2025-06-10
Progressisti e vescovi ora scelgano se abolire i confini o stare col popolo
La scheda gialla del referendum, quella del voto sulla cittadinanza italiana (Imagoeconomica)
La quota di «no» al quesito sulla cittadinanza dovrebbe imbarazzare i dem e la Chiesa che l’hanno sostenuto. Invece, persino davanti ai disordini negli Usa, il mantra non cambia: Trump malvagio, si accolgano i migranti.Sembra strano a dirsi, ma questo referendum ha avuto persino un risvolto positivo: è servito a dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che gli italiani non vogliono maggiore apertura all’immigrazione. I dati parlano abbastanza chiaro: a parte il (più che prevedibile) mancato raggiungimento del quorum, il quesito sul dimezzamento dei tempi necessari ad acquisire la cittadinanza italiana ha fatto registrare risultati peggiori rispetto agli altri. Il «sì» ha prevalso, ma con il 64% circa%, contro un 36% di «no», mentre per le altre domande il «sì» si è attestato attorno all’85%. Significa che anche una parte di elettori tendenzialmente di sinistra rimane ostile alla cittadinanza facile. Questo dato conferma le tendenze evidenziate nelle scorse settimane da alcuni sondaggi, ad esempio quello realizzato da Antonio Noto da cui emergeva un incredibile 24% di elettori pd favorevoli al modello Albania di gestione degli stranieri e un 85% di simpatizzanti di sinistra felici per il rimpatrio rapido di alcuni molestatori tunisini. Ormai chiunque non viva in un profondo stato di alienazione dalla realtà si rende conto che la maggioranza degli italiani non desidera norme più lasche in ambito migratorio. Ogni volta che si vota sul tema, la linea aperturista viene bocciata. Ogni volta che ci si affida ai sondaggi, quel che emerge è la diffidenza dei più verso l’immigrazione di massa (per non dire di peggio). Sembra dunque, semplificando, che sia sempre più ampia la distanza fra il popolo e le élite: da una parte la massa dei cittadini che subiscono le conseguenze dell’immigrazione di massa e ne hanno abbastanza; dall’altra alcuni centri di potere politico e mediatico che si ostinano a tifare per le frontiere aperte. Tra questi vi sono senz’altro i vertici della curia (la Cei e la Caritas), i quali - forse anche perché coinvolti nel sistema della accoglienza - hanno condotto una martellante campagna a favore del sì sulla cittadinanza rapida pure tramite Avvenire e altri media. «Quello che serve urgentemente al Paese è senza dubbio una riforma complessiva della legge 91/1992 sulla cittadinanza», aveva dichiarato la Conferenza episcopale italiana giorni prima del voto. «Il referendum», proseguiva la nota vescovile, «appare in ogni caso un’occasione per cominciare ad adottare una visione larga che eviti mortificazioni della dignità delle persone e per integrare nella pienezza dei loro diritti coloro che condividono i medesimi doveri e valori». Beh, l’occasione è stata miseramente perduta: a quanto risulta, al Paese non serviva affatto una riforma della legge sulla cittadinanza. Ci si augura che la batosta serva ai prelati come spunto per una approfondita riflessione sull’argomento e, magari, sul tipo di impegno politico che la Chiesa dovrà manifestare in futuro. Difficile, invece, che una riflessione analoga venga condotta all’interno dei partiti progressisti, che sull’accoglienza hanno costruito parte della loro perdente identità. Relativamente alla sinistra, si può dire che il problema sia globale. In tutta Europa trionfano movimenti identitari e destrorsi, e se non vincono spesso è per via dei maneggi più o meno legali delle istituzioni transnazionali. Nelle poche nazioni in cui la sinistra è al potere, in compenso, i governi non si mostrano certo ben disposti verso l’ingresso indiscriminato di stranieri. Emblematico il caso del Regno Unito, dove i laburisti hanno elaborato un libro bianco sull’immigrazione perfino più rigido dei programmi di certe destre. Per quanto concerne gli Stati Uniti, il quadro è perfino più complesso. Come noto, Donald Trump ha deciso di mobilitare la Guardia nazionale per bloccare le proteste andate in scena in California contro l’espulsione di stranieri voluta dall’amministrazione. I giornali italiani hanno immediatamente preso le parti dei manifestanti, scrivendo che Trump ha mandato i militari «contro gli immigrati». In realtà, la Guardia nazionale è stata schierata contro manifestanti violenti che protestavano per una causa discutibile. L’operazione dell’Immigration and customs enforcement di Los Angeles, infatti, non ha rastrellato stranieri a casaccio, ma ha portato all’arresto di 118 persone, tra cui condannato per traffico di droga, aggressione, crudeltà sui minori, violenza domestica e rapina. Davvero è sensato azzuffarsi con la polizia e mettere a ferro e fuoco una città per difendere uno stupratore o un rapinatore? Sono questi i migranti che la nostra stampa liberal-progressista intende proteggere? Sono proprio queste prese di posizione a mostrare il livello di distacco dal buon senso di cui le forze di sinistra sono vittime. Non per nulla, la situazione per i democratici americani si fa particolarmente scivolosa. Il governatore della California, Gavin Newsom, ha contestato duramente la scelta di Trump di fare ricorso ai militari, e adesso il suo schieramento si trova a dover compiere una scelta non facile: stare con il governo contro i clandestini o stare con i facinorosi in piazza?Per molti versi, è lo stesso dilemma che debbono fronteggiare le sinistre europee: vogliono rassegnarsi ad ascoltare i popoli che non vogliono più immigrazione o intendono schierarsi ancora una volta con gli attivisti delle Ong, gli antagonisti e i poteri internazionali che brigano per il meticciato globale? In Italia, i risultati del referendum forniscono utili indicazioni a riguardo. Ma abbiamo il sentore che la gran parte dei progressisti le ignorerà, preferendo fingere di aver vinto una partita clamorosamente persa su tutti i fronti.
«Pluribus» (Apple Tv+)
In Pluribus, da venerdì 7 novembre su Apple Tv+, Vince Gilligan racconta un mondo contagiato da un virus che cancella le emozioni e il conflitto. Un’apocalisse lucida e inquieta, dove l’unica immune difende il diritto alla complessità umana.