2023-07-07
Parte l’inchiesta sul Covid: Conte e Speranza nel panico
Giuseppe Conte e Roberto Speranza (Imagoeconomica)
La commissione si occuperà anche di green pass, vaccini e cure negate. L’ex premier e l’ex ministro danno in escandescenze, terrorizzati dal dover giustificare in diretta tv i loro dpcm liberticidi e i soldi buttati al vento.Mamma mia che paura. La commissione d’inchiesta sul Covid non è ancora nata che già ha fatto venire la tremarella a tanti. I quali, evidentemente, non hanno piacere che si rimesti in quelle giornate convulse, quando si decideva di chiudere in casa gli italiani oppure di togliere loro il diritto di viaggiare o di lavorare a colpi di dpcm. Sì, una commissione con poteri di convocare e interrogare i testimoni sta facendo uscire di senno una parte dell’opposizione, che ieri in Parlamento ha dato in escandescenze, alzando i toni e arrivando, secondo la denuncia di Giovanni Donzelli di Fratelli d’Italia, addirittura alle minacce. Toni Ricciardi, vicepresidente del Pd, sarebbe arrivato al punto da provare a intimidire il collega con un segno che equivaleva a un «ti aspetto fuori». Ma al clima da osteria, con tanto di promessa di menare le mani, si sono aggiunte le dichiarazioni allarmate di una serie di esponenti politici, a cominciare dall’ex ministro della Salute, Roberto Speranza, per finire all’ex presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Il primo ha commentato l’idea di un gruppo di onorevoli con il compito di indagare una «commissione indegna, un tribunale politico contro di noi». Tutto perché l’inchiesta vorrebbe approfondire le procedure autorizzative dei vaccini. «Nonostante 13 miliardi di dosi somministrate in tutto il mondo, la commissione vuole indagare. Non commento per carità di patria», ha concluso l’uomo che fino allo scorso anno si curava della nostra salute. In realtà commenta e anche molto, al punto di prendersela con i colleghi del Terzo polo, cioè con Renzi e Calenda, accusati di sostenere posizioni no vax come quelle rappresentate da chi vuole mettere il naso sulle reazioni avverse ai sieri. Speranza ne ha avute anche per Forza Italia, che appoggerebbe l’idea della commissione d’inchiesta in contraddizione con l’atteggiamento avuto durante i mesi della pandemia.Ma se Speranza si agita, molto di più fa Giuseppe Conte, il quale fino a ieri rivendicava ogni singola decisione presa dal suo governo per fronteggiare il Covid, ma adesso che qualcuno intende fare domande, appare un po’ innervosito, al punto di dirsi imbarazzato di fronte a una commissione che indaga su tutto, dalla Cina alle procedure dell’Ema per i vaccini, ma non sulle Regioni. Qualcuno potrebbe pensare a questo punto che il Conte bifronte stia pensando di ribaltare le indagini su Attilio Fontana, con la faccenda della zona rossa già scandagliata dalla Procura di Bergamo, quanto meno per spartirsi le responsabilità. In realtà, il capo dei 5 stelle parla di Lombardia, ma solo come diversivo, per cercare di frenare la commissione d’inchiesta e depotenziarla. È chiaro che vedere sfilare dirigenti dell’Istituto superiore di sanità, del Comitato tecnico scientifico, della struttura commissariale, tutti o quasi esponenti nominati dal governo Conte, rischia di essere un processo a due anni di gestione della salute degli italiani che per l’avvocato di Volturara Appula sono stati un esempio seguito in tutto il mondo, ma che per la realtà dei fatti - cioè dei morti e delle limitazioni imposte - rappresentano un fallimento. Vi immaginate quando si comincerà a chiedere ai professoroni che dovevano curare le persone perché non avevano aggiornato il piano pandemico così come da indicazioni dell’Oms? Avete presente il balbettio già prodotto di fronte ai pm, con i «non so», «non credevo», «non ero a conoscenza», «non ricordo»? Beh, un conto è leggerlo in un verbale, un altro è ascoltarlo in diretta tv. Già, perché questo è il tema: le audizioni sono pubbliche, nel senso che la stampa e la tv sono presenti e non per ascoltare uno sproloquio del presidente del Consiglio sul far della sera, ma per seguire domande e risposte su materie specifiche. Provate a immaginare quando si chiederà conto della ragione per cui nelle settimane in cui scattò l’allarme, invece di rifornirsi di mascherine, come era suggerito dall’Organizzazione mondiale della sanità, i vertici del ministero decisero di regalare i pochi dispositivi di prevenzione alla Cina. E pensate che succederà quando si cercherà di capire chi ispirò certe decisioni, come quella di sospendere i voli in arrivo da Pechino, come se bastasse mettere a terra gli aerei per non far circolare il virus. Quesiti semplici, che richiedono spiegazioni altrettanto semplici. Ma forse è proprio questo ciò che teme chi fino a ieri si faceva bello in televisione per le decisioni prese. Di doverci illustrare perché al posto di Guido Bertolaso, uno che aveva già dato prova di essere in grado di cavalcare le emergenze, si scelse di nominare commissario all’emergenza Covid un tipo come Domenico Arcuri, ossia l’ultimo boiardo di Stato. Che cosa c’entrasse un manager abituato a navigare nel mare della politica con una pandemia non è dato sapere. In compenso, è dato tirare le somme dei soldi buttati in banchi inutili, in mascherine pagate a peso d’oro, in divieti di lavorare e di viaggiare. Costi a carico della collettività di cui qualcuno deve rispondere. Ed è subito panico.
Nel riquadro, il chirurgo Ludwig Rehn (IStock)
Non c’era più tempo per il dottor Ludwig Rehn. Il paziente stava per morire dissanguato davanti ai suoi occhi. Era il 7 settembre 1896 e il medico tedesco era allora il primario di chirurgia dell’ospedale civile di Francoforte quando fu chiamato d’urgenza per un giovane giardiniere di 22 anni accoltellato nel pomeriggio e trovato da un passante soltanto ore più tardi in condizioni disperate. Arrivò di fronte al dottor Rehn solo dopo le 3 del mattino. Da questo fatto di cronaca, nascerà il primo intervento a cuore aperto della storia della medicina e della cardiochirurgia.
Il paziente presentava una ferita da taglio al quarto spazio intercostale, appariva pallido e febbricitante con tachicardia, polso debole, aritmia e grave affanno respiratorio (68 atti al minuto quando la norma sarebbe 18-20) aggravato dallo sviluppo di uno pneumotorace sinistro. Condizioni che la mattina successiva peggiorarono rapidamente.
Senza gli strumenti diagnostici odierni, localizzare il danno era estremamente difficile, se non impossibile. Il dottor Rehn riuscì tuttavia ad ipotizzare la posizione del danno mediante semplice auscultazione. La ferita aveva centrato il cuore. Senza esitare, decise di intervenire con un tamponamento cardiaco diretto, un’operazione mai provata precedentemente. Rehn praticò un’incisione di 14 cm all’altezza del quinto intercostale e scoprì la presenza di sangue scuro. Esplorò il pericardio con le mani, quindi lo aprì, esponendo per la prima volta nella storia della medicina un cuore attivo e pulsante, seppur gravemente compromesso e sanguinante. Tra i coaguli e l’emorragia Rehn individuò la ferita da taglio all’altezza del ventricolo destro. Il chirurgo operò una rapida sutura della ferita al cuore con un filo in seta, approfittando della fase di diastole prolungata a causa della sofferenza cardiaca. La sutura fu ripetuta tre volte fino a che l’emorragia si fermò del tutto e dopo un sussulto del cuore, questo riprese a battere più vigoroso e regolare. Prima di richiudere il torace, lavò il cuore ed il pericardio con soluzione idrosalina. Gli atti respiratori scesero repentinamente da 76 a 48, la febbre di conseguenza diminuì. Fu posto un drenaggio toracico che nel decorso postoperatorio rivelò una fase critica a causa di un’infezione, che Rehn riuscì tuttavia a controllare per l’efficacia del drenaggio stesso. Sei mesi dopo l’intervento il medico tedesco dichiarava: «Sono oggi nella fortunata posizione di potervi dichiarare che il paziente è ritornato in buona salute. Oggi è occupato in piccole attività lavorative, in quanto non gli ho al momento permesso nessuno sforzo fisico. Il paziente mostra ottime prospettive di conservazione di un buono stato di salute generale».
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