2023-10-26
«Al Consiglio Ue non si tratterà sul Mes»
Giorgia Meloni (Imagoeconomica)
Alla vigilia del vertice, Giorgia Meloni respinge le ennesime pressioni di Paschal Donohoe sulla ratifica italiana. «All’Europa serve un Patto prima di crescita e poi di stabilità. Sbagliato imporre la transizione verde finché siamo dipendenti da materie prime estere».Incontro ufficiale fra Ursula von der Leyen e Donald Tusk, anche se il polacco non ha ricevuto il mandato esplorativo.Lo speciale contiene due articoli.Il premier Giorgia Meloni ieri ha parlato, sia al Senato sia alla Camera, in vista del Consiglio europeo a cui parteciperà oggi e domani. Tra i vari temi toccati dal presidente del Consiglio, il Mes, del Patto di stabilità e la transizione energetica. In primis, la Meloni ha risposto al presidente dell’Eurogruppo, Paschal Donohoe, che nella sua lettera al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha scritto a chiare lettere di attendere «con impazienza che l’Italia ratifichi il Mes». La risposta del nostro premier non si è fatta attendere: ha spiegato che il Mes «non è oggetto della discussione del Consiglio europeo». Intanto, l’esame delle proposte di legge di ratifica del nuovo trattato sul Mes riprenderà nell’aula della Camera a partire dal prossimo 20 novembre. Nel suo discorso alle Camere, Giorgia Meloni ha anche toccato il tema del Patto di stabilità e degli investimenti in difesa dell’Ucraina. «Il Consiglio Ue che si apre domani (oggi per chi legge, ndr) viene celebrato in una fase storica, in un contesto internazionale ancora più difficile e drammatico dei precedenti. L’Ue è chiamata a dare risposte urgenti alle difficoltà che la sfidano dall’esterno e dall’interno. Non sarà un Consiglio di routine né semplice», ha detto anche se il Consiglio confermerà il sostegno all’Ucraina. Il Patto di stabilità, su cui l’Unione sta discutendo, ricorda la Meloni, deve essere di «crescita e stabilità» e non «di stabilità e crescita. L’Ue ci chiede di continuare a investire sulla Difesa e il sostegno all’Ucraina e noi non vogliamo venir meno a quest’impegno. Computare questi investimenti nei parametri deficit-Pil» rischia però «di minare gli obiettivi che ci siamo dati»: per questo sosteniamo la necessità «di scorporare del tutto o parzialmente queste voci» ha ricordato. «Lo dico con chiarezza: sarebbe un errore rivedere il bilancio pluriennale solamente per aumentare gli aiuti all’Ucraina perché se non fossimo in grado di rispondere alle conseguenze che il conflitto in Ucraina genera per i nostri cittadini, finiremmo inevitabilmente anche per indebolire il sostegno a quella causa», ha spiegato. «Nella nostra idea la logica di pacchetto prevede, certo, il sostegno finanziario all’Ucraina, ma deve prevedere anche lo sviluppo dei partenariati con i Paesi del vicinato Sud dell’Africa e deve prevedere la necessità di mantenere alta l’ambizione della proposta di regolamento Step, la piattaforma che rappresenta il primo embrione di un fondo sovrano europeo». Come ha ricordato la Meloni, «si tratta di uno strumento fondamentale per garantire parità di condizioni nel mercato unico a fronte della decisione di allentare le norme sugli aiuti di Stato; una scelta che mette inevitabilmente in una condizione di vantaggio gli Stati membri che hanno una più ampia capacità fiscale».Il numero uno dell’esecutivo, insomma, non ha dubbi. «Tutto ciò che parla di autonomia strategica e sostanzialmente di sovranità dell’Unione europea viene da questo governo sostenuto. Mi riferisco al Chips act, la legge europea sui semiconduttori, al Critical raw materials act, la legge sulle materie prime critiche e a Step, l’iniziativa per le tecnologie critiche. In buona sostanza, mi riferisco a tutto ciò che serve a sostenere la doppia transizione, limitando e auspicabilmente diminuendo la nostra dipendenza dai Paesi terzi, in particolar modo dalla Cina e dai Paesi asiatici», ha detto. L’Italia sostiene questi provvedimenti e ritiene che gli stessi debbano essere adeguatamente finanziati, «ma riteniamo anche che imporre a tappe forzate alcuni provvedimenti del Green deal, senza aver precedentemente agito per ridurre le nostre dipendenze strategiche, sia un errore che rischia di impattare pesantemente sui cittadini, che potrebbero trovarsi a pagare un prezzo insostenibile alla doppia transizione. È per questo che il governo continuerà a sostenere in sede europea la necessità di un approccio pragmatico e non ideologico alla transizione, che noi vogliamo impostata su valutazioni di impatto ampie e affidabili, su criteri di gradualità e di sostenibilità economica e sociale, sul principio di neutralità tecnologica e su strumenti finanziari di incentivazione e di accompagnamento per le imprese e per i cittadini. La doppia transizione, se bene impostata, può essere uno straordinario strumento per rafforzare la competitività europea; oppure, al contrario, se perseguita con un approccio miope, può portare a una irreparabile desertificazione industriale del nostro continente: e noi questo non intendiamo permetterlo».In tutto ciò, ieri il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sempre in vista del Consiglio europeo di Bruxelles, ha ricevuto al Quirinale, nel corso della tradizionale colazione di lavoro, il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e i ministri dell’Interno, Matteo Piantedosi, della Difesa, Guido Crosetto, dell’Economia, Giancarlo Giorgetti e delle Imprese, Adolfo Urso, degli Affari Europei, Raffaele Fitto insieme con i sottosegretari alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/consiglio-ue-non-trattera-mes-2666064870.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-von-der-leyen-incorona-tusk-ma-lui-non-e-nemmeno-premier" data-post-id="2666064870" data-published-at="1698296331" data-use-pagination="False"> La Von der Leyen «incorona» Tusk. Ma lui non è nemmeno premier Il governo polacco di Mateusz Morawiecki non è mai andato giù alla Commissione europea. E dalle parti di Bruxelles non hanno fatto nulla per nasconderlo. A pesare, tra le altre cose, è stato il reiterato rifiuto di Varsavia di approvare il controverso patto europeo sui migranti. Il dissenso, d’altronde, non è particolarmente gradito in quell’oasi di democrazia che è la Ue. Figurarsi, poi, se il dissenso riguarda addirittura la cosiddetta accoglienza. Insomma, Ursula von der Leyen e i suoi sodali non vedevano l’ora che il sovranista Morawiecki e il suo partito euroscettico, Diritto e giustizia (Pis), si levassero dai piedi. Tant’è che, dieci giorni dopo le elezioni polacche, ma a governo non ancora formato, Ursula non stava più nella pelle e ha subito convocato a Palazzo Berlaymont il presunto vincitore della disfida elettorale: l’euroentusiasta Donald Tusk. Che a Bruxelles, peraltro, è di casa, avendo ricoperto la carica di presidente del Consiglio europeo dal 2014 al 2019. E che, del resto, fa parte della stessa scuderia di Ursula: quel Ppe di cui Tusk è stato presidente fino all’anno scorso. Peccato solo che l’appuntamento di ieri non fosse un pranzo in famiglia o una rimpatriata tra amici, bensì un incontro ufficiale tra il presidente della Commissione e un primo ministro. Che primo ministro, è bene ricordarlo, non lo è ancora. E, peraltro, potrebbe anche non diventarlo. Non è un caso che lo stesso Tusk, per togliersi dall’imbarazzo, abbia dovuto specificare: «Sono qui oggi come leader dell’opposizione, non come premier della Polonia». Troppa grazia. Il problema, però, è che i due hanno poi fatto proclami come se Donald avesse già l’incarico in tasca. A proposito dei fondi del Pnrr, ad esempio, il leader di Coalizione civica ha annunciato che «saranno prese tutte le misure necessarie per ottenere le risorse europee che la Polonia sta aspettando». E ancora: «Dieci anni fa, nel mio primo discorso come presidente del Consiglio europeo, dissi che ero arrivato a Bruxelles con un forte senso di responsabilità. Credo di poterlo ripetere: oggi la mia ambizione è ricostruire la posizione del mio Paese in Europa e rafforzare l’Ue nel suo insieme». Ma, appunto, chi è lui per fare queste affermazioni altisonanti? Dopotutto, finora non ha nemmeno ricevuto il mandato esplorativo dal presidente della Repubblica. È come se Giorgia Meloni, all’indomani delle elezioni, fosse andata alla Casa Bianca a discutere con Joe Biden da presidente del Consiglio, fregandosene altamente di Sergio Mattarella e del protocollo istituzionale. La pioggia di fango sarebbe stata assicurata. Ma alla Commissione europea, si sa, è tutta un’altra storia. «Io e Tusk», si è tradita Ursula, «siamo qui per discutere di questioni importanti, in cui la voce della Polonia è cruciale». Infatti, ha specificato la Von der Leyen, il recente voto «ha dimostrato ancora una volta il forte attaccamento dei polacchi alla democrazia». Perché gli altri, si sa, mica sono democratici: «L’atteggiamento antidemocratico e antieuropeo», ha ribadito Tusk riferendosi ai conservatori di Pis, «è solo una turbolenza stagionale». Tutto bellissimo e commovente. C’è solo un piccolo intoppo. Il presidente della Repubblica di Polonia, Andrzej Duda, è un esponente di Pis. E, inoltre, conferirà in prima battuta proprio a Pis il mandato esplorativo per provare a comporre una maggioranza. Il motivo? Diritto e giustizia è la prima forza del Parlamento. Tusk, con buona pace di Ursula, viene dopo. Anche se alla Commissione Ue gli hanno già steso il tappetino rosso.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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