2019-10-02
Con la flat tax schifata dal Conte bis l’Ungheria cresce 4 volte la media Ue
Il Paese di Viktor Orbán ha fatto segnare un +5,2% di Pil con un tasso di disoccupazione ai minimi storici. Merito della tassa piatta al 15% sulle persone e al 9% sulle aziende. E gli imprenditori esteri fanno la fila per investire.A sentire uomini e donne d'affari riuniti a convegno, ieri, a Budapest, non si direbbe che l'Ungheria sia quell'autocrazia estremista che dipingono i media nostrani. Ci tiene a sottolinearlo il ministro degli Esteri, Péter Szijjarto, che in apertura della conferenza Inspiring Hungary, ampia rassegna sui pregi e le opportunità dell'economia ungherese, prende di petto le accuse di fascismo rivolte al Paese guidato da Viktor Orbán: «Dire che l'Ungheria è una dittatura significa offendere il popolo ungherese. Significa considerarlo non abbastanza maturo da decidere autonomamente il proprio destino». Quel destino che, ormai da 9 anni a questa parte, le elezioni consegnano con maggioranze schiaccianti a Fidesz, il partito nazionalista del premier.La forza del Paese? La spiegano lo stesso Szijjarto (che ha voluto trasformare il dicastero degli Esteri in una sorta di gabinetto per il commercio internazionale) e il ministro delle Finanze e vicepremier, Mihaly Varga. Esponenti di una compagine che nel 2010 ereditò un Paese con il bilancio in dissesto, la disoccupazione alle stelle, 1,8 milioni di contribuenti su una popolazione di 10 milioni. Poi è arrivata una magia chiamata flat tax. Al 15% sulle persone fisiche e al 9% sulle imprese. E, ha assicurato Varga, dal 2020 arriverà a un simbolico 1% sulle piccole aziende. Il risultato? Una crescita che nel secondo trimestre del 2019 ha raggiunto il 5,2%, quattro volte la media Ue. E a chi dice che gli ungheresi sono furbetti, perché prendono un sacco di fondi da Bruxelles (soldi che, comunque, sanno investire bene) ma poi non stanno alle regole, perché rifiutano le quote migranti, rispondono le statistiche del ministro dell'Economia: a quel +5,2%, i finanziamenti comunitari hanno contributo, a suo avviso, solo per lo 0,2%. Intanto, i salari crescono: a luglio, +10,7% su base annua. La disoccupazione sembra quella dell'America di Donald Trump: 3,40%. I taxpayer sono diventati 4 milioni e mezzo. E oggi il ministro Varga può dichiarare con orgoglio: «L'era della manodopera a basso costo è finita».Ma come dimenticare le politiche familiari? Il progetto di Varga, secondo il quale la demografia deve costituire il centro delle politiche pubbliche, è di mettere a disposizione delle famiglie 7 miliardi di euro nel 2020, circa 700 milioni in più rispetto ai benefit di cui esse già godono. Altro che importare immigrati perché fanno più figli.Eppure, quello che arriva da noi dell'Ungheria è soltanto una lontana eco del successo economico che ha reso il Paese un polo attrattivo per gli investimenti esteri. In Italia, che ha abortito la flat tax, responsabile del boom magiaro ma dai giallorossi liquidata come regressiva e iniqua, si parla solamente del terribile Orbán, che vuole silenziare i giornalisti e tenere al guinzaglio la magistratura. Fatto sta che l'ambiente business friendly del l'evento di Budapest e i membri dell'esecutivo che vi hanno preso parte non avevano le sembianze del regime sciovinista che sono state cucite addosso all'Ungheria di Orbán. Si direbbe persino che la nazione ammicchi al «turbocapitalismo»: tra i relatori c'erano esponenti di multinazionali come il fondo Blackrock e la Nestlé. Da una dittatura, d'altronde, in genere si fugge (e chi ha vissuto sotto quella sovietica se lo ricorda bene). In questo Paese, invece, l'ultimo anno il numero di cittadini rientrati per lavorare è stato superiore rispetto a quello dei cittadini che hanno preferito emigrare. Più che fascista, il governo magiaro sembra molto pragmatico.L'Ungheria sembra davvero capace di dialogare con tutti. Proprio la qualità che ha riconosciuto al Paese l'ex presidente francese, Nicolas Sarkozy, sul palco con l'ex premier spagnolo José Maria Aznar, nell'ultimo panel della giornata. Quello che fu il carnefice politico di Silvio Berlusconi si è invece profuso in lodi sperticate di Orbán: un «mio grande amico», l'ha definito, oltre che un vero leader - «e oggi ce ne sono pochi», ha aggiunto. Chissà se si riferiva a Emmanuel Marcon. Gli ha fatto eco Aznar: «Orbán», che non ha presenziato al convegno perché ancora a Parigi dopo i funerali di Jacques Chirac, «può piacere o non piacere, ma è un leader. La forza dei popoli dell'Europa centrale è questa: che credono in qualcosa. I valori, nel prossimo futuro, saranno sempre più importanti. Invece noi, in Europa occidentale, non crediamo più in niente». Curioso che l'ex primo ministro iberico, tra i costruttori dell'euro, abbia poi ammesso che la moneta unica è come «una sala senza tetto: quando piove, non ci sono protezioni». I sovranisti italiani hanno qualcosa da imparare da Fidesz e dal suo leader. Certo, Orbán è duro sull'immigrazione, critico con Bruxelles, ma apparentemente il suo esecutivo è anche capace di costruire network, persino con politici e imprenditori le cui credenziali pro Ue sono inattaccabili. Relazioni che forse, alla classe dirigente della destra italiana, ancora mancano, o sono troppo confuse. Per intenderci: ieri, a Budapest, ci avremmo visto benissimo Giancarlo Giorgetti...
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