
Oggi sugli scaffali dei supermercati, oltre alla solita 00, si trovano mille alternative. Ecco una guida per orientarsi e scegliere in base al gusto e alle caratteristiche.Specchio specchio delle mie brame, qual è la farina più sana del reame? Trattasi di vera super domanda, perché le opzioni disponibili sono infinite: farine di legumi (mai usate in Italia, a parte quella di ceci per la farinata); farine di grani cosiddetti antichi resuscitati e divenuti di gran moda; farine di grano classiche ma con caratteristiche tutte contemporanee. È farina caos e il consumatore non si raccapezza più. Prima del luna park farinaceo odierno nel quale si rischia di perdersi, la scelta era semplice: grano duro per la pasta, grano tenero per panificazione e resto, con rare eccezioni. Ma oggi, negli scaffali dei supermercati troviamo anche paste di grano duro integrale, biologico o entrambe, paste di grani antichi, di riso, di mais, di farine di legumi, anch'esse in versione integrale, bio o tutt'e due. Quale scegliere?Si dice che le farine di grani antichi siano adatte a celiaci, intolleranti e sensibili al glutine. La verità è che producono glutine, il quale però può (ripetiamo può) risultare più tollerabile almeno per i sensibili al glutine. L'inizio del secolo scorso venne caratterizzato da manipolazioni e incroci atti a rendere il grano più resistente e produttivo. Ormai leggendaria è l'attività del genetista Nazzareno Strampelli, padre del grano Senatore Cappelli (oggi chiamato antico), poi sottoposto (non da lui) a radiazioni ionizzanti che lo trasmutarono in vari grani attuali come il Creso. Secondo molti, furono queste successive manipolazioni a creare una minore digeribilità del grano e una reazione di massa al glutine, motivo per cui i cosiddetti «grani antichi» sarebbero garanti di salubrità e nutrizione «come una volta». L'exploit dell'integrale, del bio e dei grani antichi domina anche nella panificazione, benedetto da amatori d'eccezione che, naturalmente, fanno tendenza e proseliti. Il romano Gabriele Bonci, re della pizza al taglio in teglia romanesca, predilige il farro: «Io uso solo farro (Triticum spelta) italiano, biologico, senza nessuna aggiunta di glutine e altri miglioratori. Il farro è una varietà di grano antica. Fu il primo frumento a essere panificato e nei secoli, visto che era più difficile da coltivare e aveva una resa molto inferiore, venne soppiantato dal grano tenero (discendente dal farro grande) e dal grano duro (discendente dal farro medio)», scrive ne Il gioco della pizza. Prima di lui, Angelo Iezzi - erano gli anni Novanta - rivoluzionò la pizza al taglio romana. Con Iezzi fa il suo ingresso nella panificazione anche la farina di legumi, nello specifico quella di soia, inserita in piccola percentuale nell'impasto. Altro importante punto di riferimento è il nordico Davide Longoni, similmente ostile alle farine raffinate, che ha esplicitamente condannato parlando di «dittatura della farina bianca, di grano tenero, 0 o 00», nata perché «per cancellare la memoria storica della povertà, e soprattutto della fame, si cercavano solo farine americane abbandonando le farine scure che avevano sempre caratterizzato la nostra penisola». La guerra tra farine e, di conseguenza, coltivatori e mulini, chef e consumatori, medici e divulgatori, si svolge proprio su questo fronte. Da una parte, c'è il partito che considera la «farina post Cappelli, bianca, raffinata e non bio» una «farina morta» e «un veleno». Secondo questa fazione, la soluzione consiste nell'usare solo farine semi e integrali di grani antichi, più costose perché più sane. Poi c'è il partito opposto, composto da chi accusa i fan delle farine integrali di avere un interesse economico nel creare la nicchia delle «farine alternative» in un mercato di babbei ossessionati dal salutismo e dal cibo «sano» contro quello «killer».Eclatante, a proposito di disinformazione, è il caso del kamut. Molti credono che quello sia il vero nome del cereale, ma si tratta di grano khorasan brevettato con quel marchio da una multinazionale americana dedita al biologico. In realtà, nel dopoguerra, farro e grano khorasan avevano lasciato da un bel pezzo il posto a grano tenero e grano duro e la farina non si comprava all'ipermercato. Gli appartenenti ad una società ancora prettamente contadina portavano il grano a molire direttamente al mulino. Veniva macinato l'intero chicco: la crusca, che è la parte esterna (contiene fibre, sali minerali, vitamine); l'endosperma, la parte interna (quasi totalità di carboidrati, un po' di proteine, vitamine, sali minerali; il germe, l'embrione del seme (contiene grassi insaturi, vitamine importanti come quelle del gruppo B e la E, che si usa per realizzare l'olio di germe di grano cosmetico e alimentare). Quando quella farina macinata integrale si doveva impastare, si setacciava con un primo setaccio dalla trama grande che tratteneva la crusca, poi con un secondo, di trama minore, sul quale restava il cruschello. La farina setacciata era chiamata fior di farina. Si poteva fare anche al mulino, col buratto: inventato già all'inizio del Novecento, setacciava la farina in una sola passata meccanica che rilasciava prima il fiore, poi il cruschello, infine la crusca. Oggi, la farina burattata è identificata come 1 o 2 (quest'ultima è anche chiamata semintegrale). La 1 ha una granulometria minore rispetto alla 2 ed è il prodotto di punta, insieme alla farina integrale (da chicco macinato intero e non abburrattata), dei mulini che si propongono come l'alternativa sana a quelli a cilindri. Vulgata vuole che il mulino a pietra non scaldi la farina e quindi non sciupi le parti oleose di germe, mentre quello a cilindri sì. Dunque anche con quest'ultimo si dovrebbero separare crusca e germe prima della molitura del solo endosperma, dando luogo a farine di quasi soli amidi che i detrattori definiscono morte (mentre le integrali sarebbero vive). Certo è che queste farine sono più rustiche e presentano una nutrizionalità di maggior spettro. Ma anche il mulino a pietra naturale e il mulino a pietra artificiale scaldano, obiettano i molitori industriali. Questi ultimi condannano anche l'induzione del consumatore a credere che la farina integrale sia il chicco macinato per intero e così impacchettato e venduto. La legge italiana stabilisce un quantitativo massimo percentuale di ceneri, che in una farina integrale impacchettata appena macinata sarebbe superiore. Quindi anche la farina integrale macinata a pietra eccetera va «raffinata» di una parte di ceneri. I mulini industriali, poi, accusano quelli «come una volta» di vendere farine potenzialmente sporche e quindi insalubri. La pulitura del grano serve a togliere polvere, insetti, terra, pietre, chicchi rotti, muffiti (pericolo micotossine) prima della macinazione e, sostengono i difensori dei prodotti industriali, abburrattare senza aver pulito il grano non è la stessa cosa perché si corre il rischio di vendere un grano impuro. Dall'altro versante rispondono che i mulini a pietra seri effettuano eccome la pulitura tramite spazzolatrici, separatori a selezione ottica e così via (eliminare il ciuffo, per esempio, è importantissimo). In effetti, molti mulini tradizionalisti informano di questi procedimenti anche i propri clienti illustrando tutte le fasi di lavorazione e le analisi micro-biologiche e chimico-fisiche del prodotto venduto. Le micotossine, poi, possono svilupparsi anche nei cereali raffinati da agricoltura convenzionale. Altra questione importante è quella della lievitazione. Una farina 00 lieviterà con la facilità con cui si espande una bolla di sapone soffiandoci dentro, quella 0 già meno, quelle abburrattate, semintegrali o integrali no, ed è giusto saperlo per non portare in tavola un ciambellone alto come una piadina.È anche vero che le farine semi e completamente integrali non sono per tutti gli stomaci e intestini. Se si soffre di diverticolosi, per esempio, votarsi all'integrale non è affatto opportuno. Certo è che una farina biologica, anche 0 e 00, garantisce che i pesticidi di sintesi in uso nell'agricoltura convenzionale (come il discusso glifosato) non siano presenti. Quanto ai grani antichi, se è vero che Senatore Cappelli, Verna, Gentilrosso, Timilìa, Perciasacchi, Carosella, Rieti e chi più ne ha più ne metta sono precedenti ai grani fortemente ottimizzati per la produzione industriale, è anche vero che far credere al consumatore che si stia nutrendo come se vivesse all'epoca dei Babilonesi non è corretto. Così come, da parte dell'industria, non è simpatico spacciare per farina macinata integrale una farina 00 cui sia stato reinserito soltanto un quantitativo di crusca. Insomma, il dibattito è più acceso che mai. Il consumatore farebbe bene a scegliere innanzitutto secondo le caratteristiche del suo stato di salute e del suo gusto, non precludendosi la possibilità di assaggiare e usare le nuove farine, ma nemmeno considerando «veleno» quelle canoniche.
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