2018-05-27
Con tutti questi professori prestati al Palazzo l’università va a ramengo
Il docente premier incaricato dà un pessimo messaggio ai giovani: la ricerca passa in secondo piano se dalla politica arriva un'offerta. Ma così il Paese non può crescere.Nell'Italia del tempo che fu, l'università era considerata un luogo sacro da venerare sempre e comunque. Quando frequentavo Scienze politiche a Torino, eravamo alla metà degli anni Cinquanta, gli allievi dovevano tenere un comportamento da accademia militare. Per citare un esempio solo, guai ad arrivare a lezione con un minuto di ritardo. Il grande Norberto Bobbio, docente di filosofia del diritto, iniziava a parlare alle 9 in punto. Ma prima chiudeva a chiave dall'interno la porta dell'aula, per far capire che gli studenti poco puntuali dovevano rimanere confinati nel corridoio. Anche gli esami di laurea erano cerimonie regolate da norme molto severe. Avevo presentato una tesi sterminata, 600 pagine dedicate alla guerra civile tra Genova e il Po. Un argomento che non doveva piacere per niente al magnifico rettore dell'ateneo torinese, il professor Mario Allara, che presiedeva la commissione. Era un liberale di destra, molto irascibile e si accorse subito che avevo dedicato a una ragazza il mio lavoro monumentale. Allara si rivolse al relatore, Guido Quazza, strillando: «Dedicare la tesi a una ragazza è irrituale!». Gli rispose il controrelatore, Luigi Firpo, un colosso capace di uscite sferzanti: «Magnifico, meglio dedicata a una ragazza che a una puttana!». Irrituale! Oggi mi domando che cosa avrebbe strillato Allara davanti al caso del professor Giuseppe Conte, candidato a diventare il capo del governo in un'Italia capovolta rispetto a quella della mia laurea. Forse il rettore di quegli anni non esclamerebbe nulla, sopraffatto dall'orrore di quanto sta accadendo. Fra le tante anomalie di questa candidatura a Palazzo Chigi, ne intravedo una che non è stata sottolineata nel modo dovuto. Me l'ha fatta notare un giovane laureando in giurisprudenza. Dicendomi: «Il professor Conte ha fatto male ad accettare la proposta di Beppe Grillo, Luigi Di Maio, Matteo Salvini & C. Poiché ha dimostrato che insegnare all'università non conta un cazzo di fronte a una poltronissima che un partito decide di regalarti. Dunque vale la pena di frequentare le lezioni, studiare, prepararsi con serietà agli esami? Penso proprio di no!». Non so dire se in futuro il professor Conte verrà ricordato da qualcuno e come. Ma di certo lui ha preso a calci il futuro di molti ragazzi, inducendoli a pensare che l'università non conta niente e dunque può essere abolita. Nel mondo che si è lasciato alle spalle il sottosviluppo, si dà una grande importanza alle competenze, alle ricerche, allo studio specializzato. In casa nostra, invece, chi comanda ragiona nel modo contrario. E sceglie uno sconosciuto docente universitario nonché avvocato a metà tempo per insediarlo al vertice di un partito e dunque di un governo. Ma anche in questo gioco pericoloso una giustizia esiste. Governare un grande Paese complicato e nei guai come l'Italia non è affare da poco. Mi azzardo a prevedere che, prima o poi, Conte fallirà e sarà costretto a dimettersi. Nello stesso momento dovrà dimettersi pure il vertice dei 5 stelle che ha deciso la sua insensata candidatura. Persino il forzuto Salvini dovrà gettare la spugna. Forse avrà avuto un po' di tempo per imitare un Duce leghista che dà la caccia non agli ebrei, ma agli immigrati o ai rom. E a questo punto non chiedetemi chi governerà l'Italia. Forse l'ombra paziente di Padre Pio, il santo venerato da Conte. Oppure dovremo ritornare alle urne. E mettere in sella un governo per una metà di magistrati e per l'altra metà di militari. Quando la tempesta sarà perfetta, che cosa resterà di questo improbabile premier? Forse soltanto la sua arte prodigiosa nello scrivere dei curriculum. O se vogliamo andare sul latino, dei curricula. Di che si tratta? Sono documenti di nessun valore giuridico che ciascuno di noi può mettere nero su bianco per dimostrare di essere l'inventore della ruota quadrata. O di aver preceduto Cristoforo Colombo nella scoperta dell'America. Sembra che il professor Conte sia un esperto di curriculum. Su richiesta del boss stellato, il furbastro Di Maio, ne ha scritto uno di ben 18 pagine per cantare le lodi di sé stesso. Una quantità sterminata di parole destinate a spiegare al popolo bue di essere un incrocio tra Leonardo da Vinci, Giuseppe Garibaldi e il solito Padre Pio, nella speranza che quest'ultimo abbia un occhio di riguardo per lui, un suo convinto estimatore. Sempre più spesso mi domando che cosa sarà dell'Italia prossima ventura. E scopro di averne paura. Nei miei primi anni Settanta è un sentimento che non ho mai provato. Ho visto nascere l'esercito delle Brigate rosse. E ho sentito come un dovere professionale scriverne senza compiacenza né strizzate d'occhio, come facevano molte sinistre di allora. Quando una banda di imitatori della stella a cinque punte ha ucciso il mio amico Walter Tobagi, ho appreso che la vittima designata ero io. Uno degli editori di Repubblica, Carlo Caracciolo, riuscì a portare in redazione un colonnello dei carabinieri che era diventato il responsabile della sicurezza personale dell'Avvocato, ossia di Gianni Agnelli, il padrone della Fiat. Per una mattinata intera, il mister X interrogò Eugenio Scalfari, Gianni Rocca, il sottoscritto e Franco Magagnini, il redattore capo del quotidiano. Volle conoscere in che modo si svolgevano le nostre giornate, scandite da una serie di va e vieni a ore fisse che non potevano essere cambiate. Poi concluse con una sentenza senza appello: «Signori, mi dispiace dirvelo, ma siete indifendibili!». Era il 1980. Tirammo avanti per altri otto anni, sino all'aprile del 1988, quando le Br assassinarono a Forlì il senatore democristiano Roberto Ruffilli, un galantuomo come pochi. I killer gli entrarono in casa, lo fecero inginocchiare e gli spararono alla testa. Se la memoria non m'inganna, quello fu l'ultimo delitto compiuto dal terrorismo brigatista. Oggi l'Italia è una nazione tutta diversa, ma sempre carica di spine roventi. Talvolta mi chiedo: caro Giampa, perché ti preoccupi di un signore da nulla come il professor Conte? Prima o poi, saranno i suoi sponsor, a cominciare dal generalissimo leghista Salvini, a disfarsene. Con un succedersi di conseguenze che potrebbero essere pericolose. L'unico che può evitarci la burrasca è il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Quando esisteva ancora la Democrazia cristiana, scrissi su di lui un lungo ritratto. Un suo amico di partito mi aveva detto: «Sergio è come una goccia che cade: silenziosa e insistente, può distruggere una lastra d'acciaio». Non credo che il suo carattere sia cambiato. Sarei tentato di dirgli: sbatti fuori dal Quirinale la marmaglia di omuncoli che vogliono importi la loro volontà, sciogli le Camere e riportaci a votare. Ti garantisco che questa volta, come molti altri, non farò l'astenuto e mi presenterò al seggio. Poi vada come vada!