2023-02-02
E la rivista della liberal Columbia sbugiarda le bufale di carta su Trump
L’inchiesta dell’università picchia sul «Nyt»: «Non seguiti standard di buon giornalismo».Siamo sicuri che il giornalismo statunitense abbia seguito correttamente la vicenda dei presunti legami tra Donald Trump e la Russia? Forse no. E a esserne convinta non è qualche testata di sentimenti conservatori, ma la Columbia Journalism Review (Cjr): rivista della scuola di giornalismo della Columbia university e di tendenza liberal. Lunedì, proprio questo magazine ha diffuso un’inchiesta di Jeff Gerth, il quale ha messo in evidenza varie criticità nel come alcuni media, a partire dal New York Times, hanno riportato la vicenda della presunta (e finora indimostrata) collusione tra Trump e Mosca. «Nell’ultimo anno e mezzo, Cjr ha esaminato in dettaglio la copertura dei media americani su Trump e la Russia», si legge nell’introduzione all’inchiesta, firmata dal direttore esecutivo, Kyle Pope. «Il giornalista investigativo Jeff Gerth ha intervistato dozzine di persone al centro della storia: redattori e giornalisti, lo stesso Trump e altri nella sua orbita. Il risultato è uno sguardo comprensivo su uno dei momenti più significativi della storia dei media americani. Le scoperte di Gerth non sono sempre lusinghiere, né per la stampa né per Trump e il suo team», si legge ancora. «Uno standard giornalistico tradizionale che non è stato sempre seguito nella copertura Trump-Russia è la necessità di riportare fatti che vanno contro la narrazione prevalente», ha scritto Gerth, per poi aggiungere: «Nel gennaio 2018, per esempio, il New York Times ha ignorato un documento pubblicamente disponibile, che mostrava come l’investigatore capo dell’Fbi pensasse, dopo dieci mesi di indagini sui possibili legami Trump-Russia, che non ci fosse molto. Questa omissione ha reso un disservizio ai lettori del Times». «Un altro assioma del giornalismo che a volte è stato trascurato nella copertura Trump-Russia», ha proseguito Gerth, «è stato l’incapacità di cercare e di rispecchiare i commenti di persone che sono oggetto di critiche gravi. Le linee guida del Times lo definiscono un “obbligo speciale”. Tuttavia, negli articoli del Times che coinvolgono figure tanto disparate come Joseph Mifsud (l’accademico maltese che avrebbe avviato l’intera inchiesta dell’Fbi), Christopher Steele (l’ex spia britannica che ha scritto il dossier) e Konstantin Kilimnik (il consulente citato da alcuni come la migliore prova della collusione tra la Russia e Trump), i giornalisti della testata non hanno incluso il commento della persona criticata». Non solo. Gerth ha imputato al New York Times sia un uso eccessivo di fonti anonime sia «il modo fuorviante in cui vengono spesso descritte», senza trascurare varie citazioni decontestualizzate. Eppure, insieme con il Washington Post, questa testata fu insignita del Pulitzer nel 2018 per la copertura del Russiagate. «La mia ultima preoccupazione, e frustrazione, è stata la mancanza di trasparenza da parte delle organizzazioni dei media nel rispondere alle mie domande. Ho contattato più di 60 giornalisti; solo circa la metà ha risposto», ha aggiunto Gerth, che racconta anche la delusione dell’allora direttore esecutivo del New York Times, Dean Baquet, quando emerse che il procuratore speciale Robert Mueller non avrebbe «perseguito la cacciata di Trump». Definita «liberal» da testate conservatrici come Fox News e Washington Times, Cjr non può essere tacciata di simpatie repubblicane. In un’audizione al Congresso nel luglio 2017, Pope criticò Trump per i suoi attacchi ai media. Inoltre nell’aprile 2013 la rivista pubblicò un articolo in cui annoverava tra i propri finanziatori la Open society di George Soros.
Matteo Salvini (Imagoeconomica)
La stazione di San Zenone al Lambro, dove il 30 agosto scorso un maliano ha stuprato una 18enne (Ansa)