2020-05-19
I soldi ai lavoratori non arrivano. Ai Benetton e agli Agnelli invece sì
Luciano Benetton (Igor Petyx:KONTROLAB :LightRocket via Getty Images)
Fca ha chiesto 6 miliardi garantiti dallo Stato, mentre Aspi, Autogrill e Aeroporti di Roma puntano ad altri 2. Se la «poderosa liquidità» promessa dal premier andrà ai colossi, per i piccoli resteranno solo le briciole.La Fiat - scusate se continuo a chiamarla con il nome con cui, prima che emigrasse in Olanda per ragioni fiscali, per oltre 100 anni l'abbiamo chiamata e finanziata - vuole 6 miliardi garantiti dallo Stato. Quei poverini dei Benetton, dovendo farsi perdonare il crollo del ponte Morandi, si accontentano invece solo di un paio, che la Sace dovrebbe garantire in favore di Autostrade. Sì, l'emergenza Covid non è ancora finita e centinaia di migliaia di lavoratori non hanno ancora visto l'ombra di un euro di cassa integrazione, tuttavia i grandi gruppi già fanno la fila per battere cassa. Grazie al decreto Cura Italia, fior di imprenditori stanno curando soprattutto gli affari loro. Non si tratta ovviamente di piccoli e medi produttori messi sul lastrico dalla crisi e dalla chiusura imposta dal governo. Ma di colossi che certo non avrebbero difficoltà a ottenere linee di credito bancarie e ancor meno ne avrebbero se mettessero mano al loro portafogli, dove per anni sono riusciti a far confluire ricchi dividendi. Invece di rivolgersi allo sportello come i comuni mortali, sottoponendosi a un iter che quasi sempre si conclude con un nient o di finanziare in proprio le necessità di cassa, ricorrendo alle riserve accumulate negli anni, questi giganti vogliono la garanzia dello Stato, anche perché non costa niente. I tassi di interesse annunciati sono talmente bassi che fanno gola ai più, con il risultato che i pochi soldi stanziati da Palazzo Chigi rischiano di essere prosciugati solo con questi interventi. Perché è scontato che se la Fiat si pappa 6 miliardi e i Benetton altri 2, aggiungete un paio di nuove richieste del genere e a chi rimane restano le briciole. Anzi, la beffa di un aiuto che non aiuta perché non c'è.Da subito avevo segnalato che dietro i pomposi annunci del presidente del Consiglio nelle sue conferenze stampa in realtà c'erano pochi soldi e molte chiacchiere, ma certo neppure io che conosco i polli di Palazzo Chigi pensavo che i quattrini fossero così pochi. E men che meno immaginavo che a volerseli pappare fosse quello che un tempo la sinistra avrebbe chiamato il grande capitale, a cui ora invece va in soccorso. Già, perché alcuni compagni sono passati direttamente dalla lotta di classe alla lotta contro le tasse. Che sarebbe giustificata se le imposte venissero tagliate ai professionisti, alle partite Iva, ai piccoli artigiani e ai commercianti, ma qui invece siamo alle solite e chi è in grado di progettare architetture finanziarie sfugge all'erario, tutti gli altri pagano anche per coloro che se la sono data a gambe. È questo il caso della Fiat, che ormai da qualche anno ha deciso di traslocare in Olanda, dove la mano del fisco è meno rapace di quella italiana. Risultato, la casa automobilistica, pur avendo stabilimenti italiani, è ormai una multinazionale con sede legale nei Paesi Bassi e in Gran Bretagna. Dunque, le tasse le paga dove le conviene, cioè non in Italia. Tuttavia, con l'aiuto di un decreto che pare cucito su misura perché non fa cenno alla residenza fiscale, Fiat bussa a quattrini. Non chiede linee di credito garantite dallo Stato olandese o inglese: i soldi li vuole dall'Italia e ora si capisce anche l'improvviso interesse di John Elkann per l'editoria. In certi momenti, avere giornali come Repubblica, La Stampa e Il Secolo XIX fa sempre comodo. Di fronte a tutto ciò c'è pure chi, invece di indignarsi, applaude, convinto che la richiesta di denaro sia un atto d'amore nei confronti del nostro Paese, la dimostrazione che non si intende lasciarlo. Ovviamente, a dire le bischerate è il solito Matteo Renzi e dunque non c'è da stupirsi: perfino Carlo Calenda, che proviene da quel mondo industriale, ha sollevato il sopracciglio, criticando la richiesta. Ma Renzi no: pur di tenere in piedi il governo ed evitare le elezioni che sancirebbero il suo 2 per cento, dopo la maxi sanatoria dei migranti, è disposto a digerire il maxi finanziamento.Ma se gli Agnelli bussano a quattrini senza arrossire, i Benetton non sono da meno. Dopo aver chiesto la cassa integrazione per i dipendenti di Autostrade, si sono messi in fila anche per il prestito garantito dalla Sace e pensano di richiedere 2 miliardi. In pratica, quello stesso Stato che dovrebbe essere risarcito per ciò che è accaduto due anni fa, ora non solo non avrebbe un ristoro dei danni subiti, ma dovrebbe pure contribuire alle necessità finanziaria dell'allegra famiglia multicolor, quella che il giorno dopo la strage di Genova si riunì a Cortina per celebrare il Ferragosto. Non so quanti altri Paperoni seguiranno l'esempio, immagino che Agnelli & Benetton si troveranno presto in bella compagnia. Tutto ciò però significa una sola cosa e cioè che per la maggioranza delle altre imprese, quelle che davvero fanno fatica, avere gli aiuti sarà ancor più difficile. La poderosa liquidità annunciata da Conte rischia insomma di trasformarsi in una poderosa fregatura.
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