2025-07-19
Colpo gobbo della Procura per far condannare Salvini
Matteo Salvini (Getty Images)
Il ministro è stato assolto per il caso Open Arms, ma l’accusa non se ne fa una ragione e sfodera una mossa irrituale. La Meloni: «C’è accanimento». Nordio: «Nei Paesi civili questo non succede, rimedieremo».L’assoluzione piena di Matteo Salvini, ministro dell’Interno all’epoca dei fatti e ora vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, non è andata giù ai magistrati della Procura di Palermo. L’ufficio guidato da Maurizio De Lucia sferra un colpo diretto, fuori dagli schemi: nessun passaggio in appello, nessuna rilettura del fatto storico o della ricostruzione delle prove. Il ricorso contro l’assoluzione dalle accuse di sequestro di persona e rifiuto d’atti d’ufficio nel processo Open Arms (per il divieto imposto nell’agosto 2019 alla Ong spagnola di sbarcare a Lampedusa 147 migranti), con un blitz giuridico, va dritto in Corte di Cassazione. Le toghe firmatarie del ricorso (oltre a De Lucia), Marzia Sabella e Giorgia Righi, scrivono nero su bianco che «la sentenza (…) si rivela manifestamente viziata per l’inosservanza (…) di quella serie di norme integratrici (quali quelle sulla libertà personale e le Convenzioni sottoscritte dall’Italia per il soccorso in mare) di cui il Tribunale avrebbe dovuto tenere conto». Ma questa non è un’impugnazione come le altre. «Ricorso per saltum», la chiamano in slang giuridico. È un’azione diretta, che salta l’appello, basata sulla convinzione che la sentenza sia sbagliata non nei fatti, ma nei principi di diritto. Uno strumento della procedura penale usato dalle toghe pochissime volte negli ultimi anni. Stando all’ultimo Annuario statistico della Corte di Cassazione, sono solo sei i procedimenti di questo tipo trattati negli ultimi cinque anni (due nel 2020, uno nel 2021, zero nel 2022 e nel 2023 e tre nel 2024, che nel 33,3 per cento dei casi si sono chiusi con un annullamento con rinvio per un nuovo giudizio). L’intento è chiaro: bypassare ogni possibilità di ulteriore assoluzione e piazzare la bomba direttamente nel cuore della giustizia di legittimità. Prendendo di mira alcuni punti in particolare. La sentenza riconosceva che l’Italia, alla luce del quadro normativo internazionale incerto e contraddittorio, non aveva obblighi giuridici chiari nel concedere il Pos (porto sicuro di sbarco) al taxi del mare Open Arms e che «il soggetto giuridicamente tenuto a garantire i diritti delle persone a bordo» era il governo spagnolo. La Procura, però, ora rinfaccia al Tribunale un’errata lettura delle norme internazionali, sostenendo che «non può ritenersi che lo Stato responsabile sia sempre lo Stato di bandiera (…), in occasione di un evento di pericolo risulta prevalente l’applicazione delle disposizioni della Convenzione Sar, fondate sul principio della massima rapidità ed efficacia». Ovvero il presupposto che ha sempre spinto i taxi del mare verso i porti italiani. Il cuore del ricorso è la presunta violazione dell’articolo 13 della Costituzione, quello sull’inviolabilità della libertà personale. Secondo i magistrati palermitani, «la limitazione dell’altrui libertà personale può lecitamente realizzarsi solo con atto motivato dell’autorità giudiziaria». Dunque, trattenere i migranti per giorni sulla nave sarebbe stato un sequestro di persona illegittimo. Anche se, come ricorda la stessa sentenza assolutoria, «non vi erano rischi di affondamento della nave» e «la Open Arms non poteva fungere da Pos temporaneo». Per la Procura non conta. L’unico dato rilevante, per i pm, è che «i migranti subirono indubbiamente un’arbitraria privazione della libertà personale», come affermato di recente dalla Cassazione civile nel caso Diciotti (che sembra quasi un assist in zona Cesarini dei giudici civili ai pm di Palermo per ricorrere subito al Palazzaccio). Nel ricorso si leggono passaggi che sembrano scritti per inchiodare Salvini più che per contestare in modo tecnico una sentenza. «L’insussistenza di un provvedimento giudiziario o di una successiva convalida delle scelte governative è di per sé sufficiente ad affermare l’arbitrarietà del trattenimento dei migranti», scrivono i pm. Ed è quella formula, «il fatto non sussiste», pronunciata per Salvini, l’obiettivo da colpire: «A fronte del riconosciuto trattenimento dei migranti a bordo e dell’altrettanto riconosciuta assenza di un intervento positivo del ministro, (la formula assolutoria, ndr) non risulta supportata da nessuna plausibile ragione giuridica o, meglio, da alcuna spiegazione». Parole che sembrano tradire una frustrazione latente. Ma c’è un intero capitolo dedicato ai minori non accompagnati. La Procura, con un artifizio retorico, contesta al Tribunale di aver creato «zone franche» in cui i diritti fondamentali «rimarrebbero sospesi e limitati, in attesa dell’eventuale adempimento a opera di terzi di mere formalità». Il fatto che i minori siano sbarcati il 17 agosto, appena due giorni dopo l’ingresso in acque territoriali italiane, per i pm non basta. E nemmeno il riconoscimento da parte del Tribunale del loro diritto a una «corsia preferenziale» sembra soddisfare chi ha redatto il ricorso. Salvini, che ha capito il gioco, ieri ha commentato con queste parole: «Il Tribunale mi ha assolto perché il fatto non sussiste riconoscendo che difendere i confini non è un reato. Evidentemente qualcuno non si rassegna». I pm, insomma, sembrano cercare la rivincita. E infatti la premier Giorgia Meloni parla di «accanimento surreale dopo un fallimentare processo di tre anni concluso con un’assoluzione piena». Mentre il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi rivendica «quell’azione». E aggiunge: «Sono convinto che in questo caso non potrà che portare all’affermazione della assoluzione e quindi della legittimità delle scelte». Perché alla fine, dietro il lessico giuridico, il ricorso della Procura di Palermo deve essere apparso come un tentativo di riscrivere una sconfitta giudiziaria. Non resta che attendere.
Il Gran Premio d'Italia di Formula 1 a Monza il 3 settembre 1950 (Getty Images)
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