2023-03-24
«Quelle armi mi hanno avvelenato ma lo Stato non ammette la colpa»
Il colonnello del Ruolo d’Onore Carlo Calcagni
Parla Carlo Calcagni, uno dei tanti soldati italiani ammalatisi nell’ex Jugoslavia.«Ringrazio Dio ed i medici che mi curano se sono ancora in vita. Ma il tempo è poco. Devo ancora fare tanto per gli amici militari che si sono ammalati come me, per colpa dell’uranio impoverito, ma non hanno ricevuto nemmeno il riconoscimento da parte dello Stato». Il colonnello del Ruolo d’Onore Carlo Calcagni è la testimonianza vivente dei danni causati dall’uranio impoverito. Oggi per vivere ha bisogno ogni mattina di 7 iniezioni di immunoterapia. Durante il giorno assume 300 pastiglie a cui poi vanno sommate altre 4-5 ore di flebo, ossigenoterapia e tanto altro. «Ero un ufficiale, un atleta, ero un paracadutista e pilota istruttore di volo. Poi la mia vita è stata stravolta. Ieri ho fatto una seduta di plasmaferesi di 7 ore. Poi sono tornato a casa e alle 5 del mattino ero di nuovo in piedi per andare a parlare nelle scuole. I giovani hanno bisogno di testimonianze e saldi punti di riferimento», dice alla Verità. La storia di Calcagni è un viaggio nel dolore, ma anche e soprattutto nell’orgoglio di un militare che dal 2002 continua a lottare, affinché i vertici militari possano riconoscere ufficialmente le conseguenze del servizio in zone di guerra contaminate da uranio impoverito e suoi derivati. Da più di vent’anni, il colonnello è affetto da una serie di gravi patologie multiorgano ed una polineuropatia cronica, degenerativa ed irreversibile, con Parkinson. «Il primo intervento chirurgico l’ho subito il 28 settembre del 2002; oggi ho oltre 300 punti di sutura che hanno “decorato” tutto il mio corpo: sono le medaglie al valore che lo Stato avrebbe dovuto conferirmi». Calcagni è stato in servizio nei Balcani nel 1996, a Sarajevo, nella missione internazionale della Nato, sotto l’egida dell’Onu, quando venivano fatti partire dalle nostre basi militari gli aerei dei nostri alleati americani che bombardavano quei territori con tonnellate di uranio impoverito. «I documenti ormai sono pubblici. Non c’è nulla da nascondere» spiega Calcagni. «Ho pubblicato una videocassetta, che i vertici della Nato avevano inviato, già nel 1995, a tutti gli Stati membri dell’alleanza, quindi anche all’Italia, spiegando le precauzioni da adottare in quelle zone d’intervento». Peccato che il ministero della Difesa di allora non avesse informato i propri militari, né fatto nulla per proteggerli. «Il vero problema dei proiettili all’uranio impoverito è che sono altamente piroforici: nel momento in cui impattano su qualsiasi struttura la perforano come se fosse burro, sviluppando temperature che vanno dai 3.000 ai 5.000 gradi centigradi. Questo gli permette di sublimare qualunque materia, facendola passare dallo stato solido a quello di un letale aerosol. Ognuna di queste esplosioni genera una impressionante quantità di polveri di metalli pesanti che, proprio perché di ridottissime dimensioni, entrano prima nei polmoni, poi nel sangue e, attraverso il flusso sanguigno, in ogni cellula del corpo e degli organi vitali, come nel mio caso, e persino nel Dna». Si è persino negato l’utilizzo di uranio impoverito nella guerra dei Balcani. Peccato non corrisponda alla verità dei fatti, come centinaia di sentenze della giustizia ordinaria hanno ormai confermato. Proprio la scorsa settimana la Cassazione ha stabilito che chi è stato esposto alle polveri e nanoparticelle da metalli pesanti ne ha diritto, spetta al ministero provare che invece la causa sia altra. Per Calcagni è qualcosa di storico. «Dopo 20 anni, è un risultato importante. Ma ci è voluto tanto tempo per questo riconoscimento. Quando ho iniziato la mia battaglia ero solo. Tanti commilitoni hanno preferito tacere per paura di perdere la pensione o di lasciare la propria famiglia senza uno stipendio. Io sono andato avanti». Il colonnello, dopo il riconoscimento di invalidità al 100% nel 2002, aveva chiesto nel 2005 il risarcimento del danno al ministero della Difesa, senza cause in tribunale. «Sul mio corpo è stato persino posto il segreto di Stato. Poi, cosa ancora più falsa, hanno provato persino a sostenere che io non avessi mai partecipato a spedizioni di volo nei Balcani». Dopo una battaglia legale durata anni, ancora adesso Calcagni sta aspettando risposte da parte dello Stato, che non vuole riconoscergli un giusto risarcimento.