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2023-11-24
Contro il governo si aggrappano alle bufale
Francesco Lollobrigida (Ansa)
Errare è umano, perseverare è sinistro: il caso degli attacchi scomposti al ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, colpevole di aver fatto il suo dovere di uomo delle istituzioni, è solo l’ultimo episodio della serie horror di critiche al governo non solo assolutamente infondate, ma pure controproducenti per la credibilità politica di Pd, Avs, renziani, grillini e compagnia urlante. Attacchi che hanno l’unico scopo di produrre un po’ di fuffa propagandistica, di creare baruffe social per un paio di giorni, ma che, basati sul nulla, dopo qualche giorno spariscono nel niente.
Il caso del treno di Lollobrigida è già stato ampiamente sviscerato: si accusa il ministro di essere sceso da un treno che aveva accumulato due ore di ritardo. Dal punto di vista formale, nessun problema: «La fermata a Ciampino», ha scritto Trenitalia in una nota ufficiale, «non ha comportato ulteriore ritardo per i viaggiatori, né ripercussioni sulla circolazione, né costi aggiuntivi per l’azienda. Il treno si è fermato poco dopo Roma Termini per quanto stava accadendo in linea e la deviazione via Cassino è stata decisa anche in virtù della fermata già prevista a Napoli Afragola. Dopo la ripartenza», ha aggiunto Trenitalia, «è stata disposta la fermata presso la stazione di Ciampino, dove sono scese le istituzioni presenti a bordo, per poter far fronte a impegni istituzionali».
Lollobrigida, come ormai noto, non era diretto verso Napoli per andare a mangiarsi una bella pizza con gli amici, ma era atteso a Caivano, comune dell’hinterland straziato dalla presenza della camorra, che il governo guidato da Giorgia Meloni sta cercando con ogni mezzo di riqualificare, dal punto di vista sociale, culturale, e pure architettonico. Lollobrigida doveva piantare un albero intitolato a Giovanni Falcone in un parco appena riqualificato, che fino a qualche settimana fa era una piazza di spaccio. Se fosse rimasto a bordo del treno, a Caivano sarebbe arrivato di notte, deludendo chi lo attendeva ma soprattutto lanciando un segnale devastante: un esponente del governo che si presenta con ore di ritardo a un appuntamento così importante. Siamo abbastanza certi che qualcuno da sinistra avrebbe detto: «Lollobrigida doveva scendere dal treno appena possibile e andare a Caivano con l’auto, evidentemente per lui la lotta alla camorra non è una priorità, si dimetta!». Potete scommetterci: sarebbe andata così.
Un altro caso di scuola della assoluta inconsistenza delle opposizioni è quanto accaduto a Matteo Salvini nelle ore immediatamente successive all’arresto di Filippo Turetta. «Bene. Se colpevole», scrive sui social Salvini, «nessuno sconto di pena e carcere a vita». Apriti cielo: quel «se colpevole» scatena una valanga di critiche nei confronti del leader della Lega, non si comprende per quale motivo, considerato che in Italia c’è una Costituzione che prevede che una persona possa essere giudicata colpevole solo da un tribunale. Se proprio vogliamo essere pignoli, ora potremmo anche toglierlo, quel «se colpevole», considerato che Turetta ha successivamente confessato di essere l’assassino della povera Giulia Cecchettin. Ma al momento dell’arresto, e del tweet di Salvini, un uomo delle istituzioni non poteva fare altro che esprimersi in forma dubitativa, altrimenti sarebbe stato accusato di ignorare la Costituzione. La valanga di critiche costringe Salvini a una precisazione: «Per gli assassini carcere a vita», scrive il vicepremier qualche ora dopo il primo post, «con lavoro obbligatorio. Ovviamente, come prevede la Costituzione, dopo una condanna stabilita in tribunale augurandoci tempi rapidi e nessun buonismo, anche se la colpevolezza di Filippo pare evidente a me e a tutti». Precisazione pleonastica, se non fossimo in un Paese dove le sparate propagandistiche delle opposizioni costringono gli esponenti del governo a dover sottolineare l’ovvio.
Altro giro, altra corsa: il Pnrr. Per mesi e mesi le opposizioni hanno accusato il governo di non essere in grado di definire i progetti, e quindi di essere colpevole di far perdere all’Italia i milioni messi a disposizione dall’Europa. Da cronisti avremo letto, e non esageriamo, alcune migliaia di dichiarazioni di piddini, grillini, renziani, calendini e sinistrini all’insegna del catastrofismo. E invece? E invece l’Europa ha dato l’ok a tutte le modifiche presentate dal ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, che ha gestito in maniera impeccabile un dossier molto complicato ed è riuscito a rimodulare il piano eliminando i progetti irrealizzabili previsti dai precedenti governi e interloquendo in maniera efficace e responsabile con la Commissione europea. Non lo diciamo noi: lo dice la Commissione europea, che, come ha scritto ieri La Stampa, «ha dato l’ok alla maxi revisione di 144 obiettivi del piano. In dirittura d’arrivo anche il pagamento della quarta rata da 16,5 miliardi». E le opposizioni? Nessun commento: quando i fatti parlano, del resto, le chiacchiere stanno a zero.
Anche la Lega critica Lollobrigida: «Sarebbe stato meglio evitare»
Perché sei tu Romeo? Nella competizione tra Lega e Fratelli d’Italia in prospettiva elezioni europee arriva la stoccata del capogruppo al Senato della Lega, Massimiliano Romeo, al ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, in relazione alla vicenda della fermata del treno a Ciampino: «Il comportamento di Lollobrigida», dice Romeo a Rai Radio 1, «credo sia una cosa che bisogna evitare, bisogna cercare di evitare di ingenerare polemiche anche se capisco che ci possono essere delle questioni istituzionali e dei momenti in cui ci sono cose da fare». Una presa di posizione che non sorprende gli osservatori della politica italiana: alle europee si vota con il proporzionale, e quindi lo spirito di coalizione viene messo da parte. Da parte sua, ieri il ministro è tornato nuovamente a commentare le polemiche sulla sua fermata a Ciampino: «Per quanto è di mia competenza», ha detto Lollobrigida a margine del Forum Coldiretti a Roma, rispondendo a chi gli chiedeva di un eventuale chiarimento in Aula, «farò tutto quello che è necessario. Non sono mai fuggito al confronto. Sono convinto di aver agito non solo nell’ambito della legalità e della norma, ma nell’interesse dello Stato e per rappresentarlo a Caivano. Quella discesa dal treno non era per andare in vacanza o andare a trovare la mia famiglia, ma per andare a fare il mio lavoro. Se intendo dimettermi? No. Per me il vero privilegio», ha aggiunto Lollobrigida, «è stato quello di stare tra i cittadini di Caivano, a cominciare dai bambini, che sono il nostro futuro e che oggi sono nelle condizioni di tornare a frequentare il parco, grazie al lavoro delle forze dell’ordine e dell’esercito che in tempi velocissimi hanno ripulito quella che era una piazza di spaccio. Lo Stato c’è, in tempi celeri e non solo quando i riflettori erano accesi, ma anche nei giorni successivi. La fermata straordinaria è prevista dal regolamento Fs. Le porte si sono aperte quando era consentito e cioè a Ciampino. La mia richiesta era quella di un cittadino che voleva fare il proprio lavoro», ha ribadito Lollobrigida, «e non ci sono state violazioni di legge. Per quanto mi riguarda è valsa la pena essere a Caivano e ritengo sia dovere delle istituzioni garantire la propria presenza laddove serve». Non molla la presa il M5s: «No, ministro Lollobrigida», ha scritto Giuseppe Conte su X, «nessun normale cittadino può chiedere di far fermare il treno quando e dove più gli è comodo e scendere liberamente. Lo sanno bene milioni di pendolari. Allo stesso modo ogni cittadino non può scegliere se pagare o no una tassa come invece avete permesso di fare alle banche che accumulano ingenti extraprofitti, mentre i cittadini soccombono sotto le rate dei mutui alle stelle. Ma lo sappiamo, ormai, che con Giorgia Meloni e il suo governo il treno, come il Paese, all’incontrario va». A proposito del M5s, registriamo una precisazione dei pentastellati relativa a una infografica pubblicata ieri dal nostro giornale: «Nella grafica in questione», ci scrive l’ufficio comunicazione del M5s, «viene impropriamente richiamata, con tanto di immagine della diretta interessata, anche la vicenda relativa al presunto uso della scorta e dell’auto di servizio dell’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte da parte della sua compagna Olivia Paladino. Il richiamo a questa vicenda del 2020 è del tutto strumentale e denigratorio, soprattutto nella misura in cui non si dà conto del fatto che la Procura di Roma archiviò subito l’indagine, avviata a seguito della denuncia di una cittadina, accertando che da parte della signora Paladino non vi era stato alcun utilizzo improprio né della scorta né dell’auto di servizio. È doveroso aggiungere», prosegue la nota, «che quella denuncia, priva di ogni fondamento e finita inevitabilmente in un nulla di fatto, venne presentata proprio da un’esponente del partito di Lollobrigida, Roberta Angelilli di Fratelli d’Italia. Partito in cui, evidentemente, si è pronti ad indignarsi a fasi alterne e solo per i casi (fasulli in questa ipotesi) altrui».
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Prima distorcono le parole di Matteo Salvini, poi ignorano Trenitalia che scagiona il «cognato della Meloni», infine piangono per la vittoria di Raffaele Fitto sul nuovo Pnrr: questa sinistra, ormai alla frutta, non sa davvero più cosa inventarsi per picconare un esecutivo in salute. Il ministro Francesco Lollobrigida non cede: «Nessun abuso o privilegio, treno fermato seguendo la legge».Lo speciale contiene due articoli.Errare è umano, perseverare è sinistro: il caso degli attacchi scomposti al ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, colpevole di aver fatto il suo dovere di uomo delle istituzioni, è solo l’ultimo episodio della serie horror di critiche al governo non solo assolutamente infondate, ma pure controproducenti per la credibilità politica di Pd, Avs, renziani, grillini e compagnia urlante. Attacchi che hanno l’unico scopo di produrre un po’ di fuffa propagandistica, di creare baruffe social per un paio di giorni, ma che, basati sul nulla, dopo qualche giorno spariscono nel niente. Il caso del treno di Lollobrigida è già stato ampiamente sviscerato: si accusa il ministro di essere sceso da un treno che aveva accumulato due ore di ritardo. Dal punto di vista formale, nessun problema: «La fermata a Ciampino», ha scritto Trenitalia in una nota ufficiale, «non ha comportato ulteriore ritardo per i viaggiatori, né ripercussioni sulla circolazione, né costi aggiuntivi per l’azienda. Il treno si è fermato poco dopo Roma Termini per quanto stava accadendo in linea e la deviazione via Cassino è stata decisa anche in virtù della fermata già prevista a Napoli Afragola. Dopo la ripartenza», ha aggiunto Trenitalia, «è stata disposta la fermata presso la stazione di Ciampino, dove sono scese le istituzioni presenti a bordo, per poter far fronte a impegni istituzionali». Lollobrigida, come ormai noto, non era diretto verso Napoli per andare a mangiarsi una bella pizza con gli amici, ma era atteso a Caivano, comune dell’hinterland straziato dalla presenza della camorra, che il governo guidato da Giorgia Meloni sta cercando con ogni mezzo di riqualificare, dal punto di vista sociale, culturale, e pure architettonico. Lollobrigida doveva piantare un albero intitolato a Giovanni Falcone in un parco appena riqualificato, che fino a qualche settimana fa era una piazza di spaccio. Se fosse rimasto a bordo del treno, a Caivano sarebbe arrivato di notte, deludendo chi lo attendeva ma soprattutto lanciando un segnale devastante: un esponente del governo che si presenta con ore di ritardo a un appuntamento così importante. Siamo abbastanza certi che qualcuno da sinistra avrebbe detto: «Lollobrigida doveva scendere dal treno appena possibile e andare a Caivano con l’auto, evidentemente per lui la lotta alla camorra non è una priorità, si dimetta!». Potete scommetterci: sarebbe andata così.Un altro caso di scuola della assoluta inconsistenza delle opposizioni è quanto accaduto a Matteo Salvini nelle ore immediatamente successive all’arresto di Filippo Turetta. «Bene. Se colpevole», scrive sui social Salvini, «nessuno sconto di pena e carcere a vita». Apriti cielo: quel «se colpevole» scatena una valanga di critiche nei confronti del leader della Lega, non si comprende per quale motivo, considerato che in Italia c’è una Costituzione che prevede che una persona possa essere giudicata colpevole solo da un tribunale. Se proprio vogliamo essere pignoli, ora potremmo anche toglierlo, quel «se colpevole», considerato che Turetta ha successivamente confessato di essere l’assassino della povera Giulia Cecchettin. Ma al momento dell’arresto, e del tweet di Salvini, un uomo delle istituzioni non poteva fare altro che esprimersi in forma dubitativa, altrimenti sarebbe stato accusato di ignorare la Costituzione. La valanga di critiche costringe Salvini a una precisazione: «Per gli assassini carcere a vita», scrive il vicepremier qualche ora dopo il primo post, «con lavoro obbligatorio. Ovviamente, come prevede la Costituzione, dopo una condanna stabilita in tribunale augurandoci tempi rapidi e nessun buonismo, anche se la colpevolezza di Filippo pare evidente a me e a tutti». Precisazione pleonastica, se non fossimo in un Paese dove le sparate propagandistiche delle opposizioni costringono gli esponenti del governo a dover sottolineare l’ovvio. Altro giro, altra corsa: il Pnrr. Per mesi e mesi le opposizioni hanno accusato il governo di non essere in grado di definire i progetti, e quindi di essere colpevole di far perdere all’Italia i milioni messi a disposizione dall’Europa. Da cronisti avremo letto, e non esageriamo, alcune migliaia di dichiarazioni di piddini, grillini, renziani, calendini e sinistrini all’insegna del catastrofismo. E invece? E invece l’Europa ha dato l’ok a tutte le modifiche presentate dal ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, che ha gestito in maniera impeccabile un dossier molto complicato ed è riuscito a rimodulare il piano eliminando i progetti irrealizzabili previsti dai precedenti governi e interloquendo in maniera efficace e responsabile con la Commissione europea. Non lo diciamo noi: lo dice la Commissione europea, che, come ha scritto ieri La Stampa, «ha dato l’ok alla maxi revisione di 144 obiettivi del piano. In dirittura d’arrivo anche il pagamento della quarta rata da 16,5 miliardi». E le opposizioni? Nessun commento: quando i fatti parlano, del resto, le chiacchiere stanno a zero.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/contro-governo-bufale-2666344489.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="anche-la-lega-critica-lollobrigida-sarebbe-stato-meglio-evitare" data-post-id="2666344489" data-published-at="1700776647" data-use-pagination="False"> Anche la Lega critica Lollobrigida: «Sarebbe stato meglio evitare» Perché sei tu Romeo? Nella competizione tra Lega e Fratelli d’Italia in prospettiva elezioni europee arriva la stoccata del capogruppo al Senato della Lega, Massimiliano Romeo, al ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, in relazione alla vicenda della fermata del treno a Ciampino: «Il comportamento di Lollobrigida», dice Romeo a Rai Radio 1, «credo sia una cosa che bisogna evitare, bisogna cercare di evitare di ingenerare polemiche anche se capisco che ci possono essere delle questioni istituzionali e dei momenti in cui ci sono cose da fare». Una presa di posizione che non sorprende gli osservatori della politica italiana: alle europee si vota con il proporzionale, e quindi lo spirito di coalizione viene messo da parte. Da parte sua, ieri il ministro è tornato nuovamente a commentare le polemiche sulla sua fermata a Ciampino: «Per quanto è di mia competenza», ha detto Lollobrigida a margine del Forum Coldiretti a Roma, rispondendo a chi gli chiedeva di un eventuale chiarimento in Aula, «farò tutto quello che è necessario. Non sono mai fuggito al confronto. Sono convinto di aver agito non solo nell’ambito della legalità e della norma, ma nell’interesse dello Stato e per rappresentarlo a Caivano. Quella discesa dal treno non era per andare in vacanza o andare a trovare la mia famiglia, ma per andare a fare il mio lavoro. Se intendo dimettermi? No. Per me il vero privilegio», ha aggiunto Lollobrigida, «è stato quello di stare tra i cittadini di Caivano, a cominciare dai bambini, che sono il nostro futuro e che oggi sono nelle condizioni di tornare a frequentare il parco, grazie al lavoro delle forze dell’ordine e dell’esercito che in tempi velocissimi hanno ripulito quella che era una piazza di spaccio. Lo Stato c’è, in tempi celeri e non solo quando i riflettori erano accesi, ma anche nei giorni successivi. La fermata straordinaria è prevista dal regolamento Fs. Le porte si sono aperte quando era consentito e cioè a Ciampino. La mia richiesta era quella di un cittadino che voleva fare il proprio lavoro», ha ribadito Lollobrigida, «e non ci sono state violazioni di legge. Per quanto mi riguarda è valsa la pena essere a Caivano e ritengo sia dovere delle istituzioni garantire la propria presenza laddove serve». Non molla la presa il M5s: «No, ministro Lollobrigida», ha scritto Giuseppe Conte su X, «nessun normale cittadino può chiedere di far fermare il treno quando e dove più gli è comodo e scendere liberamente. Lo sanno bene milioni di pendolari. Allo stesso modo ogni cittadino non può scegliere se pagare o no una tassa come invece avete permesso di fare alle banche che accumulano ingenti extraprofitti, mentre i cittadini soccombono sotto le rate dei mutui alle stelle. Ma lo sappiamo, ormai, che con Giorgia Meloni e il suo governo il treno, come il Paese, all’incontrario va». A proposito del M5s, registriamo una precisazione dei pentastellati relativa a una infografica pubblicata ieri dal nostro giornale: «Nella grafica in questione», ci scrive l’ufficio comunicazione del M5s, «viene impropriamente richiamata, con tanto di immagine della diretta interessata, anche la vicenda relativa al presunto uso della scorta e dell’auto di servizio dell’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte da parte della sua compagna Olivia Paladino. Il richiamo a questa vicenda del 2020 è del tutto strumentale e denigratorio, soprattutto nella misura in cui non si dà conto del fatto che la Procura di Roma archiviò subito l’indagine, avviata a seguito della denuncia di una cittadina, accertando che da parte della signora Paladino non vi era stato alcun utilizzo improprio né della scorta né dell’auto di servizio. È doveroso aggiungere», prosegue la nota, «che quella denuncia, priva di ogni fondamento e finita inevitabilmente in un nulla di fatto, venne presentata proprio da un’esponente del partito di Lollobrigida, Roberta Angelilli di Fratelli d’Italia. Partito in cui, evidentemente, si è pronti ad indignarsi a fasi alterne e solo per i casi (fasulli in questa ipotesi) altrui».
A 13 anni si può davvero comprendere fino in fondo un percorso che cambia il corpo e l’identità per sempre? Annamaria Bernardini de Pace smonta il racconto rassicurante sulla transizione dei minori: troppa fiducia negli “esperti”, troppa ideologia e pochissima prudenza. Quando le decisioni sono irreversibili l’età non è un dettaglio.
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È un parallelismo fin troppo naturale in questi giorni che ci avvicinano al Natale, la festa più cara ai bambini perché è un bambino al centro della Storia. Per questo la maggioranza delle persone vorrebbe che quei tre bambini fossero riportati nella dimensione dei due genitori, i quali hanno scelto un modello di vita, un modello che - in queste settimane - abbiamo scoperto non essere così insolito e nemmeno così deleterio come invece ci sta facendo credere la «burocrazia». Mi aveva sorpreso per esempio il racconto di Carlo Ratti, direttore della Biennale di architettura di Venezia, la «firma» della torcia olimpica, il quale in una lettera al Corriere della Sera ha raccontato la sua vita nel bosco. Lui, figlio di un professore che, dopo aver conseguito il PhD negli Stati Uniti ed essere diventato uno dei più giovani professori presso il Politecnico di Torino, «decise di abbandonare la carriera accademica per tornare alla terra».
Siccome in questi ultimi giorni la narrazione si sta piegando sulle verbalizzazioni di chi si «sta prendendo cura» dei tre bambini rurali facendo diventare - indirettamente e senza volerlo, sia chiaro - i due genitori alla stregua di due settari fanatici impegnati a dis-educare i figli, mi permetto di insistere sulla testimonianza del direttore della Biennale di Venezia di «figlio nel bosco». «Le condizioni di vita erano ugualmente pre-industriali o, forse, pre-belliche. Niente riscaldamento centralizzato. Cucina prevalentemente a legna. Una vecchia vasca da bagno con un minuscolo boiler. Letto scaldato dalle braci, soprattutto nelle notti d’inverno quando i vetri della camera da letto si ricoprivano di ricami di ghiaccio. E soprattutto, nessuna televisione, ma solo una vecchia radio Grundig che gracchiava in continuazione. […] Sono convinto che quegli anni siano stati formativi. Non perché esenti da difficoltà, anzi…».
La famiglia del bosco di Palmoli è diventata un simbolo e forse proprio per questo va rieducata, va riportata nei ranghi e chissà quando la rieducazione sarà terminata. Ad oggi infatti i giudici non hanno disposto la revoca del provvedimento nonostante le decisioni di mamma Catherine e papà Nathan di rivedere alcune delle scelte radicali in materia di salute (specie sulle vaccinazioni obbligatorie) e di scuola. I giudici, in poche parole, stanno scegliendo le nuove linee guida su come devono crescere i figli, mettendo in fuorigioco le scelte dei genitori. I quali - lo ripeto - sono raffigurati come fanatici cultori di pratiche strane.
È un mood per nulla nuovo perché mi porta alla mente un periodo che abbiamo archiviato con eccessiva fretta nonostante le orribili compressioni di libertà e diritti, compressioni avallate anche in quel caso dai giudici. Mi riferisco al periodo del Covid e alla stagione delle vaccinazioni, soprattutto a carico di minori. Ci sono stati casi di genitori a cui i giudici hanno imposto di vaccinare i figli minorenni. Nei casi invece dove i pareri tra mamma e papà circa le vaccinazioni ai figli minorenni erano discordanti, i giudici sono sempre andati a favore di chi li voleva vaccinare, elidendo così il diritto dell’altro genitore di poter scegliere. In questi casi, poteva accadere che il figlio o la figlia fossero d’accordo nel non volersi vaccinare ma il giudice respingeva il ricorso del genitore contrario al siero (addirittura gli toglieva la potestà genitoriale: conosco diversi casi), negando l’ipotesi che il minore fosse pienamente consapevole del rifiuto. Oggi sappiamo che i timori di quei ragazzi ad alterare il sistema immunitario erano fondate. Ma la loro idea però era considerata una «suggestione» (magari influenzata dal racconto di chi aveva avuto reazioni avverse dopo la punturina oppure aveva letto della morte di Camilla Canepa) e quindi non poteva essere presa seriamente in considerazione: insomma gli adolescenti si dovevano vaccinare per poter andare a scuola o a fare sport o a stare assieme. «Cosa volete che ne sappiamo i ragazzini del loro corpo?», pontificavano medici, esperti e giuristi vari.
Già, e oggi ci ritroviamo con la decisione storica di un giudice che permette a una tredicenne di cambiare sesso: perché lo vuole lei, perché lo vogliono i genitori. E, come ha scritto ieri Maurizio Belpietro, perché lo vogliono le nuove tendenze. I bambini del bosco devono essere rieducati. Gli adolescenti non potevano opporsi al vaccino. Ma la tredicenne che si sente maschio «ha maturato una piena consapevolezza circa l’incongruenza tra il suo corpo e il vissuto d’identità», tanto da poter portare a termine «un progetto volto a ristabilire irreversibilmente uno stato di armonia tra soma e psiche nella percezione della propria appartenenza sessuale».
Attenti, questa sentenza sarà presto un battistrada pericoloso.
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Eugenia Roccella, ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità (Ansa)
A testimoniare tale consapevolezza sarebbero «il percorso psicoterapico seguito con costanza, le terapie ormonali praticate con successo e la matura gestione del disagio sociale conseguente al processo di cambiamento». A prima vista tutto appare molto chiaro, molto trasparente, molto informato e molto scientifico. Il fatto, però, è che in Italia riguardo al cambiamento di sesso dei minori la situazione è tutto tranne che chiara e trasparente.
Nel 2024 è stato istituito il Tavolo tecnico interministeriale sui minori con disforia di genere, una struttura di fatto consultiva che ha proprio l’obiettivo di mettere un po’ d’ordine nell’attuale caos. Tanto per capirsi: a oggi non si sa nemmeno quanti minori abbiano intrapreso percorsi di cambiamento di sesso, a quanti e per quanto tempo vengano somministrati i farmaci cosiddetti bloccanti della pubertà, quanti e con che conseguenze si sottopongano a trattamenti ormonali. Non sono chiare nemmeno le linee guida seguite dalle varie strutture ospedaliere, dato che non esistono indicazioni ministeriali. Questo tavolo si riunirà ancora a gennaio e dovrebbe produrre una relazione che aiuti ad avere qualche informazione in più, ma non sfornerà nulla di risolutivo.
Maggiori passi avanti dovrebbero arrivare grazie al disegno di legge presentato dai ministri Eugenia Roccella e Orazio Schillaci che introduce disposizioni per la appropriatezza prescrittiva e il corretto utilizzo dei farmaci per la disforia di genere, cioè bloccanti della pubertà come la triptorelina e poi ormoni. Si tratterebbe di un giro di vite fondamentale, perché il ddl - benché non possa bloccare la somministrazione dei farmaci come avvenuto in altre nazioni - può stabilire dei paletti chiari. Tanto per cominciare istituirebbe un registro delle somministrazioni: finalmente si saprebbe chi prescrive un farmaco, per quanto tempo e a fronte di quali evidenze. Poi - elemento ancora più rilevante - dovrebbe essere un comitato etico a validare ogni nuova somministrazione.
Attualmente il ddl è in discussione nella commissione affari sociali della Camera, dove si sono svolte negli ultimi mesi varie audizioni, alcune delle quali estremamente rilevanti. Per la prima volta, ad esempio, hanno preso la parola alcune madri di minori con disforia di genere, alcuni dei quali hanno scelto di non proseguire nel percorso di cambiamento di sesso o hanno cambiato idea dopo averlo iniziato.
In particolare sono state audite le rappresentanti di Generazione D, una «associazione culturale apartitica, aconfessionale e priva di scopi di lucro, il cui obiettivo è informare in merito alle problematiche della disforia/incongruenza di genere in bambini, adolescenti e giovani adulti».
La presidente dell’associazione in commissione ha fornito alcuni dettagli sull’associazione. «Oggi tra i nostri figli troviamo bambini dagli 11 anni, adolescenti e giovani adulti con percorsi molto diversi: alcuni sono seguiti da psicologi senza interventi medici, altri hanno iniziato terapie ormonali e altri ancora hanno già subito interventi chirurgici. Registriamo inoltre numerosi casi di desistenza e detransizione, che ci permettono di avere una visione diretta di tutti gli stadi del percorso. Per la quasi totalità, la disforia è insorta improvvisamente in adolescenza, spesso durante o subito dopo il lockdown, periodo nel quale numerosi studi rilevano un aumento generale del disagio giovanile. In tale contesto, la disforia sembra talvolta assumere forme di contagio sociale, alimentate dalla sovraesposizione a social network e influencer. Osserviamo inoltre un aumento di maschi con neurodivergenze o disturbi psichiatrici che manifestano un’identificazione transgender solo in adolescenza, senza segnali precedenti».
Sono elementi, questi, decisamente importanti, che contribuiscono a smontare l’immagine della disforia o incongruenza di genere quale questione monolitica da affrontare in un modo preciso. «I genitori che si rivolgono a noi - circa due a settimana - sono spaventati, disorientati e spesso delusi dalle risposte ricevute nei centri specializzati, dove la disforia viene presentata come una condizione innata e immutabile da assecondare subito per evitare rischi suicidari. In molti casi viene persino rivolto loro, anche davanti ai figli, il quesito: «Preferisce un figlio morto o una figlia trans?» o viceversa, generando una pressione emotiva che ostacola una valutazione serena e realmente informata», dicono ancora gli esponenti dell’associazione. Secondo Generazione D è dunque necessaria «una maggiore cautela nella medicalizzazione dei minori, ricordando che tutti i Paesi pionieri dell’approccio affermativo stanno rivedendo le proprie linee guida. Senza un’adeguata esplorazione psicologica, la disforia di genere rischia di diventare un ombrello diagnostico sotto il quale comorbidità importanti restano invisibili e non trattate». La commissione parlamentare ha ovviamente udito anche voci differenti, tra cui quelle degli attivisti trans. Nota a margine: proprio da profili social legati all’attivismo trans sono arrivati attacchi e insulti online alle madri di Generazione D che hanno scelto di esporsi.
Il dato importante, comunque, è che per la prima volta in Aula siano state raccontate storie vere e diverse dalla consueta narrazione che pone la transizione di genere come unica via per affrontare ogni problema legato all’identità sessuale. Purtroppo, bisogna anche constatare che tale narrazione è ancora molto (troppo diffusa) persino fra le società scientifiche che si occupano del tema. Pochi giorni fa, otto realtà italiane tra cui la Società italiana di endocrinologia (Sie), la Società italiana di endocrinologia e diabetologia pediatrica (Siedp) e l’Osservatorio nazionale identità di genere (Onig) hanno firmato un appello contro il ddl attualmente in discussione, sostenendo che la legge «rischia di limitare fortemente l’accesso alle cure sanitarie per le persone minorenni transgender». Come spesso accade, a questo appello è stata data grande rilevanza, ma giustamente Generazione D fa notare che «appare doveroso ricondurre il documento alla sua reale portata rappresentativa. In Italia operano centinaia di associazioni e società scientifiche delle professioni sanitarie: secondo gli elenchi pubblicati dal ministero della Salute, il numero supera ampiamente le quattrocento. A fronte di tale pluralità, il comunicato in oggetto è firmato da sole sei società scientifiche, di cui appena due di area pediatrica, affiancate da una federazione e da una associazione culturale che, per definizione, non hanno funzione di produzione di linee guida cliniche». Inoltre, dice ancora Generazione D, «le società firmatarie rivendicano l’esistenza di evidenze scientifiche, ma non producono dati italiani, né su accessi, né su trattamenti, né su esiti clinici. Eppure criticano un decreto che istituisce un registro nazionale dei farmaci, che rappresenterebbe lo strumento minimo indispensabile per iniziare a raccogliere tali informazioni».
Il punto è tutto qui. In Italia sono concesse decisioni allucinanti come quella di La Spezia in totale assenza di dati chiari, di linee guida certe e di consenso scientifico sul tema e alcune realtà che si definiscono tecniche fanno politica e battagliano contro il governo che cerca di mettere ordine.
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