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2020-03-10
Conte prende atto del proprio fallimento. Ora tutta l’Italia finisce in zona rossa
Ansa
Nell'«ora più buia» Giuseppi ha battuto un colpo, prendendo atto di dover allargare la zona rossa e fermare lo sport italiano. Più che un annuncio da statista, un gesto disperato di un premier sopraffatto dagli eventi, che su Repubblica si era paragonato a Winston Churchill, ma che era uscito a pezzi dalla brutta figura del decreto annunciato sabato notte. Una decisione quella a cui si è piegato il governo giallorosso che in realtà dà ragione al leader della Lega, Matteo Salvini, che poco prima aveva dichiarato: «Momenti eccezionali richiedono scelte eccezionali, e visti i 9.000 contagi toccati serve applicare le misure più restrittive per persone e attività, a tutto il territorio nazionale, senza distinzione».
Lontano da Palazzo Chigi, intanto, l'Italia combatte una guerra che vede schierati in prima linea i dottori, gli infermieri e tutto il personale sanitario. Lo sforzo è enorme, l'epidemia continua a espandersi e, probabilmente, il peggio non è ancora arrivato. L'ospedale Spallanzani di Roma si sta infatti organizzando per sostenere un eventuale picco epidemico, come ha dichiarato il direttore sanitario, Francesco Vaia: «I posti in terapia intensiva aumenteranno di 5 unità e tra 15 giorni aumenteranno di 10, fino ad arrivare a 34 posti letto». Il picco infatti, secondo una prima previsione teorica, potrebbe arrivare a metà aprile in Lombardia, con ondate successive nelle altre Regioni. A indicarlo è il modello sviluppato per la pandemia influenzale del 2009 e applicato al Covid-19 da Stefania Salmaso, l'epidemiologa che allora era a capo del Centro nazionale di epidemiologia dell'Iss. Ed è proprio quello della Lombardia lo scenario che spaventa di più. Ieri, l'assessore al Welfare della Regione, Giulio Gallera, nel consueto appuntamento, ha provato a tranquillizzare: «Il sistema sta reggendo. Siamo riusciti in tutto a recuperare 223 posti di terapia intensiva e altri 150 contiamo di aprirne in sette giorni. La nostra sfida è avere più posti di quanto necessario». L'assesore ha anche reso nota l'ipotesi di utilizzare gli spazi della Fiera di Milano e l'utilizzo di container per creare nuovi posti letto. I numeri dei ricoveri in Lombardia infatti salgono: secondo i dati di ieri sono infatti 2.802, di cui 440 in terapia intensiva (41 in più rispetto alle 24 ore precedenti), mentre le dimissioni sono a quota 646.
Recuperare posti letto è una corsa contro il tempo. Le sale operatorie vengono convertite in sale di terapia intensiva. E nella notte tra domenica e lunedì le ambulanze delle Misericordie della Toscana hanno trasferito i pazienti dalle terapie intensive degli ospedali della Lombardia a quelli delle Regioni confinanti per liberare più posti possibile.
In sintesi, tutti gli sforzi devono essere concentrati alla cura dei malati di Covid-19 per evitare che si arrivi al collasso, come ha spiegato Gallera: «Abbiamo bisogno di avere un sistema in grado di curare tutti, quelli che si ammalano di coronavirus e anche quelli che hanno un infarto, un ictus o un incidente. Abbiamo bisogno che il sistema rimanga solido. Se cresce come in queste due settimane, non saremo in grado per tempo di dare una risposta di qualità». Un avvertimento chiaro che, sebbene in termini meno drastici, rende comprensibili gli audio che stanno circolando in Rete di alcuni dottori, come quello di una cardiologa di terapia intensiva di Milano pubblicato da Dagospia. Nelle sue parole, si intravedono scenari simili a quelli di guerra: «Il problema vero è che tanta gente ha bisogno dell'assistenza ventilatoria e non ci sono ventilatori per tutti. Fondamentalmente ci hanno detto che dovremo cominciare a scegliere chi intubare, quindi privilegiamo i giovani e quelli senza altre patologie. Al Niguarda non intubano più oltre i 60 anni, che è veramente giovane come età». A confermare quanto detto dalla cardiologa, ci sarebbero le dichiarazioni di un anestesista del Niguarda: «Tutte le rianimazioni sono quasi piene, si sta pensando a un numero di triage dei rianimatori per distribuire i pazienti nei letti di rianimazione e decidere chi intubare e chi lasciar morire. Si aspettano anche 50 polmoniti al giorno. È drammatica la cosa e non la si dice in giro, bisogna assolutamente che la gente lo capisca». Dichiarazioni pesanti, a cui ha fatto riferimento l'assessore Gallera definendole «parole scorate di anestesisti che sono sul fronte, comprensibili perché c'è un afflusso oltre le aspettative», nel tentativo di rassicurare ed evitare il panico tra la popolazione. Tuttavia, nella mattinata di ieri, Gallera aveva riferito che, effettivamente, «in alcuni presidi, in alcuni momenti, bisogna fare una scelta se intubare o mettere una mascherina a chi invece dovrebbe essere intubato». Fino a ieri sera, l'ospedale Niguarda non aveva rilasciato una chiara smentita, invitando semplicemente a «non far trapelare informazioni errate attraverso Whatsapp o altre fonti non ufficiali».
Non è una malattia solo per vecchi. Galli: «Molti ragazzi in rianimazione»
È uscito ieri dalla terapia intensiva Mattia, 38 anni, sportivo e pieno di vita, primo caso di contagiato da coronavirus a Codogno, nel Lodigiano. Ma insieme alla bella notizia abbiamo scoperto che il Covid-19 non è solo un virus per «vecchi». Ieri a fare chiarezza ci ha pensato Massimo Galli, che dirige il reparto di malattie infettive dell'Ospedale Sacco di Milano, in un'intervista a Sky Tg24. «Ci sono dei giovani con problemi decisamente seri. Abbiamo dei trentenni in queste condizioni, in verità anche sotto i 30 anni. Pochi casi, non c'è proporzione ovviamente. Ma abbiamo casi anche in rianimazione».
Non basta quindi il dato anagrafico a salvare dal contagio del coronavirus tanto che lo stesso Galli aveva già lanciato un allarme ai giovanissimi: «Gli adolescenti si considerano immortali, ci siamo passati tutti. Ma così rischiano di avere la responsabilità di portare a nonni e genitori un cliente assai più dannoso che per loro. A costo di essere detestato dico che i locali e i punti di aggregazione vanno chiusi pure nelle regioni non ancora intensamente coinvolte dal problema». Qualcosa in più di un consiglio, che alla luce dei ricoveri di ventenni e trentenni fa capire la necessità della quarantena.
Anche Daniele Macchini, medico dell'Humanitas Gavazzeni di Bergamo, da settimane impegnato nell'assistenza dei pazienti affetti da Covid-19, aveva pubblicato su Facebook la «presa di coscienza» della gravità dell'epidemia accusando quelli che «sui social ancora si vantano di non aver paura ignorando le indicazioni, protestando perché le loro normali abitudini vengono messe temporaneamente in crisi. Ecco vi assicuro che quando vedete gente giovane che finisce in terapia intensiva intubata, pronata o peggio Ecmo (una macchina per i casi peggiori che estrae il sangue, lo riossigena e lo restituisce al corpo in attesa che l'organismo guarisca i propri polmoni), allora tutta la tranquillità per la giovane età vi passa».
Ieri anche l'assessore al Welfare della Lombardia, Giulio Gallera, ha sottolineato che il 65% delle persone in terapia intensiva ha più di 65 anni, quindi il 35% ne ha meno. È vero che muoiono di più gli anziani ma nel momento in cui non c'è più posto in terapia intensiva anche il cinquantenne rischia».
Inoltre il virologo Galli, parlando dell'andamento dell'epidemia, ha ribadito: «Più informazioni di me le ha chi ha la visione dei dati a livello centrale. Seguendo i dati dall'esterno, mi viene da dire che purtroppo siamo solo all'inizio. E questo perché, dal punto di vista numerico, giovedì-venerdì scorso la nostra situazione era analoga a quella di Wuhan il 25-26 di gennaio. La condizione è diversa per un motivo: a Wuhan la concentrazione di 11 milioni di persone è in un'area molto più ristretta rispetto alla Lombardia, che ne ha 10 milioni molto più dispersi, ma con le sue aree metropolitane fitte». Secondo l'infettivologo però «questo ci dice che la possibilità di diffusione dell'infezione è reale, se non ti dai da fare per fermarla». E quindi diffusione non soltanto nella popolazione anziana soltanto. «Da noi come a Wuhan», ha aggiunto Galli, «l'infezione ha circolato sottotraccia per un periodo piuttosto lungo, tre o quattro settimane nell'area del Lodigiano. Abbiamo una serie di decessi che ti fanno pensare che il problema ci stia proprio premendo addosso in modo evidente».
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Il premier si prepara a estendere le restrizioni del Nord al resto del Paese. Allarme ospedali: in Lombardia pazienti nei container.L'infettivologo del Sacco di Milano, Massimo Galli: «Anche i trentenni stanno avendo problemi seri».Lo speciale contiene due articoli.Nell'«ora più buia» Giuseppi ha battuto un colpo, prendendo atto di dover allargare la zona rossa e fermare lo sport italiano. Più che un annuncio da statista, un gesto disperato di un premier sopraffatto dagli eventi, che su Repubblica si era paragonato a Winston Churchill, ma che era uscito a pezzi dalla brutta figura del decreto annunciato sabato notte. Una decisione quella a cui si è piegato il governo giallorosso che in realtà dà ragione al leader della Lega, Matteo Salvini, che poco prima aveva dichiarato: «Momenti eccezionali richiedono scelte eccezionali, e visti i 9.000 contagi toccati serve applicare le misure più restrittive per persone e attività, a tutto il territorio nazionale, senza distinzione». Lontano da Palazzo Chigi, intanto, l'Italia combatte una guerra che vede schierati in prima linea i dottori, gli infermieri e tutto il personale sanitario. Lo sforzo è enorme, l'epidemia continua a espandersi e, probabilmente, il peggio non è ancora arrivato. L'ospedale Spallanzani di Roma si sta infatti organizzando per sostenere un eventuale picco epidemico, come ha dichiarato il direttore sanitario, Francesco Vaia: «I posti in terapia intensiva aumenteranno di 5 unità e tra 15 giorni aumenteranno di 10, fino ad arrivare a 34 posti letto». Il picco infatti, secondo una prima previsione teorica, potrebbe arrivare a metà aprile in Lombardia, con ondate successive nelle altre Regioni. A indicarlo è il modello sviluppato per la pandemia influenzale del 2009 e applicato al Covid-19 da Stefania Salmaso, l'epidemiologa che allora era a capo del Centro nazionale di epidemiologia dell'Iss. Ed è proprio quello della Lombardia lo scenario che spaventa di più. Ieri, l'assessore al Welfare della Regione, Giulio Gallera, nel consueto appuntamento, ha provato a tranquillizzare: «Il sistema sta reggendo. Siamo riusciti in tutto a recuperare 223 posti di terapia intensiva e altri 150 contiamo di aprirne in sette giorni. La nostra sfida è avere più posti di quanto necessario». L'assesore ha anche reso nota l'ipotesi di utilizzare gli spazi della Fiera di Milano e l'utilizzo di container per creare nuovi posti letto. I numeri dei ricoveri in Lombardia infatti salgono: secondo i dati di ieri sono infatti 2.802, di cui 440 in terapia intensiva (41 in più rispetto alle 24 ore precedenti), mentre le dimissioni sono a quota 646. Recuperare posti letto è una corsa contro il tempo. Le sale operatorie vengono convertite in sale di terapia intensiva. E nella notte tra domenica e lunedì le ambulanze delle Misericordie della Toscana hanno trasferito i pazienti dalle terapie intensive degli ospedali della Lombardia a quelli delle Regioni confinanti per liberare più posti possibile. In sintesi, tutti gli sforzi devono essere concentrati alla cura dei malati di Covid-19 per evitare che si arrivi al collasso, come ha spiegato Gallera: «Abbiamo bisogno di avere un sistema in grado di curare tutti, quelli che si ammalano di coronavirus e anche quelli che hanno un infarto, un ictus o un incidente. Abbiamo bisogno che il sistema rimanga solido. Se cresce come in queste due settimane, non saremo in grado per tempo di dare una risposta di qualità». Un avvertimento chiaro che, sebbene in termini meno drastici, rende comprensibili gli audio che stanno circolando in Rete di alcuni dottori, come quello di una cardiologa di terapia intensiva di Milano pubblicato da Dagospia. Nelle sue parole, si intravedono scenari simili a quelli di guerra: «Il problema vero è che tanta gente ha bisogno dell'assistenza ventilatoria e non ci sono ventilatori per tutti. Fondamentalmente ci hanno detto che dovremo cominciare a scegliere chi intubare, quindi privilegiamo i giovani e quelli senza altre patologie. Al Niguarda non intubano più oltre i 60 anni, che è veramente giovane come età». A confermare quanto detto dalla cardiologa, ci sarebbero le dichiarazioni di un anestesista del Niguarda: «Tutte le rianimazioni sono quasi piene, si sta pensando a un numero di triage dei rianimatori per distribuire i pazienti nei letti di rianimazione e decidere chi intubare e chi lasciar morire. Si aspettano anche 50 polmoniti al giorno. È drammatica la cosa e non la si dice in giro, bisogna assolutamente che la gente lo capisca». Dichiarazioni pesanti, a cui ha fatto riferimento l'assessore Gallera definendole «parole scorate di anestesisti che sono sul fronte, comprensibili perché c'è un afflusso oltre le aspettative», nel tentativo di rassicurare ed evitare il panico tra la popolazione. Tuttavia, nella mattinata di ieri, Gallera aveva riferito che, effettivamente, «in alcuni presidi, in alcuni momenti, bisogna fare una scelta se intubare o mettere una mascherina a chi invece dovrebbe essere intubato». Fino a ieri sera, l'ospedale Niguarda non aveva rilasciato una chiara smentita, invitando semplicemente a «non far trapelare informazioni errate attraverso Whatsapp o altre fonti non ufficiali».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/conte-prende-atto-del-proprio-fallimento-ora-tutta-litalia-finisce-in-zona-rossa-2645444137.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="non-e-una-malattia-solo-per-vecchi-galli-molti-ragazzi-in-rianimazione" data-post-id="2645444137" data-published-at="1765153142" data-use-pagination="False"> Non è una malattia solo per vecchi. Galli: «Molti ragazzi in rianimazione» È uscito ieri dalla terapia intensiva Mattia, 38 anni, sportivo e pieno di vita, primo caso di contagiato da coronavirus a Codogno, nel Lodigiano. Ma insieme alla bella notizia abbiamo scoperto che il Covid-19 non è solo un virus per «vecchi». Ieri a fare chiarezza ci ha pensato Massimo Galli, che dirige il reparto di malattie infettive dell'Ospedale Sacco di Milano, in un'intervista a Sky Tg24. «Ci sono dei giovani con problemi decisamente seri. Abbiamo dei trentenni in queste condizioni, in verità anche sotto i 30 anni. Pochi casi, non c'è proporzione ovviamente. Ma abbiamo casi anche in rianimazione». Non basta quindi il dato anagrafico a salvare dal contagio del coronavirus tanto che lo stesso Galli aveva già lanciato un allarme ai giovanissimi: «Gli adolescenti si considerano immortali, ci siamo passati tutti. Ma così rischiano di avere la responsabilità di portare a nonni e genitori un cliente assai più dannoso che per loro. A costo di essere detestato dico che i locali e i punti di aggregazione vanno chiusi pure nelle regioni non ancora intensamente coinvolte dal problema». Qualcosa in più di un consiglio, che alla luce dei ricoveri di ventenni e trentenni fa capire la necessità della quarantena. Anche Daniele Macchini, medico dell'Humanitas Gavazzeni di Bergamo, da settimane impegnato nell'assistenza dei pazienti affetti da Covid-19, aveva pubblicato su Facebook la «presa di coscienza» della gravità dell'epidemia accusando quelli che «sui social ancora si vantano di non aver paura ignorando le indicazioni, protestando perché le loro normali abitudini vengono messe temporaneamente in crisi. Ecco vi assicuro che quando vedete gente giovane che finisce in terapia intensiva intubata, pronata o peggio Ecmo (una macchina per i casi peggiori che estrae il sangue, lo riossigena e lo restituisce al corpo in attesa che l'organismo guarisca i propri polmoni), allora tutta la tranquillità per la giovane età vi passa». Ieri anche l'assessore al Welfare della Lombardia, Giulio Gallera, ha sottolineato che il 65% delle persone in terapia intensiva ha più di 65 anni, quindi il 35% ne ha meno. È vero che muoiono di più gli anziani ma nel momento in cui non c'è più posto in terapia intensiva anche il cinquantenne rischia». Inoltre il virologo Galli, parlando dell'andamento dell'epidemia, ha ribadito: «Più informazioni di me le ha chi ha la visione dei dati a livello centrale. Seguendo i dati dall'esterno, mi viene da dire che purtroppo siamo solo all'inizio. E questo perché, dal punto di vista numerico, giovedì-venerdì scorso la nostra situazione era analoga a quella di Wuhan il 25-26 di gennaio. La condizione è diversa per un motivo: a Wuhan la concentrazione di 11 milioni di persone è in un'area molto più ristretta rispetto alla Lombardia, che ne ha 10 milioni molto più dispersi, ma con le sue aree metropolitane fitte». Secondo l'infettivologo però «questo ci dice che la possibilità di diffusione dell'infezione è reale, se non ti dai da fare per fermarla». E quindi diffusione non soltanto nella popolazione anziana soltanto. «Da noi come a Wuhan», ha aggiunto Galli, «l'infezione ha circolato sottotraccia per un periodo piuttosto lungo, tre o quattro settimane nell'area del Lodigiano. Abbiamo una serie di decessi che ti fanno pensare che il problema ci stia proprio premendo addosso in modo evidente».
Monterosa ski
Dopo un’estate da record, con presenze in crescita del 2% e incassi saliti del 3%, il sipario si alza ora su Monterosa Ski. In scena uno dei comprensori più autentici dell’arco alpino, da vivere fino al 19 aprile (neve permettendo) con e senza gli sci ai piedi, tra discese impeccabili, panorami che tolgono il fiato e quella calda accoglienza che da sempre distingue questo spicchio di territorio che si muove tra Valle d’Aosta e Piemonte, abbracciando le valli di Ayas e Gressoney e la Valsesia.
Protagoniste assolute dell’inverno al via, le novità.
A Gressoney-Saint-Jean il baby snow park Sonne è fresco di rinnovo e pronto ad accogliere i piccoli sciatori con aree gioco più ampie, un nuovo tapis roulant per prolungare il divertimento delle discese su sci, slittini e gommoni, e una serie di percorsi con gonfiabili a tema Walser per celebrare le tradizioni della valle. Poco più in alto, a Gressoney-La-Trinité, vede la luce la nuova pista di slittino Murmeltier, progetto ambizioso che ruota attorno a 550 metri di discesa serviti dalla seggiovia Moos, illuminazione notturna, innevamento garantito e la possibilità di scivolare anche sotto le stelle, ogni mercoledì e sabato sera.
Da questa stagione, poi, entra pienamente in funzione la tecnologia bluetooth low energy, che consente di usare lo skipass digitale dallo smartphone, senza passare dalla biglietteria. Basta tenerlo in tasca per accedere agli impianti, riducendo così plastica e attese e promuovendo una montagna più smart e sostenibile, dove la tecnologia è al servizio dell’esperienza.
Sul fronte di costi e promozioni, fioccano agevolazioni e formule pensate per andare incontro a tutte le tasche e per far fronte alle imprevedibili condizioni meteorologiche. A partire da sci gratuito per bambini sotto gli otto anni, a sconti del 30 e del 20 per cento rispettivamente per i ragazzi tra gli 8 e i 16 anni e i giovani tra i 16 e i 24 anni , per arrivare a voucher multiuso per i rimborsi skipass in caso di chiusura degli impianti . «Siamo più che soddisfatti di poter ribadire la solidità di una destinazione che sta affrontando le sfide di questi anni con lungimiranza. Su tutte, l’imprevedibilità delle condizioni meteo che ci condiziona in modo determinante e ci spinge a migliorare le performance delle infrastrutture e delle modalità di rimborso, come nel caso dei voucher», dice Giorgio Munari, amministratore delegato di Monterosa Spa.
Introdotti con successo l’inverno scorso, i voucher permettono ai titolari di skipass giornalieri o plurigiornalieri, in caso di chiusure parziali o totali del comprensorio, di avere crediti spendibili in acquisti non solo di nuovi skipass e biglietti per impianti, ma anche in attività e shopping presso partner d’eccellenza, che vanno dal Forte di Bard alle Terme di Champoluc, fino all’avveniristica Skyway Monte Bianco, passando per ristoranti di charme e botteghe artigiane.
Altra grande novità della stagione, questa volta dal respiro internazionale, l’ingresso di Monterosa Ski nel circuito Ikon pass, piattaforma americana che raccoglie oltre 60 destinazioni sciistiche nel mondo.
«Non si tratta solo di un’inclusione simbolica», commenta Munari, «ma di entrare concretamente nei radar di sciatori di Stati Uniti, Canada, Giappone o Australia che, già abituati a muoversi tra mete sciistiche di fama mondiale, avranno ora la possibilità di scoprire anche il nostro comprensorio». Comprensorio che ha tanto da offrire.
Sotto lo sguardo dei maestosi 4.000 del Rosa, sfilano discese sfidanti anche per i più esperti sul carosello principale Monterosa Ski 3 Valli - 29 impianti per 52 piste fino a 2.971 metri di quota - e percorsi più soft, adatti a principianti e bambini, nella ski area satellite di Antagnod, Brusson, Gressoney-Saint-Jean, Champorcher e Alpe di Mera; fuoripista da urlo nel regno imbiancato di Monterosa freeride paradise e tracciati di sci alpinismo d’eccezione - Monterosa Ski è il primo comprensorio di sci alpinismo in Italia. Il tutto accompagnato da panorami e paesaggi strepitosi e da un’accoglienza made in Italy che conquista a colpi di stile e atmosfere genuine. Info: www.monterosaski.eu.
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Dal foyer della Prima domina il nero scelto da vip e istituzioni. Tra abiti couture, la presenza di Pierfrancesco Favino, Mahmood, Achille Lauro e Barbara Berlusconi - appena nominata nel cda - spiccano le assenze ufficiali. Record d’incassi per Šostakovič.
Non c’è dubbio che un’opera dirompente e sensuale, che vede tradimenti e assassinii, censurata per la sua audacia e celebrata per la sua altissima qualità musicale come Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmítrij Šostakóvič, abbia influenzato la scelta di stile delle signore presenti.
«Quando preparo gli abiti delle mie clienti per la Prima della Scala, tengo sempre conto del tema dell’opera», spiega Lella Curiel, sessanta prime al suo attivo e stilista per antonomasia della serata più importante del Piermarini. Così ogni volta la Prima diventa un grande esperimento sociale, di eleganza ma anche di mise inopportune. Da sempre, la platea ingioiellata e in smoking, si divide tra chi è qui per la musica e chi per mostrarsi mentre finge di essere qui intendendosene. Sul piazzale, lo show comincia ben prima del do di petto. Le signore scendono dalle auto con la stessa espressione di chi affronta un red carpet improvvisato: un occhio al gradino e uno ai fotografi. Sono tiratissime, ma anche i loro accompagnatori non sono da meno, alcuni dei quali con abiti talmente aderenti che sembrano più un atto di fede che un capo sartoriale.
È il festival del «chi c’è», «chi manca» ma tutti partecipano con disinvoltura allo spettacolo parallelo: quello dei saluti affettuosi, che durano esattamente il tempo di contare quanti carati ha l’altro. Mancano sì il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio, il presidente del Senato e il presidente della Camera ma gli aficionados della Prima, e anche tanti altri, ci sono tutti visto che è stato raggiunto il record di biglietti venduti, quasi 3 milioni di euro d’incasso.
Sul palco d'onore, con il sindaco Beppe Sala e Chiara Bazoli (in nero Armani rischiarato da un corpetto in paillettes), il ministro della Cultura Alessandro Giuli, l’applaudita senatrice a vita Liliana Segre, il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana accompagnato dalla figlia Cristina (elegantissima in nero di Dior), il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Amoroso, i vicepresidenti di Camera e Senato Anna Ascani e Gian Marco Centinaio e il prefetto di Milano Claudio Sgaraglia. Nero imperante, quindi, nero di pizzo, di velluto, di chiffon ma sempre nero. Con un tocco di rosso come per l’abito di Maria Grazia compagna di Giuseppe Marotta («è un vestito di sartoria, non è firmato da nessun stilista»), con dettagli verdi scelti da Diana Bracco («sono molto rigorosa»). Tutto nero l’abito/cappotto di Andrée Ruth Shammah («metto sempre questo per la Prima con i gioielli colorati di mia mamma»). E così quello di Fabiana Giacomotti molto scollato sulla schiena («è di Balenciaga, l’ultima collezione di Demna»).
Ma esce dal coro Barbara Berlusconi, la più fotografata, in un prezioso abito di Armani dalle varie sfumature, dall’argento al rosso al blu («ho scelto questo abito che avevo già indossato per celebrarlo»), accompagnata da Lorenzo Guerrieri. Fresca di nomina nel cda della Scala (voluta da Fontana), si è soffermata con i giornalisti. «La scelta di Šostakovič - afferma - conferma che la Scala non è solo un luogo di memoria: è anche un teatro che ha il coraggio di proporre opere che fanno pensare, che interrogano il pubblico, lo sfidano, e che raccontano la complessità del nostro tempo. La Lady è un titolo "ruvido", forte, volutamente impegnativo, che non cerca il consenso facile. È un'opera intensa, profonda, scomoda, ma anche attualissima per i temi che propone». E aggiunge: «Mio padre amava l'opera e ho avuto il piacere di accompagnarlo parecchi anni fa a una Prima. Questo ruolo nel cda l'ho preso con grande impegno per aiutare la Scala a proseguire nel suo straordinario lavoro». Altra componente del cda, Melania Rizzoli, in nero vintage dell’amica Chiara Boni, arrivata con il figlio Alberto Rizzoli. In nero Ivana Jelinic, ad di Enit, agenzia nazionale del Turismo. In blu firmato Antonio Riva, Giulia Crespi moglie di Angelo, direttore della Pinacoteca di Brera. In beige Ilaria Borletti Buitoni con un completo confezionato dalla sarta su un suo disegno. Letteralmente accerchiati da giornalisti, fotografi e telecamere Pierfrancesco Favino con la moglie Anna Ferzetti, Mahmood in Versace («mi sento regale») e Achille Lauro che dice quanto sia importante che l’opera arrivi ai giovani. Debutto lirico per Giorgio Pasotti mentre è una conferma per Giovanna Salza in Armani e ospite abituale è l’artista Francesco Vezzoli.
Poi, in 500, alla cena di gala firmata dallo chef 2 stelle Michelin nella storica Società del Giardino Davide Oldani. E così la Prima resta quel miracolo annuale in cui tutti, almeno per una sera, riescono a essere la versione più scintillante (e leggermente autoironica) di sé stessi.
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Guido Guidesi (Imagoeconomica)
Le Zis si propongono come aree geografiche o distretti tematici in cui imprese, startup e centri di ricerca possano operare in sinergia per stimolare l’innovazione, generare nuova occupazione qualificata, attrarre capitali, formare competenze avanzate e trattenere talenti. Nelle intenzioni della Regione, le nuove zone dovranno funzionare come poli stabili, riconosciuti e specializzati, ciascuno legato alle vocazioni produttive del proprio territorio. I progetti potranno riguardare settori differenti: manifattura avanzata, digitalizzazione, life science, agritech, energia, materiali innovativi, cultura tecnologica e altre filiere considerate strategiche.
La procedura di attivazione delle Zis è così articolata. La Fase 1, tramite manifestazione di interesse, permette ai soggetti coinvolti di presentare un Masterplan, documento preliminare in cui vengono indicati settore di specializzazione, composizione del partenariato, governance, spazi disponibili o da realizzare, laboratori, servizi tecnologici e prospetto di sostenibilità. La proposta dovrà inoltre includere la lettera di endorsement della Provincia competente. Ogni Provincia potrà ospitare fino a due Zis, senza limiti invece per le candidature interprovinciali. La dotazione economica disponibile per questa fase è pari a 1 milione di euro: il contributo regionale finanzia fino al 50% delle spese di consulenza per la stesura dei documenti necessari alla Fase 2, fino a un massimo di 100.000 euro per progetto.
La Fase 2 è riservata ai progetti ammessi dopo la valutazione iniziale. Con l’accompagnamento della Regione, i proponenti elaboreranno il Piano strategico definitivo, che dovrà disegnare una visione a lungo termine con orizzonte al 2050. Il programma di sviluppo indicherà le azioni operative: attrazione di nuove imprese e startup innovative, apertura o potenziamento di laboratori, creazione di infrastrutture digitali, percorsi formativi ad alta specializzazione, incubatori e servizi condivisi. Sarà inoltre definito un modello economico sostenibile e un sistema di monitoraggio basato su indicatori misurabili per valutare impatti occupazionali, tecnologici e competitivi.
I soggetti autorizzati alla presentazione delle candidature sono raggruppamenti pubblico-privati con imprese o startup come capofila. Possono partecipare enti pubblici, Comuni, Province, camere di commercio, università, centri di ricerca, enti formativi, fondazioni, associazioni e organizzazioni del terzo settore. Regione Lombardia avrà il ruolo di coordinatore e facilitatore. All’interno della direzione generale sviluppo economico sarà istituita una struttura dedicata al supporto dei territori: un presidio tecnico incaricato di orientare, assistere e valorizzare le progettualità, monitorando l’attuazione e la coerenza con gli obiettivi strategici.
Nel corso della presentazione istituzionale, l’assessore allo Sviluppo economico, Guido Guidesi, ha dichiarato: «Cambiamo per innovare. Le Zis saranno il connettore dei valori aggiunti di cui già disponiamo e che metteremo a sistema, ecosistemi settoriali che innovano in squadra tra aziende, ricerca, formazione, istituzioni e credito. Guardiamo al futuro difendendo il nostro sistema produttivo con l’obiettivo di consegnare opportunità ai giovani». Da Confindustria Lombardia è arrivata una valutazione positiva. Il presidente Giuseppe Pasini ha affermato: «Attraverso le Zis si intensifica il lavoro a favore delle imprese e dei territori. Apprezziamo la capacità di visione e la volontà di puntare sui giovani».
Ogni territorio svilupperà la propria specializzazione, puntando su filiere già forti o sulla creazione di nuovi segmenti tecnologici. Il percorso non prevede limiti settoriali ma richiede sostenibilità economica e capacità di generare ricadute occupazionali misurabili.
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