2020-09-13
Conte davanti a un giudice per il lockdown
Dopo un esposto, la Procura di Trento dovrà decidere se mandare a processo Giuseppi, che sarà sentito dal gip in novembre. Ci sono forti dubbi sulla liceità delle misure prese in quarantena. Con le Regionali alle porte, il premier è sempre più in difficoltà. Si mette male per Giuseppe Conte, che non riesce proprio a uscire dal tunnel in cui si è infilato. L'ultimo guaio l'ha scovato il quotidiano Il Tempo, che, in un articolo di Francesco Storace, ha lanciato una notizia a suo modo clamorosa, nonostante la sordina mediatica che qualcuno ha cercato di imporre: il presidente del Consiglio è indagato a Trento per la sua gestione della pandemia, e il 17 novembre prossimo si presenterà davanti al gip Claudia Miori, la quale dovrà decidere se mandarlo o meno a processo. Le accuse sono pesanti, e hanno un'impostazione che mette in discussione sia nella forma (i Dpcm) sia nella sostanza (il prolungato lockdown) le scelte compiute dal governo nella stagione del coronavirus: i reati contestati sono infatti attentato alla Costituzione (art. 283 del codice penale), abuso d'ufficio (art. 323) e violenza privata (610).Perché proprio a Trento? Perché il denunciante, l'avvocato Edoardo Polacco, ha presentato esposti ovunque, ma quella trentina è stata la prima procura a muoversi. A onor del vero, però, anche la prima a provare a chiedere l'archiviazione, attraverso il pm Alessandra Liverani. Decisione che tuttavia non è stata per il momento accolta dal giudice delle indagini preliminari, che ha fissato a novembre la camera di consiglio per decidere se si andrà o no a giudizio. Attenzione, non si tratta di contestazioni politiche, dalle quali il governo potrebbe agevolmente difendersi, evocando la discrezionalità propria dell'azione di qualunque esecutivo, ma di penetranti contestazioni giuridiche. Del resto, sono state molte le voci di personalità del mondo del diritto che hanno trovato a dir poco anomalo il fatto che con atti amministrativi (tale è un Dpcm) si sia finito per incidere su libertà costituzionali fondamentali: la libertà personale, la libertà di movimento, la libertà di riunione, l'esercizio della libertà di culto. L'esito è ovviamente imprevedibile: esiste anche la possibilità che, a un certo punto della vicenda, sia investito il tribunale dei ministri. Resta il fatto che per Conte sarà tutt'altro che una passeggiata. E a contribuire al nervosismo del premier concorrono diversi elementi. Intanto, altre grane giudiziarie, quelle che potrebbero venire da Bergamo, dove pure è aperta un'indagine (il premier è stato sentito a giugno dai pm) su un aspetto più specifico ma gravissimo, e cioè la mancata tempestiva istituzione della zona rossa in Val Seriana. Ad aggravare la posizione del premier hanno provveduto recentemente anche i verbali del Comitato tecnico scientifico, pubblicati a inizio settembre, che hanno confermato come il governo - politicamente parlando - abbia mentito a lungo al Paese. Per mesi, Conte aveva raccontato di aver agito applicando pedissequamente le indicazioni del Comitato tecnico scientifico. Al contrario, su due punti qualificanti se ne è distaccato: il Cts chiedeva la chiusura dei comuni della Bergamasca, e invece il governo ha traccheggiato; poi il Cts non consigliava un lockdown nazionale, e invece il governo si è orientato in quel senso. Diranno i difensori di Giuseppe Conte che il governo ha fatto valere la sua autonomia. Ma avrebbe dovuto dirlo, non coprirsi dietro «la scienza» anche quando in realtà decideva altro.E in ogni caso, in termini di stretto diritto, quella decisione di Conte e del governo può aver avuto un impatto sull'aggravarsi del bilancio delle vittime. Ricostruiamo la consecutio degli eventi: il 3 marzo (verbale n° 16), il Cts cita esplicitamente «i dati relativi ai comuni di Alzano Lombardo e Nembro», riferisce di aver «sentito per via telefonica l'assessore Gallera e il dg Caiazzo della Regione Lombardia», e propone formalmente «di adottare le opportune misure restrittive già adottate nei comuni della zona rossa anche in questi due comuni». Cosa che, come sappiamo, nonostante la mobilitazione di soldati, il governo non fece. È evidente che ora tutto questo andrà incrociato con le dichiarazioni rese dal premier davanti ai pm. Paradossalmente, il governo disattese anche i consigli successivi del Cts, che il 4 marzo (verbale n° 18) parlava di «situazione differenziata» nel Paese, e il 7 marzo (verbale n° 21) chiedeva esplicitamente «due livelli», uno più rigido per la Lombardia e alcune province di Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Marche, e uno meno rigoroso per il resto del territorio nazionale. Il governo, come sappiamo, decise invece un lockdown nazionale indifferenziato. Ma Conte non ha solo preoccupazioni giudiziarie. Ciò che aggrava il suo nervosismo è il fatto che molti nodi politici stiano venendo al pettine. Domani iniziano le scuole, e quasi certamente si materializzerà un caos che farà imbestialire milioni di famiglie. Domenica e lunedì prossimo si vota alle regionali, e la sua coalizione vi arriva divisa e in ritardo nei sondaggi. Così, diversamente da altri momenti, il presidente del Consiglio è oggi un fascio di nervi, e inanella gaffes, scivolate, infortuni. Dopo una lunga vacanza in cui si pensava si fosse riposato e rigenerato, ha combinato un doppio autogol alla festa del Fatto, dapprima con una sgradevole notazione sulla presunta «stanchezza» di Mario Draghi, e poi con una grossolana e avvelenata proposta di ricandidatura al Quirinale per Sergio Mattarella. E che l'avvocato sia nel pallone l'ha mostrato pure la retromarcia che ha dovuto innestare rispetto al tentativo di infilarsi in tv a Domenica in per una specie di spottone senza contraddittorio. «Pqm», cioè - come direbbe un giudice - «per questi motivi», Giuseppe Conte non ride più.