2020-03-10
Conte prende atto del proprio fallimento. Ora tutta l’Italia finisce in zona rossa
Il premier si prepara a estendere le restrizioni del Nord al resto del Paese. Allarme ospedali: in Lombardia pazienti nei container.L'infettivologo del Sacco di Milano, Massimo Galli: «Anche i trentenni stanno avendo problemi seri».Lo speciale contiene due articoli.Nell'«ora più buia» Giuseppi ha battuto un colpo, prendendo atto di dover allargare la zona rossa e fermare lo sport italiano. Più che un annuncio da statista, un gesto disperato di un premier sopraffatto dagli eventi, che su Repubblica si era paragonato a Winston Churchill, ma che era uscito a pezzi dalla brutta figura del decreto annunciato sabato notte. Una decisione quella a cui si è piegato il governo giallorosso che in realtà dà ragione al leader della Lega, Matteo Salvini, che poco prima aveva dichiarato: «Momenti eccezionali richiedono scelte eccezionali, e visti i 9.000 contagi toccati serve applicare le misure più restrittive per persone e attività, a tutto il territorio nazionale, senza distinzione». Lontano da Palazzo Chigi, intanto, l'Italia combatte una guerra che vede schierati in prima linea i dottori, gli infermieri e tutto il personale sanitario. Lo sforzo è enorme, l'epidemia continua a espandersi e, probabilmente, il peggio non è ancora arrivato. L'ospedale Spallanzani di Roma si sta infatti organizzando per sostenere un eventuale picco epidemico, come ha dichiarato il direttore sanitario, Francesco Vaia: «I posti in terapia intensiva aumenteranno di 5 unità e tra 15 giorni aumenteranno di 10, fino ad arrivare a 34 posti letto». Il picco infatti, secondo una prima previsione teorica, potrebbe arrivare a metà aprile in Lombardia, con ondate successive nelle altre Regioni. A indicarlo è il modello sviluppato per la pandemia influenzale del 2009 e applicato al Covid-19 da Stefania Salmaso, l'epidemiologa che allora era a capo del Centro nazionale di epidemiologia dell'Iss. Ed è proprio quello della Lombardia lo scenario che spaventa di più. Ieri, l'assessore al Welfare della Regione, Giulio Gallera, nel consueto appuntamento, ha provato a tranquillizzare: «Il sistema sta reggendo. Siamo riusciti in tutto a recuperare 223 posti di terapia intensiva e altri 150 contiamo di aprirne in sette giorni. La nostra sfida è avere più posti di quanto necessario». L'assesore ha anche reso nota l'ipotesi di utilizzare gli spazi della Fiera di Milano e l'utilizzo di container per creare nuovi posti letto. I numeri dei ricoveri in Lombardia infatti salgono: secondo i dati di ieri sono infatti 2.802, di cui 440 in terapia intensiva (41 in più rispetto alle 24 ore precedenti), mentre le dimissioni sono a quota 646. Recuperare posti letto è una corsa contro il tempo. Le sale operatorie vengono convertite in sale di terapia intensiva. E nella notte tra domenica e lunedì le ambulanze delle Misericordie della Toscana hanno trasferito i pazienti dalle terapie intensive degli ospedali della Lombardia a quelli delle Regioni confinanti per liberare più posti possibile. In sintesi, tutti gli sforzi devono essere concentrati alla cura dei malati di Covid-19 per evitare che si arrivi al collasso, come ha spiegato Gallera: «Abbiamo bisogno di avere un sistema in grado di curare tutti, quelli che si ammalano di coronavirus e anche quelli che hanno un infarto, un ictus o un incidente. Abbiamo bisogno che il sistema rimanga solido. Se cresce come in queste due settimane, non saremo in grado per tempo di dare una risposta di qualità». Un avvertimento chiaro che, sebbene in termini meno drastici, rende comprensibili gli audio che stanno circolando in Rete di alcuni dottori, come quello di una cardiologa di terapia intensiva di Milano pubblicato da Dagospia. Nelle sue parole, si intravedono scenari simili a quelli di guerra: «Il problema vero è che tanta gente ha bisogno dell'assistenza ventilatoria e non ci sono ventilatori per tutti. Fondamentalmente ci hanno detto che dovremo cominciare a scegliere chi intubare, quindi privilegiamo i giovani e quelli senza altre patologie. Al Niguarda non intubano più oltre i 60 anni, che è veramente giovane come età». A confermare quanto detto dalla cardiologa, ci sarebbero le dichiarazioni di un anestesista del Niguarda: «Tutte le rianimazioni sono quasi piene, si sta pensando a un numero di triage dei rianimatori per distribuire i pazienti nei letti di rianimazione e decidere chi intubare e chi lasciar morire. Si aspettano anche 50 polmoniti al giorno. È drammatica la cosa e non la si dice in giro, bisogna assolutamente che la gente lo capisca». Dichiarazioni pesanti, a cui ha fatto riferimento l'assessore Gallera definendole «parole scorate di anestesisti che sono sul fronte, comprensibili perché c'è un afflusso oltre le aspettative», nel tentativo di rassicurare ed evitare il panico tra la popolazione. Tuttavia, nella mattinata di ieri, Gallera aveva riferito che, effettivamente, «in alcuni presidi, in alcuni momenti, bisogna fare una scelta se intubare o mettere una mascherina a chi invece dovrebbe essere intubato». Fino a ieri sera, l'ospedale Niguarda non aveva rilasciato una chiara smentita, invitando semplicemente a «non far trapelare informazioni errate attraverso Whatsapp o altre fonti non ufficiali».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/conte-prende-atto-del-proprio-fallimento-ora-tutta-litalia-finisce-in-zona-rossa-2645444137.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="non-e-una-malattia-solo-per-vecchi-galli-molti-ragazzi-in-rianimazione" data-post-id="2645444137" data-published-at="1758061928" data-use-pagination="False"> Non è una malattia solo per vecchi. Galli: «Molti ragazzi in rianimazione» È uscito ieri dalla terapia intensiva Mattia, 38 anni, sportivo e pieno di vita, primo caso di contagiato da coronavirus a Codogno, nel Lodigiano. Ma insieme alla bella notizia abbiamo scoperto che il Covid-19 non è solo un virus per «vecchi». Ieri a fare chiarezza ci ha pensato Massimo Galli, che dirige il reparto di malattie infettive dell'Ospedale Sacco di Milano, in un'intervista a Sky Tg24. «Ci sono dei giovani con problemi decisamente seri. Abbiamo dei trentenni in queste condizioni, in verità anche sotto i 30 anni. Pochi casi, non c'è proporzione ovviamente. Ma abbiamo casi anche in rianimazione». Non basta quindi il dato anagrafico a salvare dal contagio del coronavirus tanto che lo stesso Galli aveva già lanciato un allarme ai giovanissimi: «Gli adolescenti si considerano immortali, ci siamo passati tutti. Ma così rischiano di avere la responsabilità di portare a nonni e genitori un cliente assai più dannoso che per loro. A costo di essere detestato dico che i locali e i punti di aggregazione vanno chiusi pure nelle regioni non ancora intensamente coinvolte dal problema». Qualcosa in più di un consiglio, che alla luce dei ricoveri di ventenni e trentenni fa capire la necessità della quarantena. Anche Daniele Macchini, medico dell'Humanitas Gavazzeni di Bergamo, da settimane impegnato nell'assistenza dei pazienti affetti da Covid-19, aveva pubblicato su Facebook la «presa di coscienza» della gravità dell'epidemia accusando quelli che «sui social ancora si vantano di non aver paura ignorando le indicazioni, protestando perché le loro normali abitudini vengono messe temporaneamente in crisi. Ecco vi assicuro che quando vedete gente giovane che finisce in terapia intensiva intubata, pronata o peggio Ecmo (una macchina per i casi peggiori che estrae il sangue, lo riossigena e lo restituisce al corpo in attesa che l'organismo guarisca i propri polmoni), allora tutta la tranquillità per la giovane età vi passa». Ieri anche l'assessore al Welfare della Lombardia, Giulio Gallera, ha sottolineato che il 65% delle persone in terapia intensiva ha più di 65 anni, quindi il 35% ne ha meno. È vero che muoiono di più gli anziani ma nel momento in cui non c'è più posto in terapia intensiva anche il cinquantenne rischia». Inoltre il virologo Galli, parlando dell'andamento dell'epidemia, ha ribadito: «Più informazioni di me le ha chi ha la visione dei dati a livello centrale. Seguendo i dati dall'esterno, mi viene da dire che purtroppo siamo solo all'inizio. E questo perché, dal punto di vista numerico, giovedì-venerdì scorso la nostra situazione era analoga a quella di Wuhan il 25-26 di gennaio. La condizione è diversa per un motivo: a Wuhan la concentrazione di 11 milioni di persone è in un'area molto più ristretta rispetto alla Lombardia, che ne ha 10 milioni molto più dispersi, ma con le sue aree metropolitane fitte». Secondo l'infettivologo però «questo ci dice che la possibilità di diffusione dell'infezione è reale, se non ti dai da fare per fermarla». E quindi diffusione non soltanto nella popolazione anziana soltanto. «Da noi come a Wuhan», ha aggiunto Galli, «l'infezione ha circolato sottotraccia per un periodo piuttosto lungo, tre o quattro settimane nell'area del Lodigiano. Abbiamo una serie di decessi che ti fanno pensare che il problema ci stia proprio premendo addosso in modo evidente».