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2021-10-29
Confusione e fisco: gli italiani non si fidano ancora dell'elettrico
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Incerta situazione quella del settore automotive italiano del 2021, con la domanda che supera l'offerta, troppa incertezza sul futuro delle motorizzazioni che non sono almeno ibride, e soprattutto tanta confusione nei clienti, che spesso si perdono nel vocabolario tecnico, facendo fatica, per esempio, a distinguere la differenza tra una mild-hybrid (l'elettrico aiuta l'endotermico), una full-hybrid (i due motori lavorano insieme e l'endotermico carica le batterie) e una hybrid-plug-in (l'elettrico si ricarica anche mediante una presa esterna). Termini che, in effetti, sembrano fatti apposta per confondere. E poi c'è lo spettro fiscale all'orizzonte: i carburanti concorrono per 40 miliardi di accise al bilancio statale, tasse di possesso e le assicurazioni sono calcolate su parametri che non esisteranno più, quindi la fiscalità del comparto andrà ripensata.
Sono le prime considerazioni emerse al ForumAutomotive 2021 di Milano, dove è stato presentato uno studio di Findomestic secondo il quale la fiducia e la propensione all'acquisto di automezzi degli italiani nel momento post-covid è in aumento, ma a frenare sono proprio le incertezze. C'è poi una questione di fondo: la transizione all'elettrico è stata imposta, nessun cliente l'ha chiesta, ma a pagare saremo proprio noi in quanto tali. Eppure stando allo studio di Findomestic il 71% degli intervistati vorrebbe cambiare auto con una che inquina meno, spinto dalle possibili limitazioni alla circolazione, il 55% pensa a un mezzo più sicuro e soltanto il 30% sceglie l'auto in base al tipo di alimentazione. Su questo ultimo parametro la scelta degli italiani sarebbe per il 58% per un'automobile ibrida, 13% per una elettrica o diesel, 13% la vorrebbe a benzina , l'11% Gpl e 5% a metano. Come ha sottolineato Antonino Geronimo La Russa, presidente di Aci Milano tra i relatori del convegno, «dal punto di vista della comunicazione anche le istituzioni hanno spesso fallito, illudendo oppure fuorviando, arrivando finanche a criminalizzare un tipo di motorizzazione rispetto a un'altra. E non c'è ragione per sentirsi inadeguati oppure poco ecologici se si guida una vettura Euro5 o 6».
E se il problema, come dicono a Bruxelles e a Roma, è la vetustà del parco macchine circolante, allora non sarebbe una cattiva idea dare incentivi anche per l'usato, in modo che gli automobilisti possano trovare più accessibili automezzi relativamente recenti rottamando quelli ante "Euro4".
Proprio la mancanza di chiarezza sarebbe la causa del rinvio dell'acquisto secondo Aldo Fassina, presidente dell'omonimo gruppo di concessionarie, che insieme con Adolfo De Stefani Cosentino, presidente di Federauto, concordano sul fatto che i consumatori non sono pronti alla conversione all'elettrico, nella quale la confusione regna sovrana. Quanto alle mancanti infrastrutture, si apprende che l'installazione di una serie di colonnine per la ricarica rapida in autostrada costa circa 500.000 euro, tanto da rendere impossibile per chi investe recuperare questa cifra nei 15 anni di previsione della sua utilità e ciclo di vita.
Tra i concessionari di ogni marca che non sia di lusso è forte anche la preoccupazione sul fatto che in questo momento, con la penuria di componenti elettronici e le difficoltà di spedizione, le case automobilistiche vogliano cercare a tutti i costi di accorciare la filiera, spingendo i clienti a ordinare le automobili online. Ebbene, consola il fatto che se gli accessi ai siti web e ai configuratori sono aumentati, poi la formalizzazione dell'acquisto avviene sempre dopo una visita all'autosalone, perché nessuno compra un automezzo senza essersi seduto dentro almeno una volta. Senza concessionari il cliente perde il punto di riferimento, e la chiusura degli autosaloni, specialmente di quelli piccoli, significa spesso la perdita di presidio di un territorio. L'era post-pandemia e la spinta alla conversione stanno, insieme, creando una situazione inedita, con i costruttori che mirano alla marginalità su ogni esemplare venduto più che ai volumi, come Stellantis. «Spesso oggi abbiamo il venduto ma non il consegnato» ricorda Michele Crisci dell'Unione nazionale rappresentanti veicoli esteri, "le produzioni sono molto rallentate e di conseguenza le consegne avvengono con tempi molto lunghi".
Il piano del ministro tecnico
All'incontro milanese è intervenuto per circa settanta minuti anche il Ministro per la transizione ecologica Roberto Cingolani, interangendo con i relatori su vari aspetti. Cingolani come ministro ha due vantaggi. Primo: è un fisico, quindi realista e conoscitore del valore dei numeri. Secondo: essendo stato chiamato da tecnico non è costretto a cambiare parole parlando con interlocutori di uno schieramento politico o di un altro. Inizialmente il ministro è parso ragionare con molto buon senso: «La decarbonizzazione, ha dichiarato, ci sarà ma nei tempi giusti, seguendo puntualmente le tappe previste dall'agenda. E senza tralasciare alcuna tecnologia, a cominciare da quella atomica green e di quarta generazione». Intervistato dal moderatore del convegno, il giornalista Pierluigi Bonora, promotore dell'evento, ha poi virato lasciando poche speranze ai presenti che rappresentano la filiera automotive: «Per accelerare la transizione non si può pensare di avere incentivi a ripetizione, quello che serve per la decarbonizzazione sono aiuti strutturali, non del tipo stop&go come avvenuto di recente». Interrogato a proposito dei tempi imposti dalla Commissione Ue in tema di green, ha risposto dicendo che l'impegno si basa su un programma preciso, che comprende centinaia di azioni nei prossimi cinque anni ma, e ha aggiunto: «L'agenda prevede tappe forzate che prevediamo di rispettare puntualmente e senza strafare, perché non si può correre una maratona al ritmo dei 100 metri».
Stimolato sul dibattito, Cingolani ritiene offensivo chi liquida tutto parlando di «blablabla» (la frase usata recentemente da Greta Thunberg), perché se le cose fossero state semplici sarebbero già state fatte. Il piano, infatti, prevede che per arrivare a impiegare il 70% per cento di energie rinnovabili per alimentare la mobilità bisogna installare migliaia di impianti, decuplicando ogni anno le centrali, facendo in modo che la domanda di energia possa crescere compatibilmente con quello che produciamo. «Altrimenti non potremo liberarci dai combustibili fossili. Occorrono più realismo e trasparenza, e meno azzardi». È questo il tema sul quale Roberto Cingolani ha saputo fornire rassicurazioni ai presenti, con una serie di indicazioni puntuali, in posizione centrale e di massimo equilibrio rispetto alle derive ideologiche che arrivano da alcune parti della politica. «Abbiamo abbastanza tempo per recuperare parte del terreno perso in questi anni» ha puntualizzato «senza trascurare la leadership che l'Italia ha in questo settore. La lungimiranza paga, come sta dimostrando la Cina, e noi stiamo lavorando su più fronti, partendo dall'investimento di 3,2 miliardi di euro riservati alla ricerca sull'idrogeno verde. Nelle scelte che ci aspettano, dobbiamo metterci nei panni della persona comune, perché un conto è vivere in una grande città, un altro è abitare in un posto nel quale non esistono tutti i servizi delle metropoli. L'elettrico è obiettivamente utile sulle piccole tratte; il problema non dipende dalle auto, ma dalle infrastrutture».
Per Cingolani la transizione non può essere concentrata solo sull'elettrico. «Dobbiamo aiutare con gli incentivi chi non può fare autonomamente il salto, consentendogli di passare oggi alle auto omologate Euro 6. Questo avrebbe effetti positivi sulla decarbonizzazione, ma è importante fermare il mercato di auto di terza o quarta mano che finiscono in altri continenti, trasferendo il problema in aree geografiche diverse».
Meno diplomatico sulla fine prematura dei motori diesel, dichiarati «vittime della transizione», concludendo con una frase che però ha ancora troppo sapore di utopia: «La transizione è importante» ha concluso «ma dovremo farlo solo con idee chiare, tenendo presente che si dovrà continuare ancora a lungo a produrre componenti per le auto convenzionali anche e soprattutto allo scopo di evitare che milioni di lavoratori perdano il posto».
E proprio questo ora è il punto da affrontare: calcolare come rendere sostenibile l'impatto sociale, quali azioni per incentivare la trasformazione di posti di lavoro che con l'arrivo dell'elettrico non esisteranno più. In Italia duecentomila posti sui quali impatterà la rivoluzione, sessanta mila quelli che vedranno la loro specialità sparire. Il pensiero, per esempio, va chi produce marmitte.
Premio Dekra al Politecnico di Milano, per l'innovativo simulatore di guida
La quarta edizione del Dekra Road Safety Award, il premio speciale che tende a valorizzare le realtà italiane più attive e brillanti nell'ambito della sicurezza stradale va al Politecnico di Milano nella persona del magnifico rettore Ferruccio Resta. La multinazionale delle ispezioni ai veicoli, presente in Italia da oltre 20 anni con oltre 700 dipendenti, ha ideato il Premio con il duplice obiettivo di sensibilizzare in modo positivo la pubblica opinione e di riconoscere il merito alle figure che nei propri ambiti hanno realizzato azioni di grande efficacia. Il premio 2021, ritirato dal professor Marco Bocciolone, direttore del Dipartimento di meccanica, rappresenta il riconoscimento per l'azione continua sviluppata dal Politecnico di Milano, dove quest'anno è stato inaugurato il simulatore di guida Dim400 realizzato con il contributo di Regione Lombardia, che consente attività di ricerca nell'ambito della sicurezza dei veicoli. Precedentemente il premio era stato vinto da Alberto Bombassei, presidente di Brembo, dal prefetto Roberto Sgalla, già direttore centrale delle specialità della Polizia di Stato, dal sindaco di Genova Marco Bucci nel suo ruolo di Commissario straordinario per la ricostruzione del viadotto sul Polcevera.
Il paradosso dell'elettrico
Il segmento di auto più richieste attualmente è il Suv, Sport Uilitity Vehicle. Possibilmente ibrido, ovviamente. Ovvero, per le leggi della fisica, quanto di più assurdo si possa immaginare. Stante una massa di oltre 1.500 chilogrammi e una batteria al massimo dello stato dell'arte, consuma oltre il 90% dell'energia che produce per spostare sé stessa. E siccome le case produttrici hanno problemi di approvvigionamento, tendono a promuovere e concentrarsi sui modelli che garantiscono loro più marginalità, ovvero quelli di lusso, i cosiddetti premium. In Europa il costo delle emissioni di Co2 basato sulle dimensioni delle auto e sui divieti è perdente, poiché spinge i costruttori a migliorare le auto più grandi. Dunque chi deve sostituire una vecchia utilitaria si trova nella condizione di avere meno scelta e costi troppo alti per passare a una elettrica. Questa quindi si presenta snaturata: la Fiat 500 elettrica, per esempio, è iper equipaggiata di gadget ed è un "brand" di lusso. Forse una versione basica e meno costosa venderebbe di più aiutando la transizione, ma sarebbe poco o nulla profittevole per Stellantis. Le emissioni di Co2 di un Suv ibrido sono oggi «politicamente guidate» per apparire virtuose, in realtà senza infrastrutture di ricarica capillari, ovvero portando in giro batterie semiscariche usando il motore endotermico, inquinano di più dello stesso modello diesel Euro5 o 6.
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Riduci
Produzioni rallentate, concessionari in pericolo, incertezza e spettro fiscale su tasse e assicurazioni frenano gli acquisti.Roberto Cingolani al Forum Automotive 2021 di Milano: «Il cambio sarà una maratona di cinque anni. Il diesel? Una vittima senza più possibilità».Il Politecnico di Milano si è aggiudicato la quarta edizione del Dekra Road Safety Award, il premio speciale che tende a valorizzare le realtà italiane più attive e brillanti nell'ambito della sicurezza stradale.Il paradosso dell'elettrico: le emissioni di Co2 di un Suv ibrido appaiono virtuose, ma in realtà sono senza infrastrutture di ricarica capillari e portano in giro batterie semiscariche usando il motore endotermico. Risultato: inquinano di più dello stesso modello diesel Euro5 o 6.Lo speciale contiene quattro articoli.Incerta situazione quella del settore automotive italiano del 2021, con la domanda che supera l'offerta, troppa incertezza sul futuro delle motorizzazioni che non sono almeno ibride, e soprattutto tanta confusione nei clienti, che spesso si perdono nel vocabolario tecnico, facendo fatica, per esempio, a distinguere la differenza tra una mild-hybrid (l'elettrico aiuta l'endotermico), una full-hybrid (i due motori lavorano insieme e l'endotermico carica le batterie) e una hybrid-plug-in (l'elettrico si ricarica anche mediante una presa esterna). Termini che, in effetti, sembrano fatti apposta per confondere. E poi c'è lo spettro fiscale all'orizzonte: i carburanti concorrono per 40 miliardi di accise al bilancio statale, tasse di possesso e le assicurazioni sono calcolate su parametri che non esisteranno più, quindi la fiscalità del comparto andrà ripensata.Sono le prime considerazioni emerse al ForumAutomotive 2021 di Milano, dove è stato presentato uno studio di Findomestic secondo il quale la fiducia e la propensione all'acquisto di automezzi degli italiani nel momento post-covid è in aumento, ma a frenare sono proprio le incertezze. C'è poi una questione di fondo: la transizione all'elettrico è stata imposta, nessun cliente l'ha chiesta, ma a pagare saremo proprio noi in quanto tali. Eppure stando allo studio di Findomestic il 71% degli intervistati vorrebbe cambiare auto con una che inquina meno, spinto dalle possibili limitazioni alla circolazione, il 55% pensa a un mezzo più sicuro e soltanto il 30% sceglie l'auto in base al tipo di alimentazione. Su questo ultimo parametro la scelta degli italiani sarebbe per il 58% per un'automobile ibrida, 13% per una elettrica o diesel, 13% la vorrebbe a benzina , l'11% Gpl e 5% a metano. Come ha sottolineato Antonino Geronimo La Russa, presidente di Aci Milano tra i relatori del convegno, «dal punto di vista della comunicazione anche le istituzioni hanno spesso fallito, illudendo oppure fuorviando, arrivando finanche a criminalizzare un tipo di motorizzazione rispetto a un'altra. E non c'è ragione per sentirsi inadeguati oppure poco ecologici se si guida una vettura Euro5 o 6».E se il problema, come dicono a Bruxelles e a Roma, è la vetustà del parco macchine circolante, allora non sarebbe una cattiva idea dare incentivi anche per l'usato, in modo che gli automobilisti possano trovare più accessibili automezzi relativamente recenti rottamando quelli ante "Euro4".Proprio la mancanza di chiarezza sarebbe la causa del rinvio dell'acquisto secondo Aldo Fassina, presidente dell'omonimo gruppo di concessionarie, che insieme con Adolfo De Stefani Cosentino, presidente di Federauto, concordano sul fatto che i consumatori non sono pronti alla conversione all'elettrico, nella quale la confusione regna sovrana. Quanto alle mancanti infrastrutture, si apprende che l'installazione di una serie di colonnine per la ricarica rapida in autostrada costa circa 500.000 euro, tanto da rendere impossibile per chi investe recuperare questa cifra nei 15 anni di previsione della sua utilità e ciclo di vita.Tra i concessionari di ogni marca che non sia di lusso è forte anche la preoccupazione sul fatto che in questo momento, con la penuria di componenti elettronici e le difficoltà di spedizione, le case automobilistiche vogliano cercare a tutti i costi di accorciare la filiera, spingendo i clienti a ordinare le automobili online. Ebbene, consola il fatto che se gli accessi ai siti web e ai configuratori sono aumentati, poi la formalizzazione dell'acquisto avviene sempre dopo una visita all'autosalone, perché nessuno compra un automezzo senza essersi seduto dentro almeno una volta. Senza concessionari il cliente perde il punto di riferimento, e la chiusura degli autosaloni, specialmente di quelli piccoli, significa spesso la perdita di presidio di un territorio. L'era post-pandemia e la spinta alla conversione stanno, insieme, creando una situazione inedita, con i costruttori che mirano alla marginalità su ogni esemplare venduto più che ai volumi, come Stellantis. «Spesso oggi abbiamo il venduto ma non il consegnato» ricorda Michele Crisci dell'Unione nazionale rappresentanti veicoli esteri, "le produzioni sono molto rallentate e di conseguenza le consegne avvengono con tempi molto lunghi".<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/confusione-fisco-italiani-non-elettrico-2655436953.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-piano-del-ministro-tecnico" data-post-id="2655436953" data-published-at="1635502310" data-use-pagination="False"> Il piano del ministro tecnico All'incontro milanese è intervenuto per circa settanta minuti anche il Ministro per la transizione ecologica Roberto Cingolani, interangendo con i relatori su vari aspetti. Cingolani come ministro ha due vantaggi. Primo: è un fisico, quindi realista e conoscitore del valore dei numeri. Secondo: essendo stato chiamato da tecnico non è costretto a cambiare parole parlando con interlocutori di uno schieramento politico o di un altro. Inizialmente il ministro è parso ragionare con molto buon senso: «La decarbonizzazione, ha dichiarato, ci sarà ma nei tempi giusti, seguendo puntualmente le tappe previste dall'agenda. E senza tralasciare alcuna tecnologia, a cominciare da quella atomica green e di quarta generazione». Intervistato dal moderatore del convegno, il giornalista Pierluigi Bonora, promotore dell'evento, ha poi virato lasciando poche speranze ai presenti che rappresentano la filiera automotive: «Per accelerare la transizione non si può pensare di avere incentivi a ripetizione, quello che serve per la decarbonizzazione sono aiuti strutturali, non del tipo stop&go come avvenuto di recente». Interrogato a proposito dei tempi imposti dalla Commissione Ue in tema di green, ha risposto dicendo che l'impegno si basa su un programma preciso, che comprende centinaia di azioni nei prossimi cinque anni ma, e ha aggiunto: «L'agenda prevede tappe forzate che prevediamo di rispettare puntualmente e senza strafare, perché non si può correre una maratona al ritmo dei 100 metri».Stimolato sul dibattito, Cingolani ritiene offensivo chi liquida tutto parlando di «blablabla» (la frase usata recentemente da Greta Thunberg), perché se le cose fossero state semplici sarebbero già state fatte. Il piano, infatti, prevede che per arrivare a impiegare il 70% per cento di energie rinnovabili per alimentare la mobilità bisogna installare migliaia di impianti, decuplicando ogni anno le centrali, facendo in modo che la domanda di energia possa crescere compatibilmente con quello che produciamo. «Altrimenti non potremo liberarci dai combustibili fossili. Occorrono più realismo e trasparenza, e meno azzardi». È questo il tema sul quale Roberto Cingolani ha saputo fornire rassicurazioni ai presenti, con una serie di indicazioni puntuali, in posizione centrale e di massimo equilibrio rispetto alle derive ideologiche che arrivano da alcune parti della politica. «Abbiamo abbastanza tempo per recuperare parte del terreno perso in questi anni» ha puntualizzato «senza trascurare la leadership che l'Italia ha in questo settore. La lungimiranza paga, come sta dimostrando la Cina, e noi stiamo lavorando su più fronti, partendo dall'investimento di 3,2 miliardi di euro riservati alla ricerca sull'idrogeno verde. Nelle scelte che ci aspettano, dobbiamo metterci nei panni della persona comune, perché un conto è vivere in una grande città, un altro è abitare in un posto nel quale non esistono tutti i servizi delle metropoli. L'elettrico è obiettivamente utile sulle piccole tratte; il problema non dipende dalle auto, ma dalle infrastrutture».Per Cingolani la transizione non può essere concentrata solo sull'elettrico. «Dobbiamo aiutare con gli incentivi chi non può fare autonomamente il salto, consentendogli di passare oggi alle auto omologate Euro 6. Questo avrebbe effetti positivi sulla decarbonizzazione, ma è importante fermare il mercato di auto di terza o quarta mano che finiscono in altri continenti, trasferendo il problema in aree geografiche diverse». Meno diplomatico sulla fine prematura dei motori diesel, dichiarati «vittime della transizione», concludendo con una frase che però ha ancora troppo sapore di utopia: «La transizione è importante» ha concluso «ma dovremo farlo solo con idee chiare, tenendo presente che si dovrà continuare ancora a lungo a produrre componenti per le auto convenzionali anche e soprattutto allo scopo di evitare che milioni di lavoratori perdano il posto».E proprio questo ora è il punto da affrontare: calcolare come rendere sostenibile l'impatto sociale, quali azioni per incentivare la trasformazione di posti di lavoro che con l'arrivo dell'elettrico non esisteranno più. In Italia duecentomila posti sui quali impatterà la rivoluzione, sessanta mila quelli che vedranno la loro specialità sparire. Il pensiero, per esempio, va chi produce marmitte. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/confusione-fisco-italiani-non-elettrico-2655436953.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="premio-dekra-al-politecnico-di-milano-per-l-innovativo-simulatore-di-guida" data-post-id="2655436953" data-published-at="1635502310" data-use-pagination="False"> Premio Dekra al Politecnico di Milano, per l'innovativo simulatore di guida La quarta edizione del Dekra Road Safety Award, il premio speciale che tende a valorizzare le realtà italiane più attive e brillanti nell'ambito della sicurezza stradale va al Politecnico di Milano nella persona del magnifico rettore Ferruccio Resta. La multinazionale delle ispezioni ai veicoli, presente in Italia da oltre 20 anni con oltre 700 dipendenti, ha ideato il Premio con il duplice obiettivo di sensibilizzare in modo positivo la pubblica opinione e di riconoscere il merito alle figure che nei propri ambiti hanno realizzato azioni di grande efficacia. Il premio 2021, ritirato dal professor Marco Bocciolone, direttore del Dipartimento di meccanica, rappresenta il riconoscimento per l'azione continua sviluppata dal Politecnico di Milano, dove quest'anno è stato inaugurato il simulatore di guida Dim400 realizzato con il contributo di Regione Lombardia, che consente attività di ricerca nell'ambito della sicurezza dei veicoli. Precedentemente il premio era stato vinto da Alberto Bombassei, presidente di Brembo, dal prefetto Roberto Sgalla, già direttore centrale delle specialità della Polizia di Stato, dal sindaco di Genova Marco Bucci nel suo ruolo di Commissario straordinario per la ricostruzione del viadotto sul Polcevera. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/confusione-fisco-italiani-non-elettrico-2655436953.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="il-paradosso-dell-elettrico" data-post-id="2655436953" data-published-at="1635502310" data-use-pagination="False"> Il paradosso dell'elettrico Il segmento di auto più richieste attualmente è il Suv, Sport Uilitity Vehicle. Possibilmente ibrido, ovviamente. Ovvero, per le leggi della fisica, quanto di più assurdo si possa immaginare. Stante una massa di oltre 1.500 chilogrammi e una batteria al massimo dello stato dell'arte, consuma oltre il 90% dell'energia che produce per spostare sé stessa. E siccome le case produttrici hanno problemi di approvvigionamento, tendono a promuovere e concentrarsi sui modelli che garantiscono loro più marginalità, ovvero quelli di lusso, i cosiddetti premium. In Europa il costo delle emissioni di Co2 basato sulle dimensioni delle auto e sui divieti è perdente, poiché spinge i costruttori a migliorare le auto più grandi. Dunque chi deve sostituire una vecchia utilitaria si trova nella condizione di avere meno scelta e costi troppo alti per passare a una elettrica. Questa quindi si presenta snaturata: la Fiat 500 elettrica, per esempio, è iper equipaggiata di gadget ed è un "brand" di lusso. Forse una versione basica e meno costosa venderebbe di più aiutando la transizione, ma sarebbe poco o nulla profittevole per Stellantis. Le emissioni di Co2 di un Suv ibrido sono oggi «politicamente guidate» per apparire virtuose, in realtà senza infrastrutture di ricarica capillari, ovvero portando in giro batterie semiscariche usando il motore endotermico, inquinano di più dello stesso modello diesel Euro5 o 6.
Il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, risponde al Maestro Riccardo Muti e si impegna a lavorare con il ministero degli Esteri per avviare contatti ai più alti livelli con la Francia per riportare a Firenze le spoglie del grande compositore Cherubini.
Michele Emiliano (Ansa)
Fino ad oggi, però, nessun risultato. Forse la comunicazione non è stata così «forte» come fu la lettera che proprio l’allora governatore dem inviò a tutti i dirigenti e dipendenti della Regione, delle sue agenzie e società partecipate, invitandoli a interrompere i rapporti con il governo di Netanyahu «a causa del genocidio di inermi palestinesi e con tutti quei soggetti ad esso riconducibili che non siano apertamente e dichiaratamente motivati dalla volontà di organizzare iniziative per far cessare il massacro nella Striscia di Gaza».
Ora, dopo l’addio di Emiliano e l’arrivo del neo governatore Antonio Decaro, gli sprechi non sarebbero stati eliminati dalle sette società nel mirino, parzialmente o interamente controllate dalla Regione Puglia: Acquedotto spa, InnovaPuglia, Aeroporti di Puglia, Puglia valore immobiliare, Terme di Santa Cesarea, Puglia sviluppo e Aseco. Infatti, secondo il report approdato in giunta regionale nel corso dell’ultima seduta, è stato evidenziato che non c’è stata riduzione di spesa di funzionamento in nessuna di queste, anzi in tre hanno addirittura superato i limiti per consulenze (Puglia sviluppo, Acquedotto e Terme di Santa Cesarea), mentre il dato peggiore è sulle spese di acquisto, manutenzione, noleggio delle auto o di acquisto di buoni taxi. Quattro società non hanno comunicato alcun dato, mentre Aeroporti ha certificato lo sforamento. Nel dettaglio, Acquedotto pugliese, anziché contenere le spese di funzionamento, le ha incrementate di 17 milioni di euro rispetto al 2024. La giustificazione? Il maggior costo del personale «riconducibile al rinnovo del contratto collettivo nazionale», ma pure «l’incremento delle risorse in forza alla società, spese legali, assicurazioni, convegni, pubblicità e marketing, buoni pasto, costi postali non ribaltabili all’utenza nell’ambito della tariffa del Servizio idrico integrato».
Per quanto riguarda le consulenze, invece, Aqp sostiene che, essendo entrati i Comuni nell’assetto societario, nella fase di trasformazione sono stati necessari 639.000 euro per le consulenze.
Aeroporti di Puglia attribuisce l’aumento di spese all’organizzazione del G7, anche se l’incremento dell’8,44%, secondo la società, «è comunque inferiore all’aumento del traffico registrato nel 2024 rispetto al 2023 (+10,51%) e quindi dei ricavi. Spese superate, alla faccia del risparmio, anche per auto e taxi: 120.000 euro in più. Costi lievitati anche per InnovaPuglia, la controllata che si occupa di programmazione strategica a sostegno dell’innovazione: 12 milioni di euro nel 2024 a fronte dei 7 milioni del 2023, passando, in termini percentuali sul valore della produzione, dal 18,21% al 43,68%. Di Aseco, la società in house controllata da Aqp e Ager che si occupa di smaltimento di fanghi e frazione organica dei rifiuti urbani, non si hanno dati aggiornati al punto che è stata sollecitata dalla stessa Regione a comunicarli.
Insomma, secondo la Regione, se aumentano i costi vanno ridotti i servizi poiché il Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica prevede quella di contenere le spese di funzionamento individuando specifici obiettivi di spesa come quelli per il personale e quelli per consulenze, studi e ricerche. E la stessa Regione, che ha potere di vigilanza e di controllo, dove accerta «il mancato e ingiustificato raggiungimento degli obiettivi di contenimento della spesa» può «revocare gli incarichi degli organi di direzione, amministrazione e controllo nominati nelle società». La palla passa a Decaro.
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Inizialmente, la presentazione della strategia della Commissione avrebbe dovuto avvenire mercoledì, ma la lettera di Friedrich Merz del 28 novembre diretta a Ursula von der Leyen ha costretto a ritardare la comunicazione. In quel giorno Merz, appena ottenuto dal Bundestag il via libera alla costosa riforma delle pensioni, si era subito rivolto a Von der Leyen chiedendo modifiche pesanti alle regole sul bando delle auto Ice al 2035. Questa contemporaneità ha reso evidente che il via libera alla richiesta di rilassamento delle regole sulle auto arrivava dalla Spd come contropartita al sì della Cdu alla riforma delle pensioni, come spiegato sulla Verità del 2 dicembre.
Se il contenuto della revisione dovesse essere quello circolato ieri, vorrebbe dire che la posizione tedesca è stata interamente accolta. I punti di cui Bloomberg parla, infatti, sono quelli contenuti nella lettera di Merz.
Non è ancora chiaro quale sarà la quota di veicoli ibridi plug-in e ad autonomia estesa che potranno essere immatricolati dopo il 2035, né se la data del 2040 sarà mantenuta. Anche i dettagli tecnici chiave sugli e-fuel e sui biocarburanti avanzati non ci sono. Resta poi ancora da precisare (da anni) quale metodo sarà utilizzato per il Life cycle assessment (Lca), ovvero i criteri con cui si valutano le emissioni nell’intero ciclo di vita dei veicoli elettrici. Non si tratta di un banale dettaglio tecnico, ma dell’architrave delle nuove regole, da cui dipenderanno tecnologie e modelli in futuro. Un Lca avrebbe già dovuto essere definito entro il 31 dicembre di quest’anno dalla Commissione, ma ancora non si è visto nulla. Contabilizzare l’acciaio green nella produzione di veicoli significa dotarsi di un metodo Lca condiviso, così finalmente si saprà quanto emette davvero un veicolo elettrico (sempre se il Lca è fatto bene).
Qualche giorno fa, sei governi Ue, tra cui quello italiano, affiancato da Polonia, Ungheria, Slovacchia, Bulgaria e Repubblica Ceca, in scia alla Germania, avevano chiesto alla Commissione di proporre un allentamento delle regole sulle auto, consentendo gli ibridi plug-in e le auto con autonomia estesa anche dopo il 2035. In una situazione in cui l’assalto al mercato europeo da parte dei marchi cinesi è appena iniziato, le case del Vecchio continente faticano a tenere il passo. L’incertezza normativa è però anche peggio di una regola fatta male. L’industria europea dell’auto si sta preparando a mantenere in produzione modelli con il motore a scoppio anche dopo il 2035, con la relativa componentistica, ma tutta la filiera, che coinvolge milioni di lavoratori in Europa e fuori, ha bisogno di certezze.
Intanto, l’applicazione al settore auto della norma «made in Europe», che dovrebbe servire a proteggere l’industria europea stabilendo quote minime di componenti fatti al 100% in Europa, è stata rinviata a fine gennaio. La regola, fortemente voluta dalla Francia ma che lascia la Germania fredda, si intreccia con la richiesta di dazi sulle merci cinesi fatta da Macron. Avanti (o indietro) in ordine sparso.
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