2024-02-09
Conte sente aria di fiasco e scappa dal giurì
Giuseppe Conte (Imagoeconomica)
Giuseppi prima ha convinto due deputati della commissione (Pd e Verdi) ad abbandonare i lavori poi si è messo a frignare sull’esito già scritto. Ma ha solo dimostrato di temere che venga alla luce la verità sull’approvazione del Mes col suo governo.Doveva essere il suo trionfo, l’occasione per affermare la sua leadership, il modo per dimostrare che lui e solo lui è il vero avversario in grado di battere Giorgia Meloni. Invece, il giurì d’onore preteso da Giuseppe Conte per andare all’attacco del presidente del Consiglio si è rivelato un boomerang, l’esatto contrario di ciò che il capo dei 5 stelle auspicava. Dunque, all’avvocato di Volturara Appula, esperto in arbitrati fin dai tempi delle sue frequentazioni con lo studio Alpa, non è rimasto che rovesciare il tavolo, perché non venisse dichiarato il vincitore della partita e lui non ne uscisse con le ossa rotte. Un disastro insomma, perché non si era mai visto un giurì d’onore che non riesce a pronunciare un verdetto in quanto colui che lo ha sollecitato, all’ultimo, quando ormai il verbale è quasi pronto, fa dimettere due dei componenti della commissione che fino al giorno prima avevano condiviso tutto e votato all’unanimità. Sì, per evitare di incassare il colpo, vale a dire per scongiurare la malaparata, a Conte non è rimasto altro da fare che spingere alle dimissioni l’esponente dell’Alleanza verdi sinistra, convincendo, non senza difficoltà, anche quello del Pd a gettare la spugna.La storia comincia settimane fa, quando Giorgia Meloni accusa l’ex premier di aver fatto passare il Meccanismo europeo di stabilità con il favore delle tenebre, aggirando di fatto il parere del Parlamento che, come è noto, ha sempre manifestato opinioni negative sul Mes. A Conte l’accusa pronunciata dalla premier nell’aula di Montecitorio è andata di traverso perciò, dopo aver strillato come un’aquila per l’offesa ricevuta, ha reclamato l’intervento del giurì d’onore della Camera. Davanti ai componenti della commissione, l’azzeccagarbugli di Volturara Appula, colui che riesce a negare che il suo paese natale di 370 abitanti sia stato ricoperto d’oro nonostante i tanti milioni piovuti all’improvviso dal cielo, si è presentato con una montagna di carte, mentre quando è toccato a Giorgia Meloni sono bastate poche paginette. Il giurì, che è presieduto dal forzista Giorgio Mulè (uno che non è quasi mai tenero verso Palazzo Chigi), e di cui non fa parte alcun esponente di Fratelli d’Italia (oltre a Pd e Avs ci sono un rappresentante della Lega e un quinto di Noi moderati), dopo aver ascoltato i contendenti ha fatto il proprio lavoro, tirando le somme. Ma a quanto pare, quando Giuseppe Conte ha sentito puzza di bruciato, cioè ha capito che il pronunciamento non sarebbe stato quello da lui desiderato, ha cominciato ad agitarsi. Le cronache riferiscono di numerose sue telefonate, in particolare a parlamentari del Pd, affinché il rappresentante del partito di Elly Schlein rovesciasse il tavolo. Risultato, alla fine (dopo 12 ore di pressioni) gli esponenti dell’opposizione si sono dimessi, per impedire che il verdetto venisse emesso. Cioè che si stabilisse che, nonostante la pedante ricostruzione del leader pentastellato sui passaggi procedurali, la realtà dei fatti era evidente. Infatti, mentre il suo governo era agli sgoccioli, Conte era riuscito a far passare un sì al Mes sebbene il Parlamento avesse vincolato il via libera a una serie di condizioni che non si erano verificate. Con il suo linguaggio involuto (ricordate «la caducazione della concessione», una promessa solenne formulata a cadaveri del Ponte Morandi ancora caldi, ma mai mantenuta?) forse l’ex premier sperava di incantare i commissari e di convincerli che non c’era stato alcun colpo di mano con il favore delle tenebre. Invece, ironia della sorte, è stato lo stesso Conte a essere costretto all’ultimo minuto a un blitz, per evitare un verdetto che lo avrebbe messo in imbarazzo. Rovesciare il tavolo per impedire che la partita fosse conclusa e gli esiti sanciti è ciò che ha ottenuto. Ma ora? La faccenda è finita su un binario morto, cioè senza che siano stati rimpiazzati i dimissionari o nominato un nuovo giurì d’onore. Un po’ come quei bambini che intravedendo la possibilità di una sconfitta si portano via il pallone, Conte ha preferito mandare tutto all’aria, pronunciando il suo «Non ci sto». Non proprio il massimo per un tizio che aspira a essere il leader dell’opposizione e l’interlocutore principe del governo. Così ha confermato che ci si può anche improvvisare presidente del Consiglio, ma statista o aspirante tale no.