2020-11-23
Conte prepara la stangata del 2021
Il governo ha rinviato le scadenze fiscali di fine anno alla primavera del 2021. Apparentemente, si tratta di una buona notizia, che dovrebbe contribuire a rasserenare gli animi delle molte imprese, grandi e piccole, che a causa del coronavirus sono in gravi difficoltà. In realtà, la notizia strombazzata da Palazzo Chigi non è affatto tranquillizzante e, a costo di apparire affetto da pessimismo cronico, vi spiego perché. Per farmi capire, purtroppo sono costretto a ricorrere a una serie di numeri, ma mi auguro di non farvi perdere la testa in mezzo alle cifre. Primo dato: la spesa corrente in Italia ammonta all'incirca a 820 miliardi, ma quest'anno, per sostenere l'economia, lo Stato è stato costretto a spendere 100 miliardi in più. Secondo il Mef, che sta per ministero dell'Economia e delle Finanze, nel 2020, oltre a spendere di più, incasseremo di meno. Le previsioni degli uffici guidati da Roberto Gualtieri parlano di 100 miliardi in meno. In pratica, tra maggiori uscite e minori entrate, abbiamo un buco di 200 miliardi, che non copriremo né con i fondi del Mes, ossia con il prestito Salvastati, finanziamento al quale il governo non intende ricorrere, né con i soldi del Recovery plan, i quali, giorno dopo giorno, per effetto delle divisioni in Europa, si allontanano sempre di più. Al momento, il Mef finge che il problema non esista e infatti a bilancio ha iscritto le entrate fiscali come se fossero invariate. Qualora si trattasse di un'azienda privata, parleremmo di falso in bilancio, perché il bravo amministratore è obbligato a comunicare agli organi sociali le previsioni dell'esercizio in maniera corretta. Nel caso dello Stato, dove i bilanci sono redatti non in base ai principi contabili ma alle opinioni (ciò che in passato è accaduto in Grecia è illuminante, ma ci sono anche altri Paesi finiti in default), le cose non stanno così e un governo può anche far finta di nulla, cioè può ignorare la realtà contabile, ma prima o poi arriva la resa dei conti. Già, perché se da un lato consento il rinvio dei pagamenti da parte dei contribuenti, ma dall'altro le tasse non le abbuono e anzi le metto a bilancio come crediti da riscuotere, è evidente che prima o poi passerò all'incasso e magari pure con gli interessi. Duecento miliardi, costituiti da maggiori spese e minori introiti, non sono noccioline e perciò, mentre annuncia il rinvio delle scadenze fiscali, il governo avrebbe l'obbligo di spiegare agli italiani come ha intenzione di colmare il disavanzo. Ma al momento, né Giuseppe Conte né il suo ministro all'Economia Roberto Gualtieri paiono voler chiarire quali intenzioni abbiano per rimediare alla voragine aperta nei conti pubblici. Qualche ottimista potrebbe pensare che il problema se lo porranno le future generazioni, quando sarà loro chiesto di saldare il conto dei debiti accumulati dai diversi governi che si sono succeduti nell'arco degli ultimi 30 o 40 anni. In realtà, il saldo delle spese passate difficilmente potrà essere rinviato a data da destinarsi, anche perché sul debito italiano vigilano i cani da guardia di Bruxelles. Dunque, già a giugno del prossimo anno potremmo trovare sgradite sorprese, ossia l'obbligo di far quadrare i conti, pena dover scontare un aumento dello spread oppure sanzioni comunitarie. Nei giorni scorsi abbiamo scritto delle insane passioni di un esponente di governo che risponde al nome di Giuseppe Provenzano. Il ministro per il Sud in quota Pd l'altra settimana si è detto favorevole a reintrodurre l'imposta di successione, ovvero la tassa sui morti, un modo indiretto per varare una patrimoniale, anche se limitata alle eredità. Tuttavia, pur sgradevole, la misura non risolverebbe i problemi di bilancio che abbiamo elencato. Quindi è assai probabile che per far tornare il pareggio, trovando i 200 miliardi che mancano, a Palazzo Chigi pensino anche ad altro e purtroppo non si tratterebbe di nulla di positivo. Già, perché se c'è da raschiare il barile, i compagni non vanno troppo per il sottile e ricorrono all'armamentario di qualsiasi stato socialista. Dunque, i provvedimenti che potrebbero essere messi in campo sono tre. Il primo è la classica patrimoniale, ovvero un prelievo sui patrimoni intesi come conti correnti e investimenti. In banca, i risparmi delle famiglie italiane ammontano all'incirca a 2.000 miliardi e quei soldi fanno gola a chiunque, ai politici in particolare. Quindi sarebbe uno scherzo ripetere quello che quasi 30 anni fa fece Giuliano Amato, ossia prelevare una certa aliquota da conti e investimenti e appropriarsene in nome dello Stato. Basterebbe l'1 per cento per fare 20 miliardi, certo non sufficienti a risollevare le sorti dei conti pubblici, ma pur sempre utili. Per stangare gli italiani, l'esecutivo però non ha a disposizione solo le tasse di successione e sui patrimoni. A portata di mano ha anche l'imposta che colpisce il mattone, ovvero la riforma del Catasto. La revisione dei parametri con cui si stabilisce il valore di una casa è un progetto chiuso nel cassetto, ma basterebbe girare la chiave per estrarlo e tartassare i proprietari immobiliari. Da solo, il giochino di considerare più alta la rendita di ville e appartamenti consentirebbe di incassare miliardi: probabilmente 10, ma in teoria anche di più. E poi ci sono sempre le pensioni, che ormai sono diventate il bancomat della politica. Una serie di recenti e brutte sentenze della Corte costituzionale ormai hanno dato via libera al saccheggio dell'assegno previdenziale, che quando non è da fame può non essere rivalutato e anche decurtato, grazie al principio di solidarietà, con il risultato che chi non incassa un trattamento al minimo, presto potrebbe trovarsi equiparato a coloro che non solo hanno versato pochi contributi, ma magari non hanno neppure raggiunto la soglia di versamenti che dà accesso al vitalizio e beneficiano del trattamento di sussistenza. Sì, insomma, ci siamo spiegati. Più il governo non è chiaro sulla strategia con cui intende affrontare la crisi e finanziare le misure per sostenere l'economia e più noi coltiviamo cattivi pensieri. Siccome sappiamo che niente è gratis, quando con leggerezza Conte annuncia linee di credito per miliardi viene da pensare che, nel migliore dei casi, si tratti di un bluff, nel peggiore di una cambiale in scadenza che nel giro di qualche mese saremo costretti a pagare. Nell'uno o nell'altro caso, la fregatura è assicurata.
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
Continua a leggereRiduci