2021-07-28
Conte gioca a fare il duro e si racconta la favoletta della riforma Bonafede bis
Per tenere unito il M5s, Giuseppi millanta vittoria per aver ottenuto dal Guardasigilli il no all'improcedibilità per i reati di mafia e terrorismo. Ma è mediazione di bandiera.Sinistra, M5s e Iv votano per non allargare il perimetro di Marta Cartabia all'abuso d'ufficio.Lo speciale contiene due articoli.Una pallottola spuntata, due. Giuseppe Conte gira intorno alla sfiducia sulla riforma della giustizia, non si sbilancia neppure su un eventuale voto degli iscritti M5s su prescrizione e dintorni e anche l'ala più giustizialista del Movimento si prepara a incassare le modifiche sui processi per mafia e terrorismo con un piccolo gioco di prestigio semantico, ovvero definire la legge in discussione alla Camera «più Bonafede che Cartabia». Dopo l'idea di ritirare i ministri grillini dal governo, smentita da Conte come minaccia, ma comunque fatta girare nei giorni scorsi come scenario, il capo politico «incaricato» del Movimento anche ieri ha sfoggiato tutto il suo riconosciuto equilibrismo, fatto di «dico e non dico», mezze misure, chiusure a tre quarti e aperture condizionate. Il fatto è che se anche mai decidesse di non votare la fiducia al governo del suo successore, Conte rischierebbe sulla propria pelle di scoprire fin dove arrivano veramente i poteri del Garante Beppe Grillo. E questo prima ancora del voto della base sulla sua leadership di Uomo della provvidenza designato. Le trattative sul maxiemendamento Cartabia al progetto del suo predecessore, Alfonso Bonafede, sono in pieno svolgimento. Nel loro incontro di ieri a Montecitorio, i deputati di M5s e Conte si sono detti che serve ancora prudenza, visto che non c'è ancora un testo scritto definitivo che salvi i processi per reati di mafia e terrorismo dalla tagliola dell'improcedibilità. Il Guardasigilli lo sta ancora limando con Palazzo Chigi, dove il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli, segue in prima persona la pratica. Da quello che trapela del summit pentastellato, c'è un certo ottimismo sul fatto che non ci saranno scherzi, anche perché Giuseppi ha spiegato che Draghi si è impegnato al telefono con lui. Poi, certo, a questo punto la vera paura di M5s è che salti fuori qualche cavillo dell'ultima ora che possa allentare la lotta alla corruzione e ai reati dei colletti bianchi, ma a porte chiuse Conte ha detto di fidarsi. Uscito dalla riunione, però, ha cercato in qualche modo di ostentare cautela e lanciare qualche messaggio al governo di cui fa parte, senza però alzare minimamente i toni. Un'arte che ha dimostrato di possedere ai massimi livelli nei tre anni di governo, quando «minacciava» di revocare le concessioni di Autostrade ai Benetton, oppure intimava a Telecom Italia e Open Fiber di dar vita alla famosa Rete unica 5G, usando termini fumosi e fintamente perentori. E così, ai cronisti che gli chiedevano se il Movimento potrebbe non votare la fiducia sul provvedimento, Conte ha risposto con un giro di parole: «Le minacce non mi sono mai piaciute, il mio è un atteggiamento costruttivo. Valutiamo questa disponibilità del governo a modificare il testo, queste aperture che sono state pubblicamente anticipate, poi valuteremo». Già, ma il problema è che un testo scritto, a ieri sera, non era ancora arrivato ai deputati della commissione Giustizia. Anche qui Giuseppi si è destreggiato alla sua maniera: «Io non voglio neppure considerare l'ipotesi in cui non venga modificato il testo. È sbagliato dire che noi dobbiamo essere accontentati e altre formazioni no. L'obiettivo è avere un sistema di giustizia efficiente».E già, chi non vorrebbe una giustizia efficiente, ma il punto è che quando si ha a che fare con un premier come Draghi, che ha già serenamente avvertito che sulla giustizia metterà tranquillamente la fiducia, è difficile fare la voce grossa. Tanto è vero che l'importante, per Conte, è portare a casa quella promessa su mafia e terrorismo, che in fondo alla Cartabia costa poco perché già nell'ultima versione della legge, con le corsie preferenziali stabilite ai processi con imputati detenuti, sarebbe assai difficile perdersi per strada quei dibattimenti. Non solo, ma la modifica promessa nel weekend consentirebbe ai 5 stelle di raccontare al proprio elettorato che quella che andrà in porto sarà sostanzialmente la riforma proposta dal grillino Bonafede. Ma la partita sulla riforma giocata da Conte è in realtà molto interna al Movimento. Ancora non è stato deciso se gl'iscritti, utilizzando la nuova piattaforma post-Rousseau, saranno chiamati a votare sul testo finale, prima del voto di fiducia della prossima settimana. «Voto degli iscritti? Valuteremo, valuteremo..:», ha detto Conte. Che in realtà, pare aver già deciso perché se porterà a casa questa mediazione di bandiera, sarebbe poi imbarazzante se dal voto della base uscisse una sonora bocciatura. Bocciatura che per altro colpirebbe anche Grillo, ispiratore della linea morbida con il governo Draghi. E a proposito di equilibri interni, Conte non ha resistito ad appuntarsi già una prima medaglia, nonostante la partita della Giustizia sia ancora aperta. «Ecco perché serviva una leadership forte», ha detto l'ex sedicente avvocato del popolo, «non per un interesse mio personale, ma per il bene del movimento». E per questo, sostiene di aver rinunciato a correre per un seggio al Senato alle suppletive di Siena, contro Enrico Letta: «L'attività per la rifondazione del M5s è a tempo pieno». Più comodo esordire come capolista blindato nel 2023. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/conte-gioca-a-fare-il-duro-e-si-racconta-la-favoletta-della-riforma-bonafede-bis-2654015000.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="giallorossi-compatti-contro-i-garantisti-del-centrodestra" data-post-id="2654015000" data-published-at="1627413653" data-use-pagination="False"> Giallorossi compatti contro i garantisti del centrodestra Dopo una giornata densa di avvenimenti, il baricentro della riforma Cartabia sembra spostarsi verso l'asse giallorosso (più giallo che rosso, in questo caso). Nel giro di poche ore, infatti, si sono susseguiti vertici di governo ai massimi livelli, incontri tra leader di partito e gruppi parlamentari e sedute di commissione tese con tanto di voti decisivi. Il risultato finale è che, salvo rovesciamenti di fronte da mettere sempre nel conto in questi casi, soprattutto quando ci si trova di fronte a una maggioranza estremamente eterogenea come questa, la strada del maxiemendamento che il governo paracaduterà su Montecitorio al momento del voto di fiducia annunciato dal premier Mario Draghi sta prendendo una direzione più vicina alle istanze di Giuseppe Conte che a quelle del centrodestra. Mentre l'ex-premier riuniva le sue truppe (a loro volta divise tra ortodossi giustizialisti e governisti aperti al compromesso) mostrandosi determinato a tenere il punto sull'esclusione dai reati di mafia e terrorismo dall'improcedibilità e Draghi si confrontava per la seconda volta in 24 ore a Palazzo Chigi con il Guardasigilli, in commissione Giustizia alla Camera un voto negava a Forza Italia e agli altri partiti del centrodestra la richiesta di allargare il perimetro della riforma Cartabia a reati propri della Pa come l'abuso d'ufficio e alla definizione di pubblico ufficiale, come contenuto in tre emendamenti a firma del capogruppo azzurro Pierantonio Zanettin, giudicati inammissibili. Al momento del voto, la maggioranza del fu governo Conte si è ricompattata, con Italia viva che ha votato assieme a Pd, M5s e Leu, ai quali si sono aggiunti i voti di Azione e di Coraggio Italia. Da segnalare l'astensione di Maurizio Lupi di Nci, che quindi non ha votato assieme alle altre forze del centrodestra. La richiesta di Forza Italia, sostenuta dagli alleati, era arrivata dopo che dal Guardasigilli era filtrata la disponibilità a rivedere l'impianto della riforma approvata un paio di settimane fa in Cdm anche col voto favorevole dei ministri grillini, poi sconfessati da Conte e dall'ala più giustizialista di M5s. Dura le reazione del coordinatore azzurro Antonio Tajani, che ha preso atto della riapertura delle trattative sulla riforma nella sola direzione del centrosinistra: «Quando, come oggi», ha detto, «si decide sulla giustizia, il centrodestra è unito. Ma si ricostituisce anche un asse giustizialista guidato da Pd e M5s. Bloccare gli emendamenti sulla Pubblica amministrazione danneggerà sindaci e amministratori pubblici, ingolfando i tribunali. Un passo indietro sulla strada della libertà». Il Pd, che più volte in passato si era mostrato favorevole, in linea di principio, alla revisione del reato di abuso d'ufficio, dopo aver tenuto per giorni una strategia attendista ha optato definitivamente per il sostegno alla linea grillina, parlando attraverso il capogruppo in commissione Alfredo Bazoli di respingimento del «tentativo di Fi e Lega di affossare la riforma». Dal canto suo, il leader leghista Matteo Salvini, pur non avendo fatto mancare il sostegno del Carroccio a Forza Italia in commissione Giustizia, continua a puntare le proprie fiches sui referendum (oggi sottoscritti anche da Emma Bonino e dai vertici di +Europa), affermando che la riforma «la faranno gli italiani» e criticando i «capricci» di Conte e Grillo. Che però potrebbero far breccia su un ministro molto attento, secondo i bene informati, a non pregiudicare con qualche scivolone pro-mafiosi, le proprie chances di ascesa al Colle più alto.