
Wind Tre realizza l'unificazione della rete a Milano e provincia: la velocità dei dati più che raddoppiata. Il prossimo passo sarà il 5G. Stefano Takacs spiega la nuova sinergia infrastrutturale: «Obiettivo migliorare le performance e creare un network di nuova generazione».Dopo Trieste, Agrigento e Bologna, Wind Tre ha realizzato anche a Milano l'unificazione delle reti delle due società. Una vera e propria rivoluzione, che permetterà di migliorare le prestazioni del 4G anche del 250%. A breve, L'unione fa la rete (questo il nome del progetto) sarà operativa anche a Roma, Ascoli Piceno, Alessandria, Bari e Cosenza.«La realizzazione della rete mobile unica a Milano attraverso l'integrazione e la modernizzazione delle reti di Wind e Tre conferma ancora una volta la nostra leadership nel soddisfare le esigenze dei clienti grazie all'innovazione e alla qualità delle nostre infrastrutture», ha detto l'ad Jeffrey Hedberg. «Siamo orgogliosi del traguardo raggiunto nel capoluogo lombardo, che ci consente di realizzare un ulteriore miglioramento della qualità, della velocità di connessione e della copertura della nostra rete mobile. Wind Tre è fortemente impegnata a investire nei prossimi cinque anni 6 miliardi di euro su tutti i customer touchpoints, per continuare a differenziarsi sul mercato. Qualità, valore e customer experience sono le linee guida che, insieme ai nostri partner, ci consentiranno di contribuire all'accelerazione dell'Agenda digitale in Italia». «Questo è un mercato molto competitivo dal punto di vista dei prezzi, basti pensare che nel complesso le bollette si sono dimezzate dal 2004 a oggi», aggiunge Massimo Angelini, direttore pubbliche relazioni del gruppo. «I clienti, però, oggi non si limitano a valutare i costi, ma danno grande importanza alla qualità del servizio, tanto che la competizione si sta spostando su questo campo. Il digitale è il presente, non il futuro: domotica, Internet of things e videosorveglianza sono già nelle nostre case. E per poter usare questi servizi - per non parlare poi del lavoro a distanza - serve una rete veloce, affidabile e in grado di scambiare una grande mole di dati». Massimo Angelini Anche perché siamo solo all'inizio. «Un'altra rivoluzione in atto», prosegue Angelini, «è quella del mobile payment attivo in 62 città italiane, fra cui Milano. Si possono già pagare vari servizi fra cui biglietti dei mezzi pubblici, parcheggi e l'ingresso in Area C usando il cellulare. Il telefonino diventerà il portafoglio del futuro: si potranno addebitare i costi direttamente in bolletta, o scalando il credito telefonico. Il nostro obiettivo è estendere i servizi disponibili. Per esempio, si potrebbero comprare attraverso lo smartphone gli ingressi al cinema, alle mostre o agli eventi culturali. Chissà se un giorno si potranno pagare così anche le multe...». I numeri sono incoraggianti: dal 2012 a oggi Wind Tre ha venduto oltre 10 milioni di biglietti dei mezzi attraverso il mobile ticketing (via sms o con le app MyWind e 3Mobility). Un servizio non solo comodo, ma anche ecologico, che ha permesso di risparmiare circa 10 tonnellate di carta. Ma la versa sfida dei prossimi anni sarà quella del 5G. In questo campo, Wind Tre sta conducendo una sperimentazione all'Aquila e a Prato insieme con Open fiber. «Il 5G apre possibilità incredibili: guida assistita, controllo dei flussi di traffico, sensori in grado di monitorare la stabilità degli edifici in tempo reale, agricoltura 2.0 con l'impiego di droni, telemedicina. In tutti questi campi serve una trasmissione dei dati senza attese, neanche di millisecondi, che solo il 5G assicura. Per questo il prossimo passo sarà realizzare ovunque un'unica rete in fibra integrata, superando la classica distinzione fra reti fisse e mobili», conclude Angelini.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/con-lo-smartphone-si-pagheranno-sempre-piu-servizi-2560644229.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lunione-fra-wind-e-h3g-passo-decisivo-verso-il-5g" data-post-id="2560644229" data-published-at="1760384434" data-use-pagination="False"> L'unione fra Wind e H3G, passo decisivo verso il 5G Aumentare la velocità della rete e preparare il passaggio al 5G è fondamentale per lo sviluppo del Paese. Per questo Wind Tre, dopo l'unione delle due società, ha deciso di unificare anche le reti. Una vera rivoluzione che lunedì 16 aprile è arrivata a Milano. Ma quali sono state le sfide tecnologiche da affrontare? La Verità ne ha parlato con Stefano Takacs, responsabile network engineering di Wind Tre.In cosa consiste l'operazione l'Unione fa la rete?«Dopo l'unione fra Wind e H3G, abbiamo deciso di accorpare anche le reti delle due società, in modo da migliorarne le performance e creare una rete di nuova generazione. Per realizzare l'obiettivo abbiamo aumentato il numero degli impianti trasmissivi del 50% rispetto alle singole reti, sostituito i vecchi apparati radio con altri di nuova generazione, già predisposti per il 5G, e unito le due bande. Abbiamo appena finito i lavori a Milano e presto saremo pronti anche a Roma, Monza, Alessandria, Ascoli Piceno, Bari e Cosenza. Entro la fine dell'anno avremo coperto quasi tutti i capoluoghi e le loro province».Quanto costerà in totale l'operazione?«In generale, Wind Tre ha in programma 6 miliardi di euro in investimenti nelle infrastrutture digitali per i prossimi anni».Cosa cambierà per i clienti?«Avranno una copertura 4G più capillare, soprattutto all'interno delle loro case. Nelle città dove la nuova rete è già operativa la velocità di navigazione oggi è quasi raddoppiata. Il mix di velocità e copertura 4G permette di usare tutti i servizi in tempo reale in ogni parte d'Italia. Il passaggio dalla vecchia alla nuova rete sarà automatico per tutti i clienti, che si accorgeranno subito del miglioramento del servizio».Ci saranno novità anche per le Pmi?«Sì, soprattutto per loro la velocità è una questione fondamentale, visto che per usare alcuni servizi, come gli accessi ai database aziendali da remoto, serve un collegamento continuo molto potente. Abbiamo riscontrato una grande soddisfazione fra i clienti business».Quali sono le città già coperte dal servizio?«Milano è il primo capoluogo così grande. Il nostro processo di consolidamento è stato già realizzato a Trieste, Agrigento e Bologna ed è in fase conclusiva anche in altre importanti città».Tecnicamente come avete proceduto?«Appena abbiamo ottenuto i permessi, abbiamo installato le nuove antenne e i nuovi apparecchi, più efficaci e con un minor consumo energetico. Poi abbiamo accoppiato le bande di Wind e di 3. La nuova rete è già predisposta per il 5G, quindi appena arriveranno le licenze potremo partire».
Daniela Palazzoli, ritratto di Alberto Burri
Scomparsa il 12 ottobre scorso, allieva di Anna Maria Brizio e direttrice di Brera negli anni Ottanta, fu tra le prime a riconoscere nella fotografia un linguaggio artistico maturo. Tra mostre, riviste e didattica, costruì un pensiero critico fondato sul dialogo e sull’intelligenza delle immagini. L’eredità oggi vive anche nel lavoro del figlio Andrea Sirio Ortolani, gallerista e presidente Angamc.
C’è una frase che Daniela Palazzoli amava ripetere: «Una mostra ha un senso che dura nel tempo, che crea adepti, un interesse, un pubblico. Alla base c’è una stima reciproca. Senza quella non esiste una mostra.» È una dichiarazione semplice, ma racchiude l’essenza di un pensiero critico e curatoriale che, dagli anni Sessanta fino ai primi Duemila, ha inciso profondamente nel modo italiano di intendere l’arte.
Scomparsa il 12 ottobre del 2025, storica dell’arte, curatrice, teorica, docente e direttrice dell’Accademia di Brera, Palazzoli è stata una figura-chiave dell’avanguardia critica italiana, capace di dare alla fotografia la dignità di linguaggio artistico autonomo quando ancora era relegata al margine dei musei e delle accademie. Una donna che ha attraversato cinquant’anni di arte contemporanea costruendo ponti tra discipline, artisti, generazioni, in un continuo esercizio di intelligenza e di visione.
Le origini: l’arte come destino di famiglia
Nata a Milano nel 1940, Daniela Palazzoli cresce in un ambiente dove l’arte non è un accidente, ma un linguaggio quotidiano. Suo padre, Peppino Palazzoli, fondatore nel 1957 della Galleria Blu, è uno dei galleristi che più precocemente hanno colto la portata delle avanguardie storiche e del nuovo informale. Da lui eredita la convinzione che l’arte debba essere una forma di pensiero, non di consumo.
Negli anni Cinquanta e Sessanta Milano è un laboratorio di idee. Palazzoli studia Storia dell’arte all’Università degli Studi di Milano con Anna Maria Brizio, allieva di Lionello Venturi, e si laurea su un tema che già rivela la direzione del suo sguardo: il Bauhaus, e il modo in cui la scuola tedesca ha unito arte, design e vita quotidiana. «Mi sembrava un’idea meravigliosa senza rinunciare all’arte», ricordava in un’intervista a Giorgina Bertolino per gli Amici Torinesi dell’Arte Contemporanea.
A ventun anni parte per la Germania per completare le ricerche, si confronta con Walter Gropius (che le scrive cinque lettere personali) e, tornata in Italia, viene notata da Vittorio Gregotti ed Ernesto Rogers, che la invitano a insegnare alla Facoltà di Architettura. A ventitré anni è già docente di Storia dell’Arte, prima donna in un ambiente dominato dagli uomini.
Gli anni torinesi e l’invenzione della mostra come linguaggio
Torino è il primo teatro della sua azione. Nel 1967 cura “Con temp l’azione”, una mostra che coinvolge tre gallerie — Il Punto, Christian Stein, Sperone — e che riunisce artisti come Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Mario Merz, Michelangelo Pistoletto, Gilberto Zorio. Una generazione che di lì a poco sarebbe stata definita “Arte Povera”.
Quella mostra è una dichiarazione di metodo: Palazzoli non si limita a selezionare opere, ma costruisce relazioni. «Si tratta di individuare gli interlocutori migliori, di convincerli a condividere la tua idea, di renderli complici», dirà più tardi. Con temp l’azione è l’inizio di un modo nuovo di intendere la curatela: non come organizzazione, ma come scrittura di un pensiero condiviso.
Nel 1973 realizza “Combattimento per un’immagine” al Palazzo Reale di Torino, un progetto che segna una svolta nel dibattito sulla fotografia. Accanto a Luigi Carluccio, Palazzoli costruisce un percorso che intreccia Man Ray, Duchamp e la fotografia d’autore, rivendicando per il medium una pari dignità artistica. È in quell’occasione che scrive: «La fotografia è nata adulta», una definizione destinata a diventare emblematica.
L’intelligenza delle immagini
Negli anni Settanta, Palazzoli si muove tra Milano e Torino, tra la curatela e la teoria. Fonda la rivista “BIT” (1967-68), che nel giro di pochi numeri raccoglie attorno a sé voci decisive — tra cui Germano Celant, Tommaso Trini, Gianni Diacono — diventando un laboratorio critico dell’Italia post-1968.
Nel 1972 cura la mostra “I denti del drago” e partecipa alla 36ª Biennale di Venezia, nella sezione Il libro come luogo di ricerca, accanto a Renato Barilli. È una stagione in cui il concetto di opera si allarga al libro, alla rivista, al linguaggio. «Ho sempre pensato che la mostra dovesse essere una forma di comunicazione autonoma», spiegava nel 2007 in Arte e Critica.
La sua riflessione sull’immagine — sviluppata nei volumi Fotografia, cinema, videotape (1976) e Il corpo scoperto. Il nudo in fotografia (1988) — è uno dei primi tentativi italiani di analizzare la fotografia come linguaggio del contemporaneo, non come disciplina ancillare.
Brera e l’impegno pedagogico
Negli anni Ottanta Palazzoli approda all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove sarà direttrice dal 1987 al 1992. Introduce un approccio didattico aperto, interdisciplinare, convinta che il compito dell’Accademia non sia formare artisti, ma cittadini consapevoli della funzione dell’immagine nel mondo. In quegli anni l’arte italiana vive la transizione verso la postmodernità: lei ne accompagna i mutamenti con una lucidità mai dogmatica.
Brera, per Palazzoli, è una palestra civile. Nelle sue aule si discute di semiotica, fotografia, comunicazione visiva. È in questo contesto che molti futuri curatori e critici — oggi figure di rilievo nelle istituzioni italiane — trovano nella sua lezione un modello di rigore e libertà.
Il sentimento del Duemila
Dalla fine degli anni Novanta al nuovo secolo, Palazzoli continua a curare mostre di grande respiro: “Il sentimento del 2000. Arte e foto 1960-2000” (Triennale di Milano, 1999), “La Cina. Prospettive d’arte contemporanea” (2005), “India. Arte oggi” (2007). Il suo sguardo si sposta verso Oriente, cogliendo i segni di un mondo globalizzato dove la fotografia diventa linguaggio planetario.
«Mi sono spostata, ho viaggiato e non solo dal punto di vista fisico», diceva. «Sono un viaggiatore e non un turista.» Una definizione che è quasi un manifesto: l’idea del curatore come esploratore di linguaggi e di culture, più che come amministratore dell’esistente.
Il suo ultimo progetto, “Photosequences” (2018), è un omaggio all’immagine in movimento, al rapporto tra sequenza, memoria e percezione.
Pensiero e eredità
Daniela Palazzoli ha lasciato un segno profondo non solo come curatrice, ma come pensatrice dell’arte. Nei suoi scritti e nelle interviste torna spesso il tema della mostra come forma autonoma di comunicazione: non semplice contenitore, ma linguaggio.
«La comprensione dell’arte», scriveva nel 1973 su Data, «nasce solo dalla partecipazione ai suoi problemi e dalla critica ai suoi linguaggi. Essa si fonda su un dialogo personale e sociale che per esistere ha bisogno di strutture che funzionino nella quotidianità e incidano nella vita dei cittadini.»
Era questa la sua idea di critica: un’arte civile, capace di rendere l’arte parte della vita.
L’eredità di una visione
Oggi il suo nome è legato non solo alle mostre e ai saggi, ma anche al Fondo Daniela Palazzoli, custodito allo IUAV di Venezia, che raccoglie oltre 1.500 volumi e documenti di lavoro. Un archivio che restituisce mezzo secolo di riflessione sulla fotografia, sul ruolo dell’immagine nella società, sul legame tra arte e comunicazione.
Ma la sua eredità più viva è forse quella raccolta dal figlio Andrea Sirio Ortolani, gallerista e fondatore di Osart Gallery, che dal 2008 rappresenta uno dei punti di riferimento per la ricerca artistica contemporanea in Italia. Presidente dell’ANGAMC (Associazione Nazionale Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea) dal 2022 , Ortolani prosegue, con spirito diverso ma affine, quella tensione tra sperimentazione e responsabilità che ha animato il percorso della madre.
Conclusione: l’intelligenza come pratica
Nel ricordarla, colpisce la coerenza discreta della sua traiettoria. Palazzoli ha attraversato decenni di trasformazioni mantenendo una postura rara: quella di chi sa pensare senza gridare, di chi considera l’arte un luogo di ricerca e non di potere.
Ha dato spazio a linguaggi considerati “minori”, ha anticipato riflessioni oggi centrali sulla fotografia, sul digitale, sull’immagine come costruzione di senso collettivo. In un paese spesso restio a riconoscere le sue pioniere, Daniela Palazzoli ha aperto strade, lasciando dietro di sé una lezione di metodo e di libertà.
La sua figura rimane come una bussola silenziosa: nel tempo delle immagini totali, lei ci ha insegnato che guardare non basta — bisogna vedere, e vedere è sempre un atto di pensiero.
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