2024-12-21
La Commissione Ue apre a una revisione sull’auto ma dà lo stop al nucleare
Grazie all’Italia sostenuta da 15 Paesi parte l’iter di modifica ai paletti sulla CO2. Spunta però la volontà di spingere su guida autonoma e uso intensivo di dati e Ia.Tante strette di mano e promesse nella direzione giusta. Il governo Meloni, con il sostegno di diretto e indiretto di altri 15 Paesi, ottiene l’avvio della revisione dei parametri stringenti sulle emissioni di CO2. Parametri che - vale la pena ripetere ogni volta - comporterebbero 15 miliardi di multe per le case produttrici oppure lo stop alla produzione di 2 milioni di veicoli. Cifra che a spanne equivale a otto siti produttivi. Ieri, in occasione del Consiglio, Ursula von der Leyen ribadisce l’intento di avviare nel primo trimestre dell’anno nuovo un percorso di incontri con i rappresentanti dell’industria per sistemare le problematiche nel breve termine. Al momento nessun accenno alla volontà di rivedere la questione più calda: lo stop alla produzione dei motori termici previsto per il 2035. Al di là di questo scoglio fondamentale e nonostante il cambio di linea mostrato l’altro ieri da Olaf Scholz, appare un po’ prematuro poter stappare una bottiglia di buon vino per celebrare l’inversione a U rispetto al modello di transizione elettrica. Se andiamo a spulciare il documento reso pubblico dalla Commissione emergono alcuni aspetti sui quali c’è da vigilare con attenzione. I cinque punti alla base dell’iter trimestrale recitano ancora una propensione eccessiva alla decarbonizzazione e una revisione delle piattaforme finanziarie (scelta invece opportuna). Spunta la volontà di rivedere le norme e le regole burocratiche imposte al settore auto. Paragrafo alquanto buffo visto che le medesime regole sono frutto del lavoro della precedente Commissione presieduta sempre dalla Von der Leyen.Spunta anche la volontà di spingere il piede sull’acceleratore della guida autonoma dei veicoli e dell’uso intensivo dei dati e dell’Intelligenza artificiale. E qui ritorniamo al grande progetto di trasformare la vita digitale dei cittadini europei. Lo scorso anno l’associazione Ue degli assicuratori aveva scritto proprio alla Von der Leyen per chiedere di accedere al monte dati gestito dai produttori di auto. Una data base che consentirà la tracciabilità di tutti i nostri movimenti. Già oggi (l’obiettivo è arrivare al 100%) un’auto su due che esce dai concessionari è connessa alla rete e unendo sensori, radar, telecamere, Gps e connessione può essere «informata» o se usata male «invasiva» come e più di un telefonino o di un pc. Non ha dubbi Andrea Amico fondatore di una società e della app Privacy4cars dedicata alla tutela dei dati a bordo delle auto che ha dichiarato qualche mese fa alla Nbc: «Dire che l’auto è un telefonino su ruote è riduttivo, ha sensori, telecamere, Gps e accelerometri, le auto sapranno anche quanto pesa chi guida, le persone non si stanno rendendo conto di quanto sta accadendo». Inoltre sui sistemi multimediali via bluetooth o connessione diretta transitano email, messaggi, telefonate dei passeggeri, aggiungiamo noi. Nel 2025 le auto connesse online saranno 250 milioni, di queste il 10% addirittura con il 5G. Ciascuna di esse, tanto per avere un’idea, genera per ogni ora di funzionamento 25 giga di dati. Rimane quindi il fatto che telecamere, microfoni e sensori possono «registrare» molte cose più o meno importanti, sensibili, riservate, lecite o illecite. Come, ad esempio capire interagendo con il navigatore e sensori anche dove, come e quando si utilizza abitualmente l’auto. Serve per fare la manutenzione predittiva alla rete di assistenza, ma si potrebbe anche capire se sono stati rispettati i limiti di velocità e il dato potrebbe interessare ad aziende e investigatori, nel caso di dipendenti infedeli, piuttosto che all’autorità giudiziaria per indagini. L’altro lato della medaglia è però il controllo totale digitale. L’auto elettrica lo favorisce per definizione. Il fatto che la Commissione metta la digitalizzazione in agenda anche per l’auto a motore termico non è dunque un fatto casuale. Ma significa anche la strategia della Commissione mira a mantenere intatte, almeno nel complesso, le direttive della precedente legislatura. E lo si capisce anche dall’approccio alle fonti di energia che non sono inserite nel perimetro delle rinnovabili. Un caso su tutti, il nucleare. La vicepresidente esecutiva, la socialista Teresa Ribera ha ordinato l’apertura di un fascicolo sul progetto della centrale nucleare di Lubiatowo-Kopalino, nel nord della Polonia. Il progetto polacco, annunciato nel 2022, prevede che il primo reattore, un Westinghouse AP1000, sia collegato alla rete elettrica nel 2033. La Commissione ha aperto un’indagine sui sussidi di Stato destinati alla sua costruzione e al suo funzionamento, poiché la Direzione Generale della Concorrenza li considera eccessivi. Tre considerazioni. La prima è che l’antitrust europeo si conferma una clava politica da usare ai fini politici o ideologici. La seconda è che destinare fondi al di fuori degli schemi previsti dall’Ue rimane radioattivo. Terza considerazione più tecnica. Il Westinghouse è un reattore di terza generazione. al momento la tipologia più avanzata in circolazione. Ciò che la newco da poco fondata in Italia sta studiando ai fini di una applicazione lungo la Penisola. L’intervento a gamba tesa in Polonia è un campanello di allarme anche per l’Italia che però non può più prescindere dalla tecnologia dell’atomo se vuole tenere in piedi l’industria.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)