo stesso commissario, Giuseppe Quintavalle). Zero: io, potenziale appestato, per il servizio di prevenzione anti Covid del Lazio sono un fantasma. In conclusione, se risulterò positivo sono stato tenuto sette giorni senza alcuna informazione. Se risulterò negativo, qualcuno si pone il problema anche del danno economico (alla mia azienda per prima che mi paga uno stipendio) che provoca questa inattività forzata? E se fossi un libero professionista, o un commerciante?In uno Stato di diritto, e non in una dittatura come la Cina, un individuo può essere privato della libertà personale solo dall'autorità giudiziaria nell'applicare la legge. Secondo, per essere trattenuto per ragioni di sanità pubblica è lo Stato che deve provare la mia pericolosità, non viceversa.Il terzo aspetto, concretamente, è il più importante. Per rafforzare il sistema di controllo dell'epidemia sul territorio sono state destinate risorse importanti, parecchi infermieri e operatori sanitari sono stati sottratti agli ospedali. Ma questo sforzo enorme rischia di essere vanificato dalla burocrazia. Si colga l'occasione, da Giuseppe Conte a Nicola Zingaretti, di mettere mano una volta per tutte alla verifica del grado di efficienza della parte amministrativa nella sanità. Altrimenti quanti nei prossimi mesi, alle prese con sindromi influenzali, si autoconvinceranno che non è Covid ma «solo influenza» evitando i controlli, e quanti semplicemente se ne fotteranno?Bene. Sapete come è finita? Ieri mattina il medico di base, il dottor Pietro Chinca (sì, nel frattempo il sostituto è cambiato) mi ha spedito al drive in dell'aeroporto «Leonardo Da Vinci». Dopo 30 minuti ho avuto la riposta al tampone rinofaringeo rapido «tipo SD Biosensor Standard Q »: NEGATIVO. Grazie a Dio. Il test rapido è appena meno preciso del tampone molecolare praticato dalla Asl, il quale - quest'ultimo - è indispensabile per verificare la guarigione dopo un'accertata positività. Ma è sufficientemente preciso tant'è che viene fatto a quelli che arrivano da Paesi a rischio per autorizzarli ad entrare in Italia.E a conferma della sua attendibilità è arrivato anche il risultato - NEGATIVO - qualche ora dopo dalla Asl, miracolo. Come? Dopo aver attivato la procedura d'emergenza che alle brutte usiamo noi giornalisti: chiamiamo. In questo caso la direzione generale della Asl. «Sa, nella bailamme c'è stato un disguido…». Ok, grazie. Ma c'è qualcosa che non va.Perché per dirmi se ho il coronavirus all'aeroporto c'è voluta mezz'ora e alla Asl non è bastata una settimana?
Francobollo sovietico commemorativo delle missioni Mars del 1971 (Getty Images)
Nel 1971 la sonda sovietica fu il primo oggetto terrestre a toccare il suolo di Marte. Voleva essere la risposta alla conquista americana della Luna, ma si guastò dopo soli 20 secondi. Riuscì tuttavia ad inviare la prima immagine del suolo marziano, anche se buia e sfocata.
Dopo il 20 luglio 1969 gli americani furono considerati universalmente come i vincitori della corsa allo spazio, quella «space race» che portò l’Uomo sulla Luna e che fu uno dei «fronti» principali della Guerra fredda. I sovietici, consapevoli del vantaggio della Nasa sulle missioni lunari, pianificarono un programma segreto che avrebbe dovuto superare la conquista del satellite terrestre.
Mosca pareva in vantaggio alla fine degli anni Cinquanta, quando lo «Sputnik» portò per la prima volta l’astronauta sovietico Yuri Gagarin in orbita. Nel decennio successivo, tuttavia, le missioni «Apollo» evidenziarono il sorpasso di Washington su Mosca, al quale i sovietici risposero con un programma all’epoca tecnologicamente difficilissimo se non impossibile: la conquista del «pianeta rosso».
Il programma iniziò nel 1960, vale a dire un anno prima del lancio del progetto «Gemini» da parte della Nasa, che sarebbe poi evoluto nelle missioni Apollo. Dalla base di Baikonur in Kazakhistan partiranno tutte le sonde dirette verso Marte, per un totale di 9 lanci dal 1960 al 1973. I primi tentativi furono del tutto fallimentari. Le sonde della prima generazione «Marshnik» non raggiunsero mai l’orbita terrestre, esplodendo poco dopo il lancio. La prima a raggiungere l’orbita fu la Mars 1 lanciata nel 1962, che perse i contatti con la base terrestre in Crimea quando aveva percorso oltre 100 milioni di chilometri, inviando preziosi dati sull’atmosfera interplanetaria. Nel 1963 sorvolò Marte per poi perdersi in un’orbita eliocentrica. Fino al 1969 i lanci successivi furono caratterizzati dall’insuccesso, causato principalmente da lanci errati e esplosioni in volo. Nel 1971 la sonda Mars 2 fu la prima sonda terrestre a raggiungere la superficie del pianeta rosso, anche se si schiantò in fase di atterraggio. Il primo successo (ancorché parziale) fu raggiunto da Mars 3, lanciato il 28 maggio 1971 da Baikonur. La sonda era costituita da un orbiter (che avrebbe compiuto orbitazioni attorno a Marte) e da un Lander, modulo che avrebbe dovuto compiere l’atterraggio sulla superficie del pianeta liberando il Rover Prop-M che avrebbe dovuto esplorare il terreno e l’atmosfera marziani. Il viaggio durò circa sei mesi, durante i quali Mars 3 inviò in Urss preziosi dati. Atterrò su Marte senza danni il 2 dicembre 1971. Il successo tuttavia fu vanificato dalla brusca interruzione delle trasmissioni con la terra dopo soli 20 secondi a causa, secondo le ipotesi più accreditate, dell’effetto di una violenta tempesta marziana che danneggiò l’equipaggiamento di bordo. Solo un’immagine buia e sfocata fu tutto quello che i sovietici ebbero dall’attività di Mars 3. L’orbiter invece proseguì la sua missione continuando l’invio di dati e immagini, dalle quali fu possibile identificare la superficie montagnosa del pianeta e la composizione della sua atmosfera, fino al 22 agosto 1972.
Sui giornali occidentali furono riportate poche notizie, imprecise e incomplete a causa della difficoltà di reperire notizie oltre la Cortina di ferro così la certezza dell’atterraggio di Mars 3 arrivò solamente dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Gli americani ripresero le redini del successo anche su Marte, e nel 1976 la sonda Viking atterrò sul pianeta rosso. L’Urss abbandonò invece le missioni Mars nel 1973 a causa degli elevatissimi costi e della scarsa influenza sull’opinione pubblica, avviandosi verso la lunga e sanguinosa guerra in Afghanistan alla fine del decennio.
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Il presidente torna dal giro in Francia, Grecia e Spagna con altri missili, caccia, radar, fondi energetici. Festeggiano i produttori di armi e gli Stati: dopo gli Usa, la Francia è la seconda nazione per export globale.
Il recente tour diplomatico di Volodymyr Zelensky tra Atene, Parigi e Madrid ha mostrato, più che mai, come il sostegno all’Ucraina sia divenuto anche una vetrina privilegiata per l’industria bellica europea. Missili antiaerei, caccia di nuova generazione, radar modernizzati, fondi energetici e contratti pluriennali: ciò che appare come normale cooperazione militare è in realtà la struttura portante di un enorme mercato che non conosce pause. La Grecia garantirà oltre mezzo miliardo di euro in forniture e gas, definendosi «hub energetico» della regione. La Francia consegnerà 100 Rafale F4, sistemi Samp-T e nuove armi guidate, con un ulteriore pacchetto entro fine anno. La Spagna aggiungerà circa 500 milioni tra programmi Purl e Safe, includendo missili Iris-T e aiuti emergenziali. Una catena di accordi che rivela l’intreccio sempre più solido tra geopolitica e fatturati industriali. Secondo il SIPRI, le importazioni europee di sistemi militari pesanti sono aumentate del 155% tra il 2015-19 e il 2020-24.
Imagoeconomica
Altoforno 1 sequestrato dopo un rogo frutto però di valutazioni inesatte, non di carenze all’impianto. Intanto 4.550 operai in Cig.
La crisi dell’ex Ilva di Taranto dilaga nelle piazze e fra i palazzi della politica, con i sindacati in mobilitazione. Tutto nasce dalla chiusura dovuta al sequestro probatorio dell’altoforno 1 del sito pugliese dopo un incendio scoppiato il 7 maggio. Mesi e mesi di stop produttivo che hanno costretto Acciaierie d’Italia, d’accordo con il governo, a portare da 3.000 a 4.450 i lavoratori in cassa integrazione, dato che l’altoforno 2 è in manutenzione in vista di una futura produzione di acciaio green, e a produrre è rimasto solamente l’altoforno 4. In oltre sei mesi non sono stati prodotti 1,5 milioni di tonnellate di acciaio. Una botta per l’ex Ilva ma in generale per la siderurgia italiana.
2025-11-20
Mondiali 2026, il cammino dell'Italia: Irlanda del Nord in semifinale e Galles o Bosnia in finale
True
Getty Images
Gli azzurri affronteranno in casa l’Irlanda del Nord nella semifinale playoff del 26 marzo, con eventuale finale in trasferta contro Galles o Bosnia. A Zurigo definiti percorso e accoppiamenti per gli spareggi che assegnano gli ultimi posti al Mondiale 2026.





