2022-01-15
«Coi gialloverdi non abbiamo più sponde»
L’ex ad del gruppo, intercettato col capo del personale, parla dell’allora premier Giuseppe Conte: non fa parte del nostro mondo. E sul rapporto tra Carlo De Benedetti e i governi Pd ammette: c’era un legame. Marco Benedetto: Tito Boeri? Un leccapiedi dell’Ingegnere.Il 2018 in Gedi l’avranno catalogato di certo come annus horribilis: le prime notizie sull’inchiesta per l’ipotizzata truffa, le preoccupazioni per le intercettazioni e, infine, pure l’insediamento del governo gialloverde. In quel momento Gedi, che manda in edicola, tra gli altri, il quotidiano la Repubblica, era ancora di proprietà della famiglia De Benedetti. Mesi prima della cessione agli Elkann, l’ex ad Monica Mondardini, sostituita nel ruolo da Laura Cioli (non indagata), ma ancora al vertice della Cir, si sfoga al telefono con Roberto Moro, responsabile risorse umane di Gedi, in una conversazione (del 28 agosto del 2018) durante la quale, secondo i magistrati, i due affrontano le «problematiche che riguardano il giornale in ragione anche del nuovo governo e del fatto che la linea non sia cambiata molto se non addirittura peggiorata». Il primo governo Conte è in sella da poco più di due mesi e alle prese con il crollo del ponte Morandi di Genova, avvenuto due settimane prima lasciando tra le macerie 43 vittime. Ma in questo clima frenetico la Mondardini, che come ad di Cir (la capofila delle aziende della famiglia De Benedetti) ha il controllo del pacchetto azionario di maggioranza di Gedi, è presa dal futuro dell’azienda, legato anche ai rapporti con le istituzioni, azzarda una previsione: «Per dare a un signore che, per carità, è cortese ma non, non si esprime non si sa cosa pensi non parla... non… in una persona che... Per carità sarà professionale eccetera eccetera ma che sicuramente non è in grado così… non fa parte del nostro mondo e non è in grado di dare… secondo me questo sarà il leitmotiv». Una descrizione che, in assenza di riferimenti espliciti a un personaggio, anche alla luce di quello che la manager dirà ulteriormente nel corso della conversazione, sembra adattarsi perfettamente al nuovo premier Giuseppe Conte. Che fino alla nascita del suo secondo governo veniva considerato dalle élite rosse, Repubblica in testa, un corpo estraneo arrivato a Palazzo Chigi sulla base di un curriculum pieno di punti interrogativi. Salvo poi trasformarlo nel «punto di riferimento» della sinistra. Sta di fatto che Moro condivide la visione della Mondardini e ipotizza, sempre nel corso di quella chiacchierata, che possa arrivare un «ulteriore accenno», sul fatto «che «comunque l’azienda nel complesso [...] ha fatto gli utili [...] per tanto tempo. E adesso ci deve essere anche il sacrificio dell’azionista». Aggiungendo che è una «cosa che peraltro hanno già fatto in passato». Ed è a questo punto che la Mondardini tira in ballo i rapporti, che i magistrati ancora una volta interpretano come un riferimento ai mutati equilibri politici, dell’«Ingegnere», ovvero Carlo De Benedetti, che in passato influivano sulla gestione aziendale: «Sì, sì sono d’accordo, son d’accordo [...] sarebbe una ragione di più perché la Cioli, come ho anche sollecitato lunedì prima di andare a Parigi […] gli ho detto: scusa ma cioè voglio dire, in questi anni abbiamo, diciamo, cercato di fare tutto quello che si poteva fare... si sollecitava eccetera anche con un condizionamento forte dato da una persona che... che era l’ingegnere che comunque viveva quel mondo lì come un mondo a cui era particolarmente sensibile ogni qualvolta una magari dicesse: beh tiriamo un po’ i remi in barca su una cosa, su un’altra, c’era sempre quella sponda eccetera eccetera». Ma la situazione è cambiata e «adesso il campo è libero, siamo tutti solidali eccetera eccetera». Poi chiosa: «Ehm… ormai è maturo il segmento del web gratuito. Ora se è maturo va bene, allora Repubblica fattura 22 milioni, ne voglio 8 di utile. Ne fa 2? Ehm, andiamo a vedere cosa c’è dentro no?». Arrivando a ipotizzare chiusure, come alternativa all’uso «pesante» dei contratti di solidarietà: «Paradossalmente secondo me è quasi più semplice dire che un... incomprensibile... non serve e bisogna chiuderlo e quindi.... e quindi sostanzialmente ipotizzare qualcosa anche un po’ fuori dagli schemi nostri su quei sei... quei sei sette persone ehm... no?». Ma la Mondardini non è l’unica a sfogarsi nelle intercettazioni raccolte negli atti giudiziari. Bollenti devono essere stati pure i telefoni di Marco Benedetto, predecessore della Mondardini ai vertici di Gedi fino al 2009 (che non è indagato), e di Alessandro Rocca, un ex dirigente del gruppo demansionato e prepensionato, quando, il 21 settembre 2018, il primo ha definito il presidente dell’Inps ai tempi delle verifiche su Gedi, Tito Boeri, che ha dato il via all’inchiesta, «un pezzo di merda leccaculo di De Benedetti». A scatenare la rabbia dell’ex ad è il racconto di Rocca sulla genesi dell’indagine giudiziaria: «La cosa non so se la sai nei termini più approfonditi ma è nata da Giovanni Dell’Acqua (l’autore delle email a Boeri, ndr), te lo ricordi a Milano?». Benedetto risponde di non averlo conosciuto, ma di conoscere «la storia che è uno che loro hanno trattato male e lui si è vendicato». Dalla conversazione emerge anche che Boeri sarebbe stato ai ferri corti (per ragioni che i due non collegano a Gedi) con Massimo Cioffi, il dg Inps autore della nota inviata al ministero del Lavoro che ha scoperchiato il vaso di Pandora dei prepensionamenti. Agli atti esisterebbe un’altra conversazione di Rocca, con Marco Giovannini, dell’area risorse umane di Gedi, avvenuta il 3 ottobre 2018, che imbarazza Benedetto. Il testo non è trascritto, ma i magistrati capitolini la sintetizzano così: «Nella citata telefonata Rocca riferisce all’interlocutore gli esiti della sua conversazione avuta con Marco Benedetto, ex amministratore delegato del gruppo Gedi. In particolare, Rocca fa riferimento alle firme false apposte sui documenti utilizzati per ottenere illecitamente riscatti di periodi lavorativi mai svolti, dicendo che tali illeciti venivano perpetrati anche all’epoca in cui il gruppo era gestito dal Benedetto». Una prassi che, a prescindere dal momento in cui è effettivamente iniziata potrebbe costare molto cara al colosso dell’editoria.