2023-11-13
Claudio Larocca: «Parlano di pietà, ma eliminano il debole perché è un costo»
Il vicepresidente del Movimento per la Vita: «Molte donne sono ancora costrette a rinunciare alla maternità dai loro parenti». È il volto emergente del mondo pro life italiano. Senza troppo cancan mediatico, nel suo Piemonte ha ottenuto traguardi assai significativi, se non unici nella penisola; l’ultimo dei quali è stata l’apertura presso l’Ospedale Sant’Anna di Torino di una stanza per offrire supporto alle donne in gravidanza difficile o indesiderata. Eppure lui, Claudio Larocca, 43 anni, presidente regionale della Federazione del Movimento per la Vita e vicepresidente del Movimento per la Vita italiano, mantiene il profilo basso di chi agli annunci e gli slogan preferisce la concretezza. La Verità l’ha contattato per sapere la sua anche su fatti ed eventi del panorama bioetico attuale. Larocca, che giudizio dà delle vicende dei bimbi inglesi – ultima quella di Indi Gregory, ma ci sono state anche quelle di Charlie Gard ed Alfie Evans – che i medici, nel loro «miglior interesse», vogliono far morire? «Si tratta dell’espressione più evidente e grave di una decadenza culturale e di una profonda corruzione dello sguardo sull’uomo che smette di essere riconosciuto come soggetto di cura e titolare di una dignità sempre piena, ma l’oggetto di una visione efficientista che scarta tutto ciò che produce solo costi, in una società che non ha più tempo e voglia di rivolgere le proprie attenzioni al più fragile e bisognoso. Di fatto è la legge del più forte che mette in atto una spietata selezione, mascherandola da pietà, che scarta e sopprime il più debole. Diventa poco credibile in questo contesto ogni appello alla pace e al rispetto del prossimo». Cosa risponde chi, davanti a storie come queste, afferma che è meglio una vita senza sofferenze ma breve che un’esistenza prolungata e senza possibilità di guarigione? «Se non si è capaci di riconoscere sempre piena dignità a ogni essere umano, in ogni condizione di vita, si accetta di fatto che il valore della vita sia condizionato al “quanto” e al “come” e non più sempre ontologicamente legato al “chi”. Dobbiamo quindi accettare che uccidere l’innocente in certi casi sia persino giusto e che qualcuno possa decidere i parametri di applicazione di questo concetto di “giustizia”. Dunque dobbiamo anche accettare che qualcuno un giorno possa decidere che la nostra vita non sia più degna per qualche motivo prestabilito e che quindi sia giusto ucciderci. L’alternativa a questa deriva è riconoscere che ogni essere umano ha un valore unico e da difendere in ogni circostanza e che questa dignità richiede il massimo delle attenzioni e della cura che si deve necessariamente tradurre anche in cure palliative che consentano una riduzione della sofferenza» Lei è stato protagonista, assieme all’assessore regionale del Piemonte, Maurizio Marrone, di varie iniziative pro life. Ce le illustra brevemente? «Grazie al dialogo e alla collaborazione con l’assessore Marrone e successivamente con la Città della Salute di Torino e con l’Ospedale Sant’Anna, siamo riusciti a creare due importanti progetti. Il primo è il fondo “Vita nascente” che consente di supportare giovani mamme in difficoltà nelle principali spese legate alla gravidanza e all’infanzia. Nel primo anno di applicazione siamo riusciti così ad aiutare oltre 200 mamme che verranno accompagnate per tre anni e a cui si aggiungeranno altre donne. Il secondo progetto è la cosiddetta “stanza dell’ascolto”, che verrà aperta presso l’Ospedale Sant’Anna e che vuole essere un importante punto di riferimento per tutte quelle donne che, trovandosi ad affrontare una gravidanza difficile, vorranno valutare aiuti concreti, eventualmente anche in alternativa all’interruzione della gravidanza» I collettivi femministi dicono che minacciate la libertà della donna. Ma cosa fanno davvero i Centri di aiuto alla Vita (Cav)? «Solo in Piemonte operano 32 Cav che assistono ogni anno circa 2.000 donne, di cui oltre la metà dalla gravidanza. Principalmente l’aiuto offerto è economico e in natura, ma viene offerta pure una vicinanza umana che spesso nella solitudine è quella più importante, anche in un’ottica di promozione della persona. Ogni anno, grazie a questo aiuto, contiamo circa 500 nascite. In poche parole i Cav – grazie ai quali, in Italia, dal 1975 ad oggi sono nati oltre 260.000 bambini – suppliscono a una carenza di servizio generale e danno una risposta concreta fondamentale a tanti casi di povertà» Avete incontrato dei casi di giovani mamme che sono state, se non costrette ad abortire, comunque lasciate sole in una gravidanza difficile o indesiderata? «Capita spesso di incontrare donne che si sentono costrette ad abortire a causa dei vari condizionamenti che subiscono da più parti in modo più o meno diretto. Ricordo ad esempio diverse ragazze cacciate di casa dai loro genitori perché non volevano abortire. Una in particolare ha fatto di tutto per difendersi da questo ricatto, è stata forte e coraggiosa e ora può abbracciare il suo bambino, ma quante donne non riescono a trovare questa forza e vengono costrette a rinunciare forzatamente alla loro maternità e al loro figlio? Perché i movimenti femministi non guardano anche a queste donne capendo che in tutto questo non c’è alcuna espressione di libertà, ma solo una disumana violenza?» Perché secondo lei l’attività pro life è così oggetto di pregiudizi da parte anche dai mass media? «Credo sia a causa di un approccio ideologico al tema. Se si avesse tutti il coraggio di abbandonare gli steccati ideologici per guardare in faccia la realtà e quindi queste mamme e questi bambini che i Cav incontrano quotidianamente, forse finalmente ci si potrebbe sedere intorno a un tavolo per capire insieme come tutelare queste donne».
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