2018-09-18
«Conquisto la Cina con gli abiti della nonna»
Lo storico marchio Curiel ha aperto in Oriente dodici negozi con Zhao Yizheng di Redstone. Gil Castellini Curiel: «Attingo dall'archivio e resto fedele all'identità di famiglia. Oggi nelle catene di abbigliamento è tutto globalizzato. I giovani? Poca curiosità e tanta presunzione».Sarà una sfilata d'haute couture a fare da apripista alla settimana del prêt à porter. Ovvero pezzi unici straordinari contro abiti confezionati in serie. Lella Curiel, la regina degli abiti della prima della Scala, ha un solo modo di concepire il bel vestire e il ben fatto: tagliare e cucire a mano. Lei è stata a scuola dalla madre Gigliola, sarta eccelsa. Ma Lella, a sua volta, ha insegnato il mestiere, suo malgrado, alla figlia Gil, che ha imparato tutto diventando, di fatto, la terza generazione delle Curiel. «La mamma era contrarissima a che facessi il suo lavoro, non avevo un alleato», racconta Gil Castellini Curiel. «Ma fin dalla nascita ha visto forbici, aghi, fili , tessuti, donne che cucivano. Non era obbligatorio che avessi nel Dna questa passione. Eppure è andata così, anche in me è nato il fuoco della moda e fuori aspettativa. Come tutte le bambine che nascono in un mondo cosi meraviglioso , un po' principesco, facevo i vestiti per le bambole, era un po' un sogno».Gil Curiel, e moda fu…«In realtà ho fatto economia alla Bocconi pensando di occuparmi delle licenze che allora funzionavano, perché quel mondo c'era ancora, e guardando all'aspetto economico e finanziario della moda. Quando facevo l'università ho iniziato a lavorare mezza giornata da mia mamma, ma facendo gavetta vera».Quindi si è disamorata?«No, anzi. Sono stata travolta dalla voglia di fare abiti. La prima meta fu Londra, dove seguii corsi serali, molto utili, alla Saint Martins, per passare definitivamente dall'altra parte. Non ho una bellissima mano per il disegno, che ritengo non essere poi cosi importante, conta saper provare e farti capire da chi deve capire, ma avevo il complesso di non saper disegnare dato che certi ragazzi facevano disegni meravigliosi. E comunque sono tanti gli stilisti, anche noti, che non sanno tenere in mano la matita».Perciò, il più era fatto? «Non in modo cosí semplice. Dopo Londra sono stata un anno da Max Mara, e devo dire che il fondatore Achille Maramotti fu fantastico. Un'esperienza straordinaria che, nonostante siano passati più di vent'anni, mi torna in mente quasi quotidianamente, un lavoro che ho imparato con gli occhi. E credo sia quello che manca ai giovani d'oggi, che escono dalle scuole di moda con presunzione e spocchia. La curiosità è poca, sembrano nati imparati almeno nell'atteggiamento».Negli anni passati era più facile fare moda? Oggi c'è già tutto d'inventato?«Direi di sì, a meno che tu non voglia mantenere la tua linea a scapito del soldo. Oggi tutto è globalizzato. Se ti guardi attorno, nelle catene dei negozi, è tutto uguale. Un esempio attuale: Balenciaga ha fatto per prime scarpe con il carrarmato bianco, ora ce ne sono altri 30, anche di nomi grandi, che poi le hanno rifatte. È tutto molto omologato».Nel 2016 Zhao Yizheng, presidente di Giada Spa e fondatore della cinese Red Stone, ha creato una new company con Lella Curiel. Come vanno le cose?«Ho direttive molto categoriche: riprendere tutto quello che è stato lo stile della nonna. Faccio solo vestiti neri in Cina, intere collezioni, 80 vestiti neri a stagione. È bellissimo perché vado dentro l'archivio: è voler costruire la propria identità a scapito dei numeri, almeno all'inizio. Abbiamo un partner cinese che in un anno e mezzo ha aperto 12 negozi monomarca in Cina, che per la fine dell'anno diventeranno 18. In tutti c'è il mio “curiellino", l'abito inventato dalla nonna, in due negozi c'è anche l'alta moda esposta a Pechino e Shanghai. Ed espongono anche l'archivio quasi a voler educare. Mister Zhao ha capito il valore dell'heritage. Vorrebbe far diventare il nome grande in Cina, per poi rientrare qui. Lui è una persona eletta. Nato come reporter fotografico di quotidiani, venne in Italia per lavoro e se ne innamorò al punto da studiare tutto del Paese. Girando tra Italia e Francia iniziò a importare Saint Laurent, Ferragamo, Valentino in Cina tra gli anni Ottanta e Novanta. Quindici anni fa ha comprato il marchio Giada da Rosanna Daolio, la quale pure aveva lavorato un sacco d'anni da Max Mara e successivamente aveva creato una sua linea in Emilia. Si sono messi in società e ora hanno 60 negozi in Cina, primi per la vendita di abbigliamento. Poi hanno aperto in via Montenapoleone, primo negozio cinese in Italia».Che cosa ha colpito l'imprenditore cinese dello stile Curiel?«A lui è piaciuta molto la storia: siamo quattro generazioni di donne e forse ci sarà la quinta con mia figlia. Il rischio poteva essere quello che ti mettessero in un cassetto o che ti togliessero l'identità. Ma la mamma è stata super coraggiosa e brava e tutto funziona bene».