
La farmacista Monica Mazzoleni ideatrice delle creme Stemage: «L'estratto ha un effetto rigenerante fantastico sulla pelle. E i prodotti sono accessibili a tutti»Nessuno fa miracoli ma ci si prova. E quando si trattano temi come l'invecchiamento nessuno grida al giubilo. Stando con i piedi per terra, ci possono essere aiuti più che validi, usciti non dalle favole ma dalla concretezza degli studi. È il caso di Stemage, la nuovissima linea di creme antiage che arriva sul mercato all'insegna del «la tua pelle cambia, cambia la tua pelle». Grazie a Aurora Biosearch (società biotech che da anni fa ricerca nel campo dell'epigenetica e della system biology per trovare soluzioni innovative in dermatologia, neurologia e oncologia) che la produce, Stemage vanta ricerche approfondite in medicina rigenerativa, incentrate sullo studio delle proprietà di quelle sostanze che in natura guidano la formazione e la nascita della vita. Ne parliamo con Monica Mazzoleni, farmacista ricercatrice e socia di Aurora Biosearch di cui segue produzione, ricerca formulazione e sviluppo, materie prime nuove, prodotti nuovi.Per la precisione, lei è farmacista formulatore, cosa significa?«Mi sono laureata in Farmacia all'università di Pavia, ho lavorato in farmacia ma sempre con la passione di capire come funzionano i prodotti, come sono fatti, cosa c'è dietro. Allora dalla farmacia sono passata all'azienda per toccare con mano quanto c'è di marketing, quanto di scienza e vedere davvero come erano fatti. Lì ho iniziato a formulare. Per questo sono diventata un formulatore. Spesso i ricercatori sono chiusi nel loro mondo, non hanno contatto con il mercato e con il bisogno delle persone. Lavorando in farmacia e stando con la gente, per me è diventa più facile capire le necessità dei clienti. È come se facessi da intermediario tra la ricerca pura e il formulare cose che abbiano un senso e possano soddisfare le persone. Questo è una vera passione». Perché ha iniziato a occuparsi di cosmesi?«Basti pensare che la cute è l'organo più grande del nostro organismo e qualsiasi agente esterno trova come barriera la pelle. Ciò riveste una importanza fondamentale per noi ricercatori». Stemage è una linea particolare, come ci è arrivata?«Per caso. Stavamo facendo ricerche sulla medicina rigenerativa, si parlava in particolare di rigenerazione tessutale. Venivano prelevate le staminali dall'adipe del paziente con le quali si voleva raggiungere un altro obiettivo ma, strada facendo, abbiamo visto che le staminali quando venivano tolte invecchiavano subito ed era difficile lavorare con questo tipo di cellule. Da qui, con questo nostro estratto di caviale bianco di Zebrafish (White Caviar) abbiamo visto che dentro all'uovo ci sono dei peptidi che guidano lo sviluppo di queste cellule e che le fanno stare bene. Facendo questi esperimenti si sono accorti che le staminali non invecchiavano più come prima, rimanevano giovani e avevano un ricambio fisiologico normale». Da lì l'idea delle creme, quindi? «Questo estratto ha un effetto antiage molto potente. Abbiamo fatto prove in vitro prendendo l'estratto e inserendo i cheratinociti, le cellule della cute, constatando che già in 24 ore c'era un bell'effetto sulla vitalità di queste cellule che stavano benissimo. Spesso, quando si lavora sulla cellula si corre il rischio di stressarla fino a un decadimento non più recuperabile. In modo fisiologico ciò non è accaduto». Una scoperta che ha dato il là a iniziare. «Abbiamo formulato tutto quello che può esserci in una crema antiage a seconda della parte di applicazione: una cosa è il contorno occhi, un'altra è il viso o il corpo. Formulazioni diverse ma in tutte è sempre presente il caviale bianco di Zebrafish con questo effetto anti age, rigenerante fantastico. Lo studio clinico è stato fatto all'Istituto Derming di bioingegneria della cute dalla dottoressa Sparavigna su un certo numero di donne. Dopo un mese c'è stato un notevole miglioramento con una riduzione del 40% dell'indice di invecchiamento cellulare». Per capirci meglio?«I dermatologi controllano normalmente secondo 9 parametri. Una sorpresa è stata l'omogeneità della pigmentazione che non vuol dire che tolgo le macchie perché non è un prodotto antimacchia ma significa che va a uniformare l'incarnato che è già un bel risultato. Tutti i nove parametri sono migliorati, di solito ne migliorano uno o due. Siamo rimasti molto contenti dopo questi risultati. La prima cavia sono io». In pratica, il contenuto principale è il caviale bianco. Quali altri ingredienti?«La crema viso contiene oligoelementi, vitamina E, olio di Jojoba, olio di enotera, fior di loto, luppolo, guaranà, cacao, theobroma, tutte composizioni molto ricche. È una crema 24 ore, la si può mettere sia la mattina che la sera ed è anche un ottima base per il trucco perché non è unta». Gli altri prodotti?«Il siero viso è l'ultimo che ho formulato e l'ultimo è sempre il bambino cui si tiene di più, forse. Di questo sono particolarmente orgogliosa perché ci ho messo dentro il mondo. Dal ribosio che è uno zucchero ottenuto dal mais, e dà più energia alla cellula, all'esapeptide 8 per una azione botox-simile agendo sui muscoli mimici e aiutando a rilassare il muscolo. Questo consente alla riga della ruga di essere meno evidente. Poi estratto di bambù, un complesso tensore con funzione un po' liftante e acido ialuronico». Il siero viso è una manna dal cielo, insomma. Qual è il suo consiglio per stendere al meglio le varie creme?«Prima il contorno occhi, poi il siero e a seguire la crema. E ci si può truccare normalmente». Crema corpo ? «Non mi piacciono le creme unte e quindi questa non lo è. Fastidiosissimo infilarsi, a esempio, le calze. Con questa crema non succede e rimane la pelle idratata fino a sera. E anche qui, White caviar e Roe Extract». Dove si trova questa linea di creme?«Al momento sono solo sul sito Stemage.it. Poi vedremo in un secondo momento. È stata una scelta la sola vendita on line perché volevamo che fosse accessibile a tutti. In più ci consente di tenere i prezzi più bassi avendo meno spese. E per una nuova giovinezza della pelle, conviene».
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Fu il primo azzurro a conquistare uno Slam, al Roland Garros del 1959. Poi nel 1976, da capitano non giocatore, guidò il team con Bertolucci e Panatta che ci regalò la Davis. Il babbo era in prigionia a Tunisi, ma aveva un campo: da bimbo scoprì così il gioco.
La leggenda dei gesti bianchi. Il patriarca del tennis. Il primo italiano a vincere uno slam, il Roland Garros di Parigi nel 1959, bissato l’anno dopo. Se n’è andato con il suo carisma, la sua ironia e la sua autostima Nicola Pietrangeli: aveva 92 anni. Da capitano non giocatore guidò la spedizione in Cile di Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli che nel 1976 ci regalò la prima storica Coppa Davis. Oltre a Parigi, vinse due volte gli Internazionali di Roma e tre volte il torneo di Montecarlo. In totale, conquistò 67 titoli, issandosi al terzo posto della classifica mondiale (all’epoca i calcoli erano piuttosto artigianali). Nessuno potrà togliergli il record di partecipazioni (164, tra singolo e doppio) e vittorie (120) in Coppa Davis perché oggi si disputano molti meno match.
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Il presidente Gianni Tessari: «Abbiamo creato una nuova Doc per valorizzare meglio il territorio. Avremo due etichette, una per i vini rifermentati in autoclave e l’altra per quelli prodotti con metodo classico».
Si è tenuto la settimana scorsa all’Hotel Crowne Plaza di Verona Durello & Friends, la manifestazione, giunta alla sua 23esima edizione, organizzata dal Consorzio di Tutela Vini Lessini Durello, nato giusto 25 anni fa, nel novembre del 2000, per valorizzare le denominazioni da esso gestite insieme con altri vini amici. L’area di pertinenza del Consorzio è di circa 600 ettari, vitati a uva Durella, distribuiti sulla fascia pedemontana dei suggestivi monti della Lessinia, tra Verona e Vicenza, in Veneto; attualmente, le aziende associate al Consorzio di tutela sono 34.
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
Un mio profilo è stato cancellato quando ho pubblicato dati sanitari sulle pratiche omoerotiche. Un altro è stato bloccato in pandemia e poi eliminato su richiesta dei pro Pal. Ne ho aperto un terzo: parlerò dei miei libri. E, tramite loro, dell’attualità.
Se qualcosa è gratis, il prodotto siamo noi. Facebook è gratis, come Greta è pro Lgbt, pro vax, anzi anti no vax, e pro Pal. Se sgarri, ti abbatte. Il mio primo profilo Facebook con centinaia di migliaia di follower è stato cancellato qualche anno fa, da un giorno all’altro: avevo riportato le statistiche sanitarie delle persone a comportamento omoerotico, erroneamente chiamate omosessuali (la sessualità è una funzione biologica possibile solo tra un maschio e una femmina). In particolare avevo riportato le statistiche sanitarie dei maschi cosiddetti «passivi».






