2022-07-15
Conte dà il via all’operazione crisi
Il premier incassa la fiducia al Senato, ma i grillini compatti non votano. Esce dall’Aula anche il ministro Stefano Patuanelli. Beppe Grillo benedice lo strappo: «Il Movimento adesso fa il M5s».Una delle immagini simbolo della giornata di ieri, al Senato, l’ha regalata ai presenti il ministro per i Rapporti col Parlamento, Federico D’Incà. Mentre si avvia a entrare nel vivo la seduta in cui i suoi compagni di partito hanno in animo di negare la fiducia a Draghi, lui si apparta nel lungo e luminoso passaggio tra Palazzo Madama e Palazzo Carpegna, dando vita a un fitto giro di telefonate e messaggi. È l’estremo tentativo di scongiurare una delle crisi - e ce ne sono state tante - più schizofreniche degli ultimi anni, dove un ministro del M5s si industria last minute con tutti i capigruppo per disinnescare la trappola che il leader della sua stessa forza politica ha teso al presidente del Consiglio per aprire la crisi, provando a non porre la fiducia sul dl Aiuti. E infatti l’iniziativa di D’Incà naufraga quasi subito, di fronte al no irremovibile (e a quanto pare anche irritato) di Mario Draghi, sfinito dalle tarantelle della maggioranza e quanto mai desideroso del chiarimento definitivo. Il copione immaginato da Giuseppe Conte, dunque, ha preso corpo col seguente risultato: 172 sì alla fiducia, 39 no. Sorvolando sul fatto che tra missioni e malattie il pallottoliere ha di fatto restituito all’esecutivo una maggioranza asfittica (32 voti in meno di quota 204, vale a dire la somma di tutti i gruppi di maggioranza escluso M5s) il dato più importante è che nessun senatore grillino ne ha preso parte. Anche perché, in mattinata, c’è stato tempo per l’ennesima defezione di un eletto pentastellato a beneficio della pattuglia di Luigi Di Maio, nella persona della senatrice Cinzia Leone. Il passaggio agli ultragovernisti del ministro degli Esteri ha così consentito a Conte di rivendicare la piena riuscita dell’operazione-crisi, con nessuno del 61 eletti di M5s a Palazzo Madama che si è comportato in modo difforme dalle indicazioni. Bisognerà vedere ora se si tratta di una compattezza di facciata, e se nei prossimi giorni, quando il gioco si farà più serio e potrebbe balenare l’ipotesi elezioni, qualcuno non esca allo scoperto per fare dietrofront o magari per ingrossare le fila dimaiane. I fari sono puntati principalmente sulla delegazione governativa grillina: si è detto di D’Incà, ma un momento paradossale ha riguardato anche il ministro per le Politiche agricole, Stefano Patuanelli, il quale da senatore non ha concesso la fiducia al governo di cui fa parte, per poi garantire, il 21 luglio, la propria presenza al tavolo tra governo e associazioni su decreto-legge di fine mese. E a proposito di schizofrenia, l’«Elevato» Beppe Grillo, dalle cui telefonate con Draghi alle spalle di Conte è scaturita buona parte della situazione presente, ha fatto filtrare delle «veline» in cui assicura di essere al fianco di Conte nel non votare la fiducia al governo, aggiungendo - sempre secondo le indiscrezioni - che «il Movimento 5 stelle sta facendo il Movimento 5 Stelle». Intercettato dai cronisti e galvanizzato dal voto, il presidente pentastellato Conte rincarava la dose: «Se qualcuno ha operato una forzatura si assuma la responsabilità di questa pagina che è stata scritta ieri, la cui introduzione era nel Cdm quando i nostri ministri sono stati costretti a non partecipare al voto. Se noi prendiamo degli impegni con governo, Parlamento e cittadini e siamo coerenti, chi si può permettere di contestare questa linearità e questa coerenza? O ci sono risposte vere, strutturali e importanti opporre nessuno può avere i nostri voti».Posizione confermata dal duro l’intervento in Aula della capogruppo e contiana di ferro Mariolina Castellone: «Dire che si indebolisce l’azione del governo quando si sta cercando di indicare con chiarezza la linea politica è falso, chi lo fa vuole strumentalizzare la situazione e dare a noi la colpa del momento di sofferenza che il Paese sta vivendo. La responsabilità», ha aggiunto, «non è tacere e far finta che problemi non esistono, irresponsabile è chi non dà risposte al Paese». Prima che la Castellone allargasse la faglia tra il Movimento e Draghi, nell’emiciclo avevano preso la parola gli esponenti di tutte le forze politiche per ribadire la propria linea, nel contesto di una partita politica che si stava giocando evidentemente altrove. Non a caso, il leader leghista Matteo Salvini sceglieva di non intervenire, e inviava il capogruppo Massimiliano Romeo e suo vice Lorenzo Fontana a fare un punto stampa coi cronisti davanti alla chiesa di San Luigi dei Francesi. Solo Matteo Renzi, in ossequio alla sua vena presenzialista, decideva non solo di intervenire personalmente in aula con tanto di annunci social, ma di tenere banco in Transatlantico e in buvette, ribadendo più volte un concetto: «Io fossi in Draghi», ha detto il leader di Iv, «farei una cesura seria e farei un Draghi bis, alle sue condizioni, come vuole lui: con gli stessi ministri, con un rimpasto, politico, tecnico, a sorteggio, decida lui. E farei un forte discorso al Paese: “Porto a termine il Pnrr, faccio la legge di bilancio e questa è la nostra collocazione europea, chi ci sta?”». Non sembra che Draghi l’abbia ascoltato.