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2018-11-15
Conte negli Emirati Arabi per risolvere i danni del governo Renzi
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LaPresse
Ed ecco perché tra i temi dell'incontro di ieri tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il principe ereditario emiratino Mohammed Bin Zayed Al Nahyan c'era anche l'aereo di Matteo Renzi. Fonti vicine al dossier raccontano alla Verità che Etihad sarebbe disponibile a chiudere la questione con un grosso sconto, accettando una penale attorno ai 20-25 milioni.
Come spesso accade, dettare l'agenda della politica estera italiana tocca a Eni. A inizio settimana il Cane a sei zampe aveva rafforzato la sua presenza negli Emirati Arabi Uniti firmando un accordo con la Abu Dhabi national oil company per l'assegnazione di una quota del 25% nella concessione, con una durata di 40 anni, denominata Ghasha, un mega progetto a gas situato nell'offshore dell'Emirato di Abu Dhabi.
I due leader, che si erano già confrontati telefonicamente lo scorso 7 novembre, ieri hanno parlato di cooperazione commerciale ma anche della recente conferenza per la Libia tenutasi lunedì e martedì a Palermo. Il principe, che assieme al presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi è tra i maggiori sponsor internazionali dell'uomo forte della Cirenaica Khalifa Haftar, ha espresso apprezzamento per l'impegno diplomatico italiano sul dossier libico, riferiscono fonti di Palazzo Chigi.
La visita di Conte assume particolare rilevanza dopo la missione diplomatica del vicepremier e ministro dell'Interno Matteo Salvini in Qatar, rivale regionale dei sauditi e degli emiratini. Ma in caso di viaggio in certi Paesi è sempre utile dare un'occhiata al mondo economico, visto che l'Italia è tra i primi partner commerciali degli Emirati in Europa con un interscambio che nel 2017 ha raggiunto i 7,9 miliardi di euro. Prima del bilaterale, Conte ha incontrato alle Etihad Towers, assieme all'ambasciatore italiano di stanza a Dubai Liborio Stellino, una rappresentanza di imprenditori italiani presenti negli Emirati Arabi Uniti, tra cui Eni, Elettronica, Fincantieri, Generali, Intesa San Paolo e Saipem. L'obiettivo del premier è il 2020, l'anno dell'Expo emiratino che, ha spiegato Conte, sarà per l'Italia e il made in Italy «un'altra opportunità di rimarcare la sua presenza nel Golfo» grazie anche alla presenza di ben 600 aziende nostrane nel Paese del Golfo, con un export medio annuale pari a circa 5,3 miliardi di euro nell'ultimo triennio.
Conte è stato ad Abu Dhabi, riferiscono fonti diplomatiche, per rassicurare gli emiratini. E non è passata inosservata la nomina di Luigi Gubitosi in Tim, commissario straordinario di Alitalia e vicino a Etihad. Sulla gestione della nostra ex compagnia di bandiera da parte degli emiratini pende l'indagine per bancarotta aperta dalla Procura di Civitavecchia. Inoltre, Abu Dhabi teme le mire di Leonardo su Piaggio Aerospace, sempre più forte anche se, riferiscono fondi sindacali, il ministro dello Sviluppo economico sta valutando un'altra offerta per l'azienda che occupa 1.200 persone ed è in fase di liquidazione. L'ex Finmeccanica sarebbe pronto a rivelare la quota in mano a Mubadala, veicolo d'investimento del governo di Abu Dhabi che oggi ha il 100%. La preoccupazione del fondo emiratino ruota attorno allo stallo della commessa da 766 milioni, per la consegna all'Aeronautica militare Italiana di 20 velivoli P2HH a pilotaggio remoto e delle relative stazioni di controllo. La questione ora è nelle mani del ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, che sta votando lo sblocco dell'iter. Ma l'eventuale ingresso di Leonardo spaventa Mubadala, che teme di perdere, assieme al suo ruolo in Piaggio Aerospace, anche il bagaglio di conoscenze e competenze sviluppate nello sviluppo dei droni.
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Che fine ha fatto l'Air Force Renzi? È abbandonato a Fiumicino e il nostro ministro della Difesa, dopo che l'Airbus è stato disconosciuto dall'attuale governo, ha rescisso unilateralmente il leasing stipulato con Etihad dall'ex premier per 70 milioni di euro. Da Abu Dhabi chiedono però che il contratto, che scadrà nel 2025, venga rispettato. Ed ecco perché tra i temi dell'incontro di ieri tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il principe ereditario emiratino Mohammed Bin Zayed Al Nahyan c'era anche l'aereo di Matteo Renzi. Fonti vicine al dossier raccontano alla Verità che Etihad sarebbe disponibile a chiudere la questione con un grosso sconto, accettando una penale attorno ai 20-25 milioni.Come spesso accade, dettare l'agenda della politica estera italiana tocca a Eni. A inizio settimana il Cane a sei zampe aveva rafforzato la sua presenza negli Emirati Arabi Uniti firmando un accordo con la Abu Dhabi national oil company per l'assegnazione di una quota del 25% nella concessione, con una durata di 40 anni, denominata Ghasha, un mega progetto a gas situato nell'offshore dell'Emirato di Abu Dhabi. I due leader, che si erano già confrontati telefonicamente lo scorso 7 novembre, ieri hanno parlato di cooperazione commerciale ma anche della recente conferenza per la Libia tenutasi lunedì e martedì a Palermo. Il principe, che assieme al presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi è tra i maggiori sponsor internazionali dell'uomo forte della Cirenaica Khalifa Haftar, ha espresso apprezzamento per l'impegno diplomatico italiano sul dossier libico, riferiscono fonti di Palazzo Chigi.La visita di Conte assume particolare rilevanza dopo la missione diplomatica del vicepremier e ministro dell'Interno Matteo Salvini in Qatar, rivale regionale dei sauditi e degli emiratini. Ma in caso di viaggio in certi Paesi è sempre utile dare un'occhiata al mondo economico, visto che l'Italia è tra i primi partner commerciali degli Emirati in Europa con un interscambio che nel 2017 ha raggiunto i 7,9 miliardi di euro. Prima del bilaterale, Conte ha incontrato alle Etihad Towers, assieme all'ambasciatore italiano di stanza a Dubai Liborio Stellino, una rappresentanza di imprenditori italiani presenti negli Emirati Arabi Uniti, tra cui Eni, Elettronica, Fincantieri, Generali, Intesa San Paolo e Saipem. L'obiettivo del premier è il 2020, l'anno dell'Expo emiratino che, ha spiegato Conte, sarà per l'Italia e il made in Italy «un'altra opportunità di rimarcare la sua presenza nel Golfo» grazie anche alla presenza di ben 600 aziende nostrane nel Paese del Golfo, con un export medio annuale pari a circa 5,3 miliardi di euro nell'ultimo triennio.Conte è stato ad Abu Dhabi, riferiscono fonti diplomatiche, per rassicurare gli emiratini. E non è passata inosservata la nomina di Luigi Gubitosi in Tim, commissario straordinario di Alitalia e vicino a Etihad. Sulla gestione della nostra ex compagnia di bandiera da parte degli emiratini pende l'indagine per bancarotta aperta dalla Procura di Civitavecchia. Inoltre, Abu Dhabi teme le mire di Leonardo su Piaggio Aerospace, sempre più forte anche se, riferiscono fondi sindacali, il ministro dello Sviluppo economico sta valutando un'altra offerta per l'azienda che occupa 1.200 persone ed è in fase di liquidazione. L'ex Finmeccanica sarebbe pronto a rivelare la quota in mano a Mubadala, veicolo d'investimento del governo di Abu Dhabi che oggi ha il 100%. La preoccupazione del fondo emiratino ruota attorno allo stallo della commessa da 766 milioni, per la consegna all'Aeronautica militare Italiana di 20 velivoli P2HH a pilotaggio remoto e delle relative stazioni di controllo. La questione ora è nelle mani del ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, che sta votando lo sblocco dell'iter. Ma l'eventuale ingresso di Leonardo spaventa Mubadala, che teme di perdere, assieme al suo ruolo in Piaggio Aerospace, anche il bagaglio di conoscenze e competenze sviluppate nello sviluppo dei droni.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Getty Images
Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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