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2021-10-29
Confusione e fisco: gli italiani non si fidano ancora dell'elettrico
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Incerta situazione quella del settore automotive italiano del 2021, con la domanda che supera l'offerta, troppa incertezza sul futuro delle motorizzazioni che non sono almeno ibride, e soprattutto tanta confusione nei clienti, che spesso si perdono nel vocabolario tecnico, facendo fatica, per esempio, a distinguere la differenza tra una mild-hybrid (l'elettrico aiuta l'endotermico), una full-hybrid (i due motori lavorano insieme e l'endotermico carica le batterie) e una hybrid-plug-in (l'elettrico si ricarica anche mediante una presa esterna). Termini che, in effetti, sembrano fatti apposta per confondere. E poi c'è lo spettro fiscale all'orizzonte: i carburanti concorrono per 40 miliardi di accise al bilancio statale, tasse di possesso e le assicurazioni sono calcolate su parametri che non esisteranno più, quindi la fiscalità del comparto andrà ripensata.
Sono le prime considerazioni emerse al ForumAutomotive 2021 di Milano, dove è stato presentato uno studio di Findomestic secondo il quale la fiducia e la propensione all'acquisto di automezzi degli italiani nel momento post-covid è in aumento, ma a frenare sono proprio le incertezze. C'è poi una questione di fondo: la transizione all'elettrico è stata imposta, nessun cliente l'ha chiesta, ma a pagare saremo proprio noi in quanto tali. Eppure stando allo studio di Findomestic il 71% degli intervistati vorrebbe cambiare auto con una che inquina meno, spinto dalle possibili limitazioni alla circolazione, il 55% pensa a un mezzo più sicuro e soltanto il 30% sceglie l'auto in base al tipo di alimentazione. Su questo ultimo parametro la scelta degli italiani sarebbe per il 58% per un'automobile ibrida, 13% per una elettrica o diesel, 13% la vorrebbe a benzina , l'11% Gpl e 5% a metano. Come ha sottolineato Antonino Geronimo La Russa, presidente di Aci Milano tra i relatori del convegno, «dal punto di vista della comunicazione anche le istituzioni hanno spesso fallito, illudendo oppure fuorviando, arrivando finanche a criminalizzare un tipo di motorizzazione rispetto a un'altra. E non c'è ragione per sentirsi inadeguati oppure poco ecologici se si guida una vettura Euro5 o 6».
E se il problema, come dicono a Bruxelles e a Roma, è la vetustà del parco macchine circolante, allora non sarebbe una cattiva idea dare incentivi anche per l'usato, in modo che gli automobilisti possano trovare più accessibili automezzi relativamente recenti rottamando quelli ante "Euro4".
Proprio la mancanza di chiarezza sarebbe la causa del rinvio dell'acquisto secondo Aldo Fassina, presidente dell'omonimo gruppo di concessionarie, che insieme con Adolfo De Stefani Cosentino, presidente di Federauto, concordano sul fatto che i consumatori non sono pronti alla conversione all'elettrico, nella quale la confusione regna sovrana. Quanto alle mancanti infrastrutture, si apprende che l'installazione di una serie di colonnine per la ricarica rapida in autostrada costa circa 500.000 euro, tanto da rendere impossibile per chi investe recuperare questa cifra nei 15 anni di previsione della sua utilità e ciclo di vita.
Tra i concessionari di ogni marca che non sia di lusso è forte anche la preoccupazione sul fatto che in questo momento, con la penuria di componenti elettronici e le difficoltà di spedizione, le case automobilistiche vogliano cercare a tutti i costi di accorciare la filiera, spingendo i clienti a ordinare le automobili online. Ebbene, consola il fatto che se gli accessi ai siti web e ai configuratori sono aumentati, poi la formalizzazione dell'acquisto avviene sempre dopo una visita all'autosalone, perché nessuno compra un automezzo senza essersi seduto dentro almeno una volta. Senza concessionari il cliente perde il punto di riferimento, e la chiusura degli autosaloni, specialmente di quelli piccoli, significa spesso la perdita di presidio di un territorio. L'era post-pandemia e la spinta alla conversione stanno, insieme, creando una situazione inedita, con i costruttori che mirano alla marginalità su ogni esemplare venduto più che ai volumi, come Stellantis. «Spesso oggi abbiamo il venduto ma non il consegnato» ricorda Michele Crisci dell'Unione nazionale rappresentanti veicoli esteri, "le produzioni sono molto rallentate e di conseguenza le consegne avvengono con tempi molto lunghi".
Il piano del ministro tecnico
All'incontro milanese è intervenuto per circa settanta minuti anche il Ministro per la transizione ecologica Roberto Cingolani, interangendo con i relatori su vari aspetti. Cingolani come ministro ha due vantaggi. Primo: è un fisico, quindi realista e conoscitore del valore dei numeri. Secondo: essendo stato chiamato da tecnico non è costretto a cambiare parole parlando con interlocutori di uno schieramento politico o di un altro. Inizialmente il ministro è parso ragionare con molto buon senso: «La decarbonizzazione, ha dichiarato, ci sarà ma nei tempi giusti, seguendo puntualmente le tappe previste dall'agenda. E senza tralasciare alcuna tecnologia, a cominciare da quella atomica green e di quarta generazione». Intervistato dal moderatore del convegno, il giornalista Pierluigi Bonora, promotore dell'evento, ha poi virato lasciando poche speranze ai presenti che rappresentano la filiera automotive: «Per accelerare la transizione non si può pensare di avere incentivi a ripetizione, quello che serve per la decarbonizzazione sono aiuti strutturali, non del tipo stop&go come avvenuto di recente». Interrogato a proposito dei tempi imposti dalla Commissione Ue in tema di green, ha risposto dicendo che l'impegno si basa su un programma preciso, che comprende centinaia di azioni nei prossimi cinque anni ma, e ha aggiunto: «L'agenda prevede tappe forzate che prevediamo di rispettare puntualmente e senza strafare, perché non si può correre una maratona al ritmo dei 100 metri».
Stimolato sul dibattito, Cingolani ritiene offensivo chi liquida tutto parlando di «blablabla» (la frase usata recentemente da Greta Thunberg), perché se le cose fossero state semplici sarebbero già state fatte. Il piano, infatti, prevede che per arrivare a impiegare il 70% per cento di energie rinnovabili per alimentare la mobilità bisogna installare migliaia di impianti, decuplicando ogni anno le centrali, facendo in modo che la domanda di energia possa crescere compatibilmente con quello che produciamo. «Altrimenti non potremo liberarci dai combustibili fossili. Occorrono più realismo e trasparenza, e meno azzardi». È questo il tema sul quale Roberto Cingolani ha saputo fornire rassicurazioni ai presenti, con una serie di indicazioni puntuali, in posizione centrale e di massimo equilibrio rispetto alle derive ideologiche che arrivano da alcune parti della politica. «Abbiamo abbastanza tempo per recuperare parte del terreno perso in questi anni» ha puntualizzato «senza trascurare la leadership che l'Italia ha in questo settore. La lungimiranza paga, come sta dimostrando la Cina, e noi stiamo lavorando su più fronti, partendo dall'investimento di 3,2 miliardi di euro riservati alla ricerca sull'idrogeno verde. Nelle scelte che ci aspettano, dobbiamo metterci nei panni della persona comune, perché un conto è vivere in una grande città, un altro è abitare in un posto nel quale non esistono tutti i servizi delle metropoli. L'elettrico è obiettivamente utile sulle piccole tratte; il problema non dipende dalle auto, ma dalle infrastrutture».
Per Cingolani la transizione non può essere concentrata solo sull'elettrico. «Dobbiamo aiutare con gli incentivi chi non può fare autonomamente il salto, consentendogli di passare oggi alle auto omologate Euro 6. Questo avrebbe effetti positivi sulla decarbonizzazione, ma è importante fermare il mercato di auto di terza o quarta mano che finiscono in altri continenti, trasferendo il problema in aree geografiche diverse».
Meno diplomatico sulla fine prematura dei motori diesel, dichiarati «vittime della transizione», concludendo con una frase che però ha ancora troppo sapore di utopia: «La transizione è importante» ha concluso «ma dovremo farlo solo con idee chiare, tenendo presente che si dovrà continuare ancora a lungo a produrre componenti per le auto convenzionali anche e soprattutto allo scopo di evitare che milioni di lavoratori perdano il posto».
E proprio questo ora è il punto da affrontare: calcolare come rendere sostenibile l'impatto sociale, quali azioni per incentivare la trasformazione di posti di lavoro che con l'arrivo dell'elettrico non esisteranno più. In Italia duecentomila posti sui quali impatterà la rivoluzione, sessanta mila quelli che vedranno la loro specialità sparire. Il pensiero, per esempio, va chi produce marmitte.
Premio Dekra al Politecnico di Milano, per l'innovativo simulatore di guida
La quarta edizione del Dekra Road Safety Award, il premio speciale che tende a valorizzare le realtà italiane più attive e brillanti nell'ambito della sicurezza stradale va al Politecnico di Milano nella persona del magnifico rettore Ferruccio Resta. La multinazionale delle ispezioni ai veicoli, presente in Italia da oltre 20 anni con oltre 700 dipendenti, ha ideato il Premio con il duplice obiettivo di sensibilizzare in modo positivo la pubblica opinione e di riconoscere il merito alle figure che nei propri ambiti hanno realizzato azioni di grande efficacia. Il premio 2021, ritirato dal professor Marco Bocciolone, direttore del Dipartimento di meccanica, rappresenta il riconoscimento per l'azione continua sviluppata dal Politecnico di Milano, dove quest'anno è stato inaugurato il simulatore di guida Dim400 realizzato con il contributo di Regione Lombardia, che consente attività di ricerca nell'ambito della sicurezza dei veicoli. Precedentemente il premio era stato vinto da Alberto Bombassei, presidente di Brembo, dal prefetto Roberto Sgalla, già direttore centrale delle specialità della Polizia di Stato, dal sindaco di Genova Marco Bucci nel suo ruolo di Commissario straordinario per la ricostruzione del viadotto sul Polcevera.
Il paradosso dell'elettrico
Il segmento di auto più richieste attualmente è il Suv, Sport Uilitity Vehicle. Possibilmente ibrido, ovviamente. Ovvero, per le leggi della fisica, quanto di più assurdo si possa immaginare. Stante una massa di oltre 1.500 chilogrammi e una batteria al massimo dello stato dell'arte, consuma oltre il 90% dell'energia che produce per spostare sé stessa. E siccome le case produttrici hanno problemi di approvvigionamento, tendono a promuovere e concentrarsi sui modelli che garantiscono loro più marginalità, ovvero quelli di lusso, i cosiddetti premium. In Europa il costo delle emissioni di Co2 basato sulle dimensioni delle auto e sui divieti è perdente, poiché spinge i costruttori a migliorare le auto più grandi. Dunque chi deve sostituire una vecchia utilitaria si trova nella condizione di avere meno scelta e costi troppo alti per passare a una elettrica. Questa quindi si presenta snaturata: la Fiat 500 elettrica, per esempio, è iper equipaggiata di gadget ed è un "brand" di lusso. Forse una versione basica e meno costosa venderebbe di più aiutando la transizione, ma sarebbe poco o nulla profittevole per Stellantis. Le emissioni di Co2 di un Suv ibrido sono oggi «politicamente guidate» per apparire virtuose, in realtà senza infrastrutture di ricarica capillari, ovvero portando in giro batterie semiscariche usando il motore endotermico, inquinano di più dello stesso modello diesel Euro5 o 6.
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Produzioni rallentate, concessionari in pericolo, incertezza e spettro fiscale su tasse e assicurazioni frenano gli acquisti.Roberto Cingolani al Forum Automotive 2021 di Milano: «Il cambio sarà una maratona di cinque anni. Il diesel? Una vittima senza più possibilità».Il Politecnico di Milano si è aggiudicato la quarta edizione del Dekra Road Safety Award, il premio speciale che tende a valorizzare le realtà italiane più attive e brillanti nell'ambito della sicurezza stradale.Il paradosso dell'elettrico: le emissioni di Co2 di un Suv ibrido appaiono virtuose, ma in realtà sono senza infrastrutture di ricarica capillari e portano in giro batterie semiscariche usando il motore endotermico. Risultato: inquinano di più dello stesso modello diesel Euro5 o 6.Lo speciale contiene quattro articoli.Incerta situazione quella del settore automotive italiano del 2021, con la domanda che supera l'offerta, troppa incertezza sul futuro delle motorizzazioni che non sono almeno ibride, e soprattutto tanta confusione nei clienti, che spesso si perdono nel vocabolario tecnico, facendo fatica, per esempio, a distinguere la differenza tra una mild-hybrid (l'elettrico aiuta l'endotermico), una full-hybrid (i due motori lavorano insieme e l'endotermico carica le batterie) e una hybrid-plug-in (l'elettrico si ricarica anche mediante una presa esterna). Termini che, in effetti, sembrano fatti apposta per confondere. E poi c'è lo spettro fiscale all'orizzonte: i carburanti concorrono per 40 miliardi di accise al bilancio statale, tasse di possesso e le assicurazioni sono calcolate su parametri che non esisteranno più, quindi la fiscalità del comparto andrà ripensata.Sono le prime considerazioni emerse al ForumAutomotive 2021 di Milano, dove è stato presentato uno studio di Findomestic secondo il quale la fiducia e la propensione all'acquisto di automezzi degli italiani nel momento post-covid è in aumento, ma a frenare sono proprio le incertezze. C'è poi una questione di fondo: la transizione all'elettrico è stata imposta, nessun cliente l'ha chiesta, ma a pagare saremo proprio noi in quanto tali. Eppure stando allo studio di Findomestic il 71% degli intervistati vorrebbe cambiare auto con una che inquina meno, spinto dalle possibili limitazioni alla circolazione, il 55% pensa a un mezzo più sicuro e soltanto il 30% sceglie l'auto in base al tipo di alimentazione. Su questo ultimo parametro la scelta degli italiani sarebbe per il 58% per un'automobile ibrida, 13% per una elettrica o diesel, 13% la vorrebbe a benzina , l'11% Gpl e 5% a metano. Come ha sottolineato Antonino Geronimo La Russa, presidente di Aci Milano tra i relatori del convegno, «dal punto di vista della comunicazione anche le istituzioni hanno spesso fallito, illudendo oppure fuorviando, arrivando finanche a criminalizzare un tipo di motorizzazione rispetto a un'altra. E non c'è ragione per sentirsi inadeguati oppure poco ecologici se si guida una vettura Euro5 o 6».E se il problema, come dicono a Bruxelles e a Roma, è la vetustà del parco macchine circolante, allora non sarebbe una cattiva idea dare incentivi anche per l'usato, in modo che gli automobilisti possano trovare più accessibili automezzi relativamente recenti rottamando quelli ante "Euro4".Proprio la mancanza di chiarezza sarebbe la causa del rinvio dell'acquisto secondo Aldo Fassina, presidente dell'omonimo gruppo di concessionarie, che insieme con Adolfo De Stefani Cosentino, presidente di Federauto, concordano sul fatto che i consumatori non sono pronti alla conversione all'elettrico, nella quale la confusione regna sovrana. Quanto alle mancanti infrastrutture, si apprende che l'installazione di una serie di colonnine per la ricarica rapida in autostrada costa circa 500.000 euro, tanto da rendere impossibile per chi investe recuperare questa cifra nei 15 anni di previsione della sua utilità e ciclo di vita.Tra i concessionari di ogni marca che non sia di lusso è forte anche la preoccupazione sul fatto che in questo momento, con la penuria di componenti elettronici e le difficoltà di spedizione, le case automobilistiche vogliano cercare a tutti i costi di accorciare la filiera, spingendo i clienti a ordinare le automobili online. Ebbene, consola il fatto che se gli accessi ai siti web e ai configuratori sono aumentati, poi la formalizzazione dell'acquisto avviene sempre dopo una visita all'autosalone, perché nessuno compra un automezzo senza essersi seduto dentro almeno una volta. Senza concessionari il cliente perde il punto di riferimento, e la chiusura degli autosaloni, specialmente di quelli piccoli, significa spesso la perdita di presidio di un territorio. L'era post-pandemia e la spinta alla conversione stanno, insieme, creando una situazione inedita, con i costruttori che mirano alla marginalità su ogni esemplare venduto più che ai volumi, come Stellantis. «Spesso oggi abbiamo il venduto ma non il consegnato» ricorda Michele Crisci dell'Unione nazionale rappresentanti veicoli esteri, "le produzioni sono molto rallentate e di conseguenza le consegne avvengono con tempi molto lunghi".<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/confusione-fisco-italiani-non-elettrico-2655436953.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-piano-del-ministro-tecnico" data-post-id="2655436953" data-published-at="1635502310" data-use-pagination="False"> Il piano del ministro tecnico All'incontro milanese è intervenuto per circa settanta minuti anche il Ministro per la transizione ecologica Roberto Cingolani, interangendo con i relatori su vari aspetti. Cingolani come ministro ha due vantaggi. Primo: è un fisico, quindi realista e conoscitore del valore dei numeri. Secondo: essendo stato chiamato da tecnico non è costretto a cambiare parole parlando con interlocutori di uno schieramento politico o di un altro. Inizialmente il ministro è parso ragionare con molto buon senso: «La decarbonizzazione, ha dichiarato, ci sarà ma nei tempi giusti, seguendo puntualmente le tappe previste dall'agenda. E senza tralasciare alcuna tecnologia, a cominciare da quella atomica green e di quarta generazione». Intervistato dal moderatore del convegno, il giornalista Pierluigi Bonora, promotore dell'evento, ha poi virato lasciando poche speranze ai presenti che rappresentano la filiera automotive: «Per accelerare la transizione non si può pensare di avere incentivi a ripetizione, quello che serve per la decarbonizzazione sono aiuti strutturali, non del tipo stop&go come avvenuto di recente». Interrogato a proposito dei tempi imposti dalla Commissione Ue in tema di green, ha risposto dicendo che l'impegno si basa su un programma preciso, che comprende centinaia di azioni nei prossimi cinque anni ma, e ha aggiunto: «L'agenda prevede tappe forzate che prevediamo di rispettare puntualmente e senza strafare, perché non si può correre una maratona al ritmo dei 100 metri».Stimolato sul dibattito, Cingolani ritiene offensivo chi liquida tutto parlando di «blablabla» (la frase usata recentemente da Greta Thunberg), perché se le cose fossero state semplici sarebbero già state fatte. Il piano, infatti, prevede che per arrivare a impiegare il 70% per cento di energie rinnovabili per alimentare la mobilità bisogna installare migliaia di impianti, decuplicando ogni anno le centrali, facendo in modo che la domanda di energia possa crescere compatibilmente con quello che produciamo. «Altrimenti non potremo liberarci dai combustibili fossili. Occorrono più realismo e trasparenza, e meno azzardi». È questo il tema sul quale Roberto Cingolani ha saputo fornire rassicurazioni ai presenti, con una serie di indicazioni puntuali, in posizione centrale e di massimo equilibrio rispetto alle derive ideologiche che arrivano da alcune parti della politica. «Abbiamo abbastanza tempo per recuperare parte del terreno perso in questi anni» ha puntualizzato «senza trascurare la leadership che l'Italia ha in questo settore. La lungimiranza paga, come sta dimostrando la Cina, e noi stiamo lavorando su più fronti, partendo dall'investimento di 3,2 miliardi di euro riservati alla ricerca sull'idrogeno verde. Nelle scelte che ci aspettano, dobbiamo metterci nei panni della persona comune, perché un conto è vivere in una grande città, un altro è abitare in un posto nel quale non esistono tutti i servizi delle metropoli. L'elettrico è obiettivamente utile sulle piccole tratte; il problema non dipende dalle auto, ma dalle infrastrutture».Per Cingolani la transizione non può essere concentrata solo sull'elettrico. «Dobbiamo aiutare con gli incentivi chi non può fare autonomamente il salto, consentendogli di passare oggi alle auto omologate Euro 6. Questo avrebbe effetti positivi sulla decarbonizzazione, ma è importante fermare il mercato di auto di terza o quarta mano che finiscono in altri continenti, trasferendo il problema in aree geografiche diverse». Meno diplomatico sulla fine prematura dei motori diesel, dichiarati «vittime della transizione», concludendo con una frase che però ha ancora troppo sapore di utopia: «La transizione è importante» ha concluso «ma dovremo farlo solo con idee chiare, tenendo presente che si dovrà continuare ancora a lungo a produrre componenti per le auto convenzionali anche e soprattutto allo scopo di evitare che milioni di lavoratori perdano il posto».E proprio questo ora è il punto da affrontare: calcolare come rendere sostenibile l'impatto sociale, quali azioni per incentivare la trasformazione di posti di lavoro che con l'arrivo dell'elettrico non esisteranno più. In Italia duecentomila posti sui quali impatterà la rivoluzione, sessanta mila quelli che vedranno la loro specialità sparire. 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La multinazionale delle ispezioni ai veicoli, presente in Italia da oltre 20 anni con oltre 700 dipendenti, ha ideato il Premio con il duplice obiettivo di sensibilizzare in modo positivo la pubblica opinione e di riconoscere il merito alle figure che nei propri ambiti hanno realizzato azioni di grande efficacia. Il premio 2021, ritirato dal professor Marco Bocciolone, direttore del Dipartimento di meccanica, rappresenta il riconoscimento per l'azione continua sviluppata dal Politecnico di Milano, dove quest'anno è stato inaugurato il simulatore di guida Dim400 realizzato con il contributo di Regione Lombardia, che consente attività di ricerca nell'ambito della sicurezza dei veicoli. Precedentemente il premio era stato vinto da Alberto Bombassei, presidente di Brembo, dal prefetto Roberto Sgalla, già direttore centrale delle specialità della Polizia di Stato, dal sindaco di Genova Marco Bucci nel suo ruolo di Commissario straordinario per la ricostruzione del viadotto sul Polcevera. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/confusione-fisco-italiani-non-elettrico-2655436953.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="il-paradosso-dell-elettrico" data-post-id="2655436953" data-published-at="1635502310" data-use-pagination="False"> Il paradosso dell'elettrico Il segmento di auto più richieste attualmente è il Suv, Sport Uilitity Vehicle. Possibilmente ibrido, ovviamente. Ovvero, per le leggi della fisica, quanto di più assurdo si possa immaginare. Stante una massa di oltre 1.500 chilogrammi e una batteria al massimo dello stato dell'arte, consuma oltre il 90% dell'energia che produce per spostare sé stessa. E siccome le case produttrici hanno problemi di approvvigionamento, tendono a promuovere e concentrarsi sui modelli che garantiscono loro più marginalità, ovvero quelli di lusso, i cosiddetti premium. In Europa il costo delle emissioni di Co2 basato sulle dimensioni delle auto e sui divieti è perdente, poiché spinge i costruttori a migliorare le auto più grandi. Dunque chi deve sostituire una vecchia utilitaria si trova nella condizione di avere meno scelta e costi troppo alti per passare a una elettrica. Questa quindi si presenta snaturata: la Fiat 500 elettrica, per esempio, è iper equipaggiata di gadget ed è un "brand" di lusso. Forse una versione basica e meno costosa venderebbe di più aiutando la transizione, ma sarebbe poco o nulla profittevole per Stellantis. Le emissioni di Co2 di un Suv ibrido sono oggi «politicamente guidate» per apparire virtuose, in realtà senza infrastrutture di ricarica capillari, ovvero portando in giro batterie semiscariche usando il motore endotermico, inquinano di più dello stesso modello diesel Euro5 o 6.
Giorgia Meloni (Ansa)
La commissione per le libertà civili dell’Eurocamera e i negoziatori del Consiglio hanno concordato informalmente le nuove norme in base alle quali gli Stati membri possono decidere che un Paese extra Ue sia da considerarsi Paese terzo sicuro (Stc) nei confronti di un richiedente asilo che non ne è cittadino. Alla base di tutto c’è stata un’iniziativa del governo di Giorgio Meloni e l’appoggio di Ursula von der Leyen, che aveva capito che bisognava intervenire contro le interpretazioni creative.
La Commissione ha subito emesso una nota di soddisfazione: «Queste nuove norme aiuteranno gli Stati membri ad accelerare il trattamento delle domande di asilo, a ridurre la pressione sui sistemi di asilo e a ridurre gli incentivi alla migrazione illegale verso l’Ue, preservando nel contempo le garanzie giuridiche per i richiedenti e garantendo il rispetto dei diritti fondamentali».
Il fronte contrario a una miglior specificazione del concetto di Paese sicuro teme che le nuove regole possano tradursi in una minor tutela dei richiedenti asilo. Ma dall’altro, i contrari non sembrano propensi ad ammettere che i Paesi veramente democratici, almeno secondo i canoni occidentali, sono sempre meno.
A margine del Consiglio europeo, Giorgia Meloni, insieme ai colleghi danese, Mette Frederiksen, e olandese, Dick Schoof, ha ospitato una nuova riunione informale dei 15 Stati membri più interessati al tema delle soluzioni in ambito migratorio.
Insieme a Italia, Danimarca, Paesi Bassi e Commissione europea, hanno preso parte all’incontro i leader di Austria, Bulgaria, Cipro, Croazia, Germania, Grecia, Polonia, Repubblica ceca, Lettonia, Malta, Ungheria e Svezia.
In questa sede, come spiega una nota di Palazzo Chigi, il premier italiano ha aggiornato i colleghi sul lavoro in corso «sul tema della capacità delle Convenzioni internazionali di rispondere alle sfide della migrazione irregolare e sulle prossime iniziative previste».
Dopo il risultato dello scorso 10 dicembre, quando 27 Stati membri del Consiglio d’Europa hanno sottoscritto la dichiarazione politica italo-danese, ora il lavoro continua in vista della Ministeriale del Consiglio d’Europa, sotto la presidenza moldava, del prossimo 15 maggio.
I leader hanno anche concordato di lanciare iniziative congiunte anche nei diversi contesti internazionali, a partire dall’Onu, per «promuovere più efficacemente l’approccio europeo ad una gestione ordinata dei flussi migratori».
Per Alessandro Ciriani, eurodeputato di Fdi-Ecr e relatore per il Parlamento europeo del dossier sui Paesi terzi sicuri, «la lista concordata - che comprende, oltre ai Paesi candidati, Egitto, Bangladesh, Tunisia, India, Colombia, Marocco e Kosovo - produrrà effetti immediati sulle pratiche di esame delle domande di protezione internazionale, accelerando le procedure e rafforzando la certezza applicativa». In generale, per Ciriani «è un momento storico: grazie al lavoro del governo italiano, anche in Europa si supera la polarizzazione politica in tema di immigrazione e si sceglie la via del buonsenso».
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Carola Rackete (Getty Images)
Era marzo 2021 e così prometteva di sfidare la magistratura Luca Casarini, fondatore e capomissione di Mediterranea Saving Humans. L’ex disobbediente del Nord-Est dichiarava di voler continuare a non rispettare le regole, l’ha ribadito anche lo scorso ottobre in apertura del processo a Ragusa dove è accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina con l’aggravante di averne tratto profitto. «¡Aquí no se rinde nadie! qui non si arrende nessuno», terminò il suo post su Facebook poco prima dell’udienza, citando la frase pronunciata dal comandante rivoluzionario Juan Almeida Bosque durante lo sbarco dei guerriglieri a Cuba. Casarini non riconosce la legge e poco importa se traveste l’inosservanza con scuse umanitarie: la lista dei disobbedienti per torti e offese subìte sarebbe interminabile, mentre in uno Stato di diritto non si fa giustizia a propria misura calpestando l’ordinamento.
Il capomissione della Ong si vanta di essere un trasgressore, solca i mari con «la nave dei centri sociali» agendo senza regole se non le condivide. «Io ho fatto del ragionamento sulla disobbedienza una caratteristica della mia vita [...] Sono i governi che violano continuamente la legge», è una sua precedente affermazione datata marzo 2019 in piena vicenda Mare Jonio, la barca entrata nel porto di Lampedusa malgrado il no del Viminale allora retto da Matteo Salvini.
Non è da meno il capo missione di Mediterranea, Beppe Caccia, che lo scorso agosto ammetteva con orgoglio di avere infranto la legge: «Abbiamo disobbedito a un ordine ingiusto e inumano del ministero dell’Interno. Ma così facendo abbiamo obbedito al diritto marittimo, alla Costituzione italiana e alle leggi dell’umanità». No, la Costituzione afferma che la legge è uguale per tutti, senza distinzioni di sorta e che tutti sono tenuti a rispettarla.
Eppure Carola Rackete si è vantata più volte di averla calpestata nel nostro Paese. La comandante tedesca della nave Sea Watch 3, che con le sue 650 tonnellate di stazza aveva investito la motovedetta della Guardia di finanza colpevole solo di avere intimato l’alt, nel giugno del 2019 giustificava l’azione. «Non è stato un atto di violenza. Solo di disobbedienza. Ma ho sbagliato la manovra. Per me era vietato obbedire. Mi chiedevano di riportarli in Libia. Ma per la legge sono persone che fuggono da un Paese in guerra, la legge vieta che io le possa riportare là», era la sua strabiliante versione accolta anche dal gip del tribunale di Agrigento che archiviò le accuse di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina e disobbedienza a nave da guerra. Salvini protestò: «Quindi, se capisco bene la sentenza, speronare una motovedetta militare italiana con uomini a bordo non è reato. Torniamo ai tempi dei pirati… No comment». Rackete un mese dopo tornava a vantarsi: «Abbiamo abbattuto un muro. Quello innalzato in mare dal Decreto sicurezza bis. Siamo stati costretti a farlo. Talvolta servono azioni di disobbedienza civile per affermare diritti umani e portare leggi sbagliate di fronte a un giudice».
In quest’ottica, l’assurdità dei decreti legge emanati durante l’emergenza Covid dovrebbero giustificare gli atti di disobbedienza compiuti, anche con il rifiuto di vaccinarsi che invece è stato perseguito e punito. Spesso il principio di legalità non ha affatto rappresentato la massima garanzia di libertà, anzi ha modificato diritti fondamentali dei cittadini e chi si è ribellato ne ha pagato le conseguenze. Solo le Ong sarebbero libere di infrangere le leggi?
Nel maggio del 2024 associazioni come Baobab experience, Collettivo rotte balcaniche, Linea d’ombra, Kitchen on borders difendevano un network nato «nell’autodenuncia della propria pratica quotidiana di disobbedienza civile, contro le politiche migratorie italiana ed europea, contro i confini interni ed esterni».
E se ci si mette anche la Chiesa, la disobbedienza può appare il nuovo credo a cui dare ascolto. In spregio alle leggi e ai tribunali, stando alle parole di don Mattia Ferrari, il cappellano di Mediterranea Saving Humans. «La morale per noi invece è che tu devi lottare accanto a chi è oppresso. Tu devi contrastare questo sistema. Tu devi sovvertire questo sistema capitalista e patriarcale. E allora abbiamo introdotto l’espressione disobbedienza morale», spiegava nel luglio del 2023.
Anche Alessandra Sciurba, già presidente di Mediterranea Saving Humans, nel 2020 parlava di «disobbedienza morale e obbedienza civile» che l’aveva animata a soccorrere migranti sulla barca a vela Alex sfidando decreti-legge e imposizioni governative illegittimi. È la stessa Associazione di promozione sociale (Aps) in cui si è trasformata Mediterranea a lamentarsi perché «le Ong sono costrette a spendere una gran quantità di tempo e risorse per contestare la restrittiva legislazione italiana e i fermi amministrativi arbitrariamente imposti». Navigano contro legge.
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David Neres festeggia con Rasmus Hojlund dopo aver segnato il gol dell'1-0 durante la semifinale di Supercoppa italiana tra Napoli e Milan a Riyadh (Ansa)
Nella prima semifinale in Arabia Saudita i campioni d’Italia superano 2-0 i rossoneri con un gol per tempo di Neres e Hojlund. Conte: «Vincere contro un top team dà fiducia, entusiasmo e consapevolezza». Allegri: «Il Napoli ha meritato perché ha difeso molto meglio di noi. Dobbiamo migliorare la fase difensiva, è lì che nascono le difficoltà».
È il Napoli la prima finalista della Supercoppa italiana. All’Alawwal Park di Riyadh, davanti a 24.941 spettatori, i campioni d’Italia superano 2-0 il Milan al termine di una semifinale mai realmente in discussione e torneranno lunedì nello stadio dell’Al Nassr per giocarsi il primo trofeo stagionale contro la vincente di Bologna-Inter, in programma domani sera.
Decidono un gol per tempo di Neres e Hojlund, protagonisti assoluti di una gara che la squadra di Antonio Conte ha interpretato con maggiore lucidità, intensità e qualità rispetto ai rossoneri. Il pubblico saudita, arrivato a scaglioni sugli spalti come da consuetudine locale, si è acceso soprattutto per Luka Modric durante il riscaldamento, più inquadrato sugli smartphone che realmente seguito sul campo, ma alla lunga è stato il Napoli a prendersi scena e risultato. Un successo meritato per i partenopei che rispetto al Milan hanno dimostrato di avere più idee e mezzi per colpire.
Conte ha scelto la miglior formazione possibile, confermando il 3-4-2-1 con l’unica eccezione rispetto alle ultime gare di campionato che riguarda il ritorno tra i titolari di Politano al posto di Lang. Davanti la coppia McTominay-Neres ad agire alle spalle di Hojlund. Ed è stato proprio il centravanti danese uno dei protagonisti del match e della vittoria del Napoli, mettendo lo zampino in entrambi i gol e facendo impazzire in marcatura De Winter. L’ex difensore del Genoa è stato scelto da Allegri come perno della difesa a tre per sostituire l'infortunato Gabbia, un’assenza che alla fine dei conti si è rivelata più pesante del previsto. Ma se quella del difensore centrale era praticamente una scelta obbligata, il turnover applicato in mezzo al campo e sulla corsia di destra non ha restituito gli effetti desiderati. Nel solito 3-5-2 hanno trovato spazio dal primo minuto anche Jashari e Loftus-Cheek, titolari al posto di Modric e Fofana, ed Estupinan per far rifiatare Bartesaghi, uno degli uomini più in forma tra i rossoneri.
Il Napoli ha preso infatti fin da subito l’iniziativa, con Elmas al tiro già al 2’ e con Maignan attento a bloccare senza problemi. Il Milan ha poi avuto due ghiotte occasioni: al 5’ sugli sviluppi di una rimessa laterale Pavlovic ha tentato una rovesciata, il pallone è arrivato a Loftus-Cheek che, solo davanti a Milinkovic-Savic, ha mancato incredibilmente l’impatto; al 16' Saelemaekers ha sprecato calciando alto da buona posizione. È l’illusione rossonera, perché da quel momento sono i partenopei a comandare il gioco. Al 32' McTominay ha sfiorato il vantaggio con un destro di prima poco fuori, mentre Nkunku al 37’ ha confermato il suo momento negativo non inquadrando nemmeno la porta a conclusione di un contropiede che poteva cambiare la partita. Partita che è cambiata in maniera decisiva due minuti dopo, al 39’, quando è arrivato il gol che ha sbloccato la semifinale: da un'azione insistita di Elmas sulla sinistra, il pallone è arrivato a Hojlund il cui tiro in diagonale ha messo in difficoltà Maignan. La respinta troppo corta del portiere francese è finita sui piedi di Neres, il più rapido ad avventarsi sul pallone e a depositarlo in rete. Il Napoli è andato vicino al raddoppio già prima dell’intervallo con un altro contropiede orchestrato da Elmas e concluso da Hojlund, su cui Maignan ha dovuto compiere un mezzo miracolo.
Nella ripresa il copione non è cambiato. Rrahmani ha impegnato ancora Maignan da fuori area, poi al 64’ è arrivato il 2-0 che ha chiuso la partita: Spinazzola ha affondato a sinistra e servito Hojlund, veloce e preciso a finalizzare con freddezza, firmando così una prestazione dominante contro un De Winter in grande difficoltà. Allegri ha provato a cambiare volto alla gara passando al 4-1-4-1 con l’ingresso di Fofana e Athekame, ma il Milan non è riuscito di fatto mai a rientrare davvero in partita. Anzi. Al 73' uno scatenato Hojlund ha sfiorato la doppietta personale. Poi, al 75', il Milan ha regalato alla parte di stadio rossonera la gioia più grande di tuta la serata, ovvero l'ingresso in campo di Modric. Il croato è entrato tra gli applausi del pubblico, ma è solo una nota di colore in una serata che resta saldamente nelle mani del Napoli. Nel finale spazio anche a qualche tensione, sia in campo che in panchina. Prima le scintille tra Tomori e McTominay, ammoniti entrambi da Zufferli. Poi, in pieno recupero, un battibecco verbale tra Oriali e Allegri. E mentre scorrevano i sette minuti di recupero concessi dal direttore di gara, accompagnato dal coro dei tifosi sauditi di fede azzurra «Siamo noi, siamo noi, i campioni dell’Italia siamo noi», è arrivato il verdetto definitivo.
Nel post partita Massimiliano Allegri ha riconosciuto i meriti degli avversari: «Il Napoli ha meritato perché ha difeso molto meglio di noi. Dobbiamo migliorare la fase difensiva, è lì che nascono le difficoltà». Sull’eliminazione da Coppa Italia e Supercoppa è stato netto: «Siamo dispiaciuti, ma il nostro obiettivo resta la qualificazione in Champions, che è un salvavita per la società». Di tutt’altro tono Antonio Conte, soddisfatto della risposta della sua squadra: «Battere il Milan fa morale. Vincere contro un top team dà fiducia, entusiasmo e consapevolezza. Con energia, anche in emergenza, siamo difficili da affrontare». Parole di elogio per Hojlund: «Ha 22 anni, grandi margini di crescita e oggi è stato determinante. Sta capendo sempre di più quello che gli chiedo».
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