2019-12-29
Il premier sconfessa sé stesso e sputa su Salvini, flat tax e porti chiusi
Insulta il capo della Lega («Leadership insidiosa»), annuncia l'addio al decreto Sicurezza e loda le imposte progressive. Si vanta persino della sterilizzazione dell'Iva: peccato che le clausole le abbia volute anche lui.Giuseppi rinnega Giuseppe. L'uomo del Sud fagocita l'uomo di Stato. È la sintesi della conferenza stampa di fine anno, che il premier, Giuseppe Conte, ha tenuto ieri nella romana Villa Madama, sede di rappresentanza della presidenza del Consiglio e del ministero degli Esteri. Sotto gli occhi attenti del portavoce, Rocco Casalino, lo sguardo solenne del viceministro dell'Interno, Vito Crimi, e con il presidente dell'Ordine dei giornalisti, Carlo Verna, come moderatore, Conte è sembrato a suo agio nei panni del capo tenuto a celebrare i successi di un governo che, nondimeno, rappresenta la perfetta nemesi di quello da lui stesso presieduto fino a pochi mesi fa. E l'impronta che il premier, con i 29 punti da discutere a gennaio per rilanciare l'alleanza giallorossa, vuole conferire alla sua creatura informe, è inquietante: soldi a pioggia al Sud, smantellamento dei decreti Sicurezza (pian piano, così non se ne accorge nessuno) e caccia alle streghe che evadono.«Il Nord viaggia a percentuali ottimali di crescita», ha arringato l'avvocato. Sottinteso: abbandoniamolo al suo destino, chi fa da sé fa per tre. Soprattutto, aiuta la vera priorità: destinare il 34% della spesa pubblica al Meridione. «A priori», ci tiene a specificare il premier. L'idea è di realizzare un grande piano infrastrutturale. Il sospetto è che si finirà a scavare buche da ricoprire, magari con l'aiuto di un «polo creditizio sistemico», revival della Banca del Mezzogiorno.Sarà perché, durante le feste, va sempre in onda Una poltrona per due, che Conte, per placare le liti fratricide nella sua maggioranza, anziché lasciare, raddoppia. Le poltrone, s'intende, con la nomina, al posto del dimissionario Lorenzo Fioramonti, di Lucia Azzolina al dicastero della Scuola (grillina) e del capo dei rettori italiani, Gaetano Manfredi, a quello di Università e ricerca (in quota dem). Una spartizione salutata con favore da Luigi Di Maio («Due grandi persone»), da Nicola Zingaretti, che ha definito «giusti e condivisibili gli obiettivi» di governo indicati da Conte, oltre che da Dario Franceschini, il quale ha lodato lo scorporo dei ministeri. Scordando che, ad accorparli, era stata la legge Bassanini quater, durante il governo D'Alema II. Siamo alle solite: contrordine, compagni. A Villa Madama, in breve, è andato in scena un dramma dell'assurdo: Conte ha dovuto impallinare sé stesso, sparando a zero sull'esecutivo che non solo lui ha presieduto, ma che doveva anche rappresentare (così disse a primavera) la sua prima e ultima esperienza da premier. Toni surreali già dall'inizio della conferenza stampa, allorché Conte ha difeso questa manovra senz'anima, evocando il «compito improbo» di trovare 23 miliardi per evitare l'aumento dell'Iva. Eppure, una parte delle clausole di salvaguardia l'aveva imposta il Conte 1. Il resto era opera dei governi Renzi e Gentiloni, esponenti di due forze politiche dell'attuale maggioranza di Giuseppi. Il cui bersaglio preferito, manco a dirlo, è la questione migranti.Sul caso Gregoretti, in procinto di finire davanti alla Giunta per le autorizzazioni del Senato, ha dovuto ammettere che Palazzo Chigi fu coinvolto nella fase dei ricollocamenti. Sul blocco e il successivo sbarco della nave, invece, Conte ha giurato: «Non ho avuto ancora alcun riscontro, ma non ho sciolto la riserva». È evidente che il premier abbia qualche problema di memoria. Non solo non si ricorda più come la pensava sui porti (i quali, arriva a riferire, «non sono mai stati chiusi, al di là della propaganda» di Matteo Salvini), ma ha dimenticato pure che una delle bandiere del contratto gialloblù era la flat tax. Quella che ora Conte affida al vento come una lacrima. Bisogna sì ridurre l'Irpef, però rispettando «il principio di progressività». Quando era il mallevadore del contratto tra Carroccio e pentastellati non se n'era accorto? Con quali risorse voglia tagliare le tasse, peraltro, non è chiaro. Anzi, lo è: con la fuffa della lotta all'evasione e il motto «pagare tutti per pagare meno». Il timore è che, se a furia di imposte e manette recuperasse un gruzzolo, l'esecutivo giallorosso lo sprecherà per il suo piano assistenziale, che nelle velleità del premier dovrebbe «cancellare il divario Nord-Sud». Intanto, il Conte bis ha già il record di ministri meridionali, è campione di disinteresse per il tessuto produttivo del Paese e ha definitivamente picconato l'autonomia. E pensare che, proprio a questo scopo, il presidente del Consiglio aveva promesso che sarebbe stato il garante di un'intesa tra Lega e 5 stelle. Ma quello era Conte. Questo è Giuseppi. Non è mancata la stoccata personale al nemico Salvini. «Il tema dell'immigrazione», ha detto il premier, «è sparito un po' dai radar. La propaganda può tenere accese le luci dei riflettori su un tema in modo strategico, ma stiamo ottenendo risultati anche migliori rispetto al precedente esecutivo, senza clamori, senza che si parli di porti chiusi e porti aperti». Il capo leghista, secondo Conte, esercita «una leadership insidiosa, perché si ritiene sciolto da vincoli e chiede pieni poteri. In questo modo produce slabbrature istituzionali e veri e propri strappi». Immediata la replica dell'ex ministro dell'Interno: «Se Conte non sopportava la Lega e il sottoscritto, poteva dirlo subito anziché aspettare che gli togliessimo la fiducia. Evidentemente è troppo innamorato dalle poltrone, e infatti dopo aver perso un ministro ne annuncia due nuovi. Con Conte più sbarchi, più tasse, più poltrone e più balle». All'attacco pure Giorgia Meloni: «Conte raddoppia i ministri invece che aumentare i fondi per scuola e università. Zero soldi per due poltrone: un capolavoro».A sentire l'agenda di Giuseppi, non si capisce se prevale l'ambizione (lui comunque assicura: «I 29 punti non sono sogni»), o il disperato tentativo di dare all'esecutivo un motivo per sopravvivere fino al 2023. La prospettiva del voto, avverte, sarebbe una iattura per la sinistra e i grillini. L'avvocato del popolo non vuole che il popolo torni a votare. A un certo punto, il premier decanta addirittura l'immaginario traguardo della riduzione dei tempi della giustizia penale. Quando, con l'abolizione della prescrizione, i processi, semmai, dureranno in eterno. Piani maestosi anche per la giustizia tributaria, con la soppressione di un grado di giudizio. D'altro canto, da grande statista, Conte si accredita come esperto di politica estera e, nell'aprire all'idea di una no fly zone sulla Libia, discetta su come avesse intuito subito che il conflitto armato avrebbe precipitato la Libia nel caos. A genius, direbbe Matteo Renzi. Nel frattempo, forte del suo appeal diplomatico, Giuseppi spiega di aver «scongiurato» il pemier turco, Recep Tayip Erdogan, affinché non avvi una campagna militare.Il premier ne ha pure per i giornalisti, che invita a non pubblicare «titoli polemici», mentre a quelli di Fanpage assicura di non aver mai contattato i vertici di Pop Bari. Ma nonostante il suo autocompiacimento, smentisce le voci su un partito contiano. Ed è lapidario sull'ipotesi di un Conte ter: «Per carità...». La storia recente, tuttavia, dimostra che l'avvocato che ama studiare i dossier, sui voltafaccia ha studiato a fondo la lezione di Renzi. Italiani, state sereni...
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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