2025-01-22
In Cisgiordania s’alza il «Muro di ferro». I tagliagole di Hamas aizzano i palestinesi
Mezzi dell'Idf a Jenin in Cisgiordania (Getty Images)
Nuova operazione dell’Idf a Jenin per sradicare l’asse iraniano. I terroristi di Gaza tifano escalation. Ma la tregua per ora regge.Trump preme sullo zar. Sì del Senato italiano ad altri aiuti all’Ucraina, dove lo psichiatra dell’esercito viene arrestato per corruzione.Lo speciale contiene due articoli.Ieri il capo di Stato maggiore delle Forze di difesa israeliane (Idf), Herzi Halevi, ha informato il ministro della Difesa Israel Katz e il primo ministro Benjamin Netanyahu delle sue dimissioni, con decorrenza tra due mesi. «In virtù del riconoscimento della mia responsabilità per il fallimento del 7 ottobre, in un momento in cui l’Idf ha ottenuto risultati significativi ed è in procinto di implementare l’accordo per liberare i nostri ostaggi, ho chiesto di lasciare il mio ruolo a decorrere dal 6 marzo 2025. Fino ad allora, completerò le indagini dell’Idf sugli eventi del 7 ottobre e rafforzerò la prontezza dell’Idf per le sfide alla sicurezza. Ho inviato una lettera al ministro della Difesa e al primo ministro sulla questione. La mia responsabilità per il terribile fallimento mi accompagnerà per il resto della mia vita», ha scritto Halevi. Netanyahu ha parlato con il capo di Stato maggiore dimissionario, con cui si vedrà nei prossimi giorni, ringraziandolo «per il suo lungo servizio e per il comando dell’Idf durante la guerra su sette fronti, che ha portato a grandi successi per lo Stato di Israele». Anche il generale Yaron Finkelman, capo del Comando militare Sud di Israele e responsabile dell’area di Gaza, ha rassegnato le dimissioni. Per la sua sostituzione si parla del generale Eyal Zamir, direttore generale del ministero della Difesa, nonché del generale Amir Baram, attuale vicecapo di Stato maggiore, in precedenza comandante del Northern Command e del generale Uri Gordin, comandante del Northern Command. Quest’ultimo pare essere il favorito dato che non è stato associato ai fallimenti del 7 ottobre ed è riconosciuto come una figura innovativa e dinamica. Gordin ha ottenuto ampi consensi per il successo nella gestione delle operazioni lungo il confine settentrionale, affrontando con efficacia le complesse sfide che la guerra contro Hamas comporta. Sempre ieri l’Idf ha condotto un’operazione denominata «Muro di ferro» nella città di Jenin, in Cisgiordania. L’esercito ha riferito che soldati, polizia e servizi di intelligence hanno avviato un intervento antiterrorismo nell’area, senza fornire ulteriori dettagli. Prima di questa incursione le forze di sicurezza palestinesi avevano già effettuato un’azione prolungata per riprendere il controllo della città e del vicino campo profughi: un punto nevralgico per i gruppi armati nella Cisgiordania. Secondo i servizi sanitari palestinesi, l’Idf ha ucciso nove persone e ne ha ferite circa 50, ma non ci sono conferme indipendenti sul numero dei morti. Anche Netanyahu ha parlato dell’operazione: «Su indicazione del gabinetto politico-sicurezza, l’Idf, lo Shin Bet e la polizia di Israele hanno avviato un’operazione militare - denominata “Muro di ferro” - vasta e significativa per combattere il terrorismo a Jenin. Questo è un ulteriore passo verso il raggiungimento dell’obiettivo che ci siamo prefissati: rafforzare la sicurezza in Giudea e Samaria (Cisgiordania). Agiamo in modo sistematico e deciso contro l’asse iraniano ovunque esso estenda le sue mani: a Gaza, in Libano, in Siria, in Yemen, in Giudea e Samaria. E non finisce qui». Hamas ha lanciato un appello per la mobilitazione generale, invitando i palestinesi a opporsi con fermezza all’operazione dell’esercito israeliano nel campo profughi di Jenin. In una nota, il gruppo jihadista ha dichiarato: «Sosteniamo i combattenti della resistenza per affrontare l’oppressione sionista e contrastare l’aggressione dilagante dell’occupazione a Jenin». L’operazione di ieri può far saltare la tregua? Sembrerebbe di no, dato che Taher al-Nunu, un funzionario di Hamas, ha confermato che quattro donne israeliane prese in ostaggio saranno liberate sabato, nell’ambito dell’accordo di cessate il fuoco che prevede anche il rilascio dei prigionieri di sicurezza palestinesi. Il funzionario non ha fatto i nomi delle quattro donne che saranno rilasciate dopo oltre 470 giorni di prigionia. L’accordo stabilisce che Hamas è tenuta a fornire i nomi degli ostaggi almeno 24 ore prima del loro rilascio, sebbene il gruppo terroristico non sia riuscito a soddisfare tale condizione per le prime tre donne che sono state liberate domenica. Sul fronte diplomatico c’è da registrare la dichiarazione del ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan al-Saud, che durante l’incontro annuale del World Economic Forum a Davos (Svizzera) ha affermato: «Una guerra tra Israele e Iran dovrebbe essere evitata, e non ritengo che l’amministrazione del presidente statunitense Donald Trump contribuisca al rischio di un simile conflitto». Sempre a Davos il presidente israeliano Isaac Herzog a margine del Forum «ha incontrato il primo ministro del Qatar Mohammed bin Abdulrahman Al Thani e lo ha ringraziato per il ruolo di Doha nella mediazione dell’accordo di cessate il fuoco e rilascio degli ostaggi a Gaza». Al Thani, secondo l’ufficio del presidente Herzog, «ha ribadito il suo impegno nell’attuazione di tutte le fasi dell’accordo». Evidente che la diplomazia ha i suoi riti; tuttavia, vedere il presidente israeliano che ringrazia il principale finanziatore di Hamas fa venire i brividi.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/cisgiordania-muro-ferro-2670910009.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="senza-un-accordo-su-kiev-putin-distrugge-la-russia" data-post-id="2670910009" data-published-at="1737537686" data-use-pagination="False"> «Senza un accordo su Kiev, Putin distrugge la Russia» A poche ore di distanza dall’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, gli occhi della comunità internazionale erano già puntati sulle mosse statunitensi sulla guerra in Ucraina. E il tycoon ha subito preso posizione: nel tentativo di aumentare le pressioni su Mosca, ha reso noto che la decisione di un accordo dipende esclusivamente dalla Russia, visto che l’Ucraina avrebbe già manifestato la propria disponibilità. Circondato dai cronisti nello Studio ovale, Trump, riferendosi al presidente russo Vladimir Putin, ha dichiarato: «Dovrebbe fare un accordo. Credo che, non facendolo, stia distruggendo la Russia». E poi: «Così la Russia finirà in guai grossi. Guardate alla loro economia e alla loro inflazione». Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, congratulandosi con l’omologo statunitense, ha specificato su X: «Gli ucraini sono pronti a collaborare con gli americani per raggiungere una vera pace». E di pace ha parlato anche Putin: «Siamo aperti a un dialogo con la nuova amministrazione Usa sul conflitto ucraino», specificando che «l’obiettivo non dovrebbe essere un breve cessate il fuoco» ma «una pace a lungo termine». Posizione che avrebbe ribadito anche ieri durante il collegamento video con il presidente cinese Xi Jinping. Il nuovo segretario di Stato americano, Marco Rubio, ha fatto presente ai giornalisti che per risolvere il conflitto sia Mosca che Kiev dovranno «rinunciare a qualcosa». Spostandoci sul continente europeo, da Davos, oltre al noto sostegno della presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen all’Ucraina, arrivano anche le lezioni di Zelensky. Durante il World Economic Forum, ha spiegato: «Abbiamo bisogno di una politica di sicurezza e di difesa europea unitaria, l’Europa deve sapersi difendere da sola». E nella lista delle richieste del presidente ucraino ci sono anche 200.000 europei «come minimo» stanziati come forze di peacekeeping. Ben attento a non contraddire il presidente americano, Zelensky ha condiviso l’idea di raggiungere il 5% del Pil per la difesa nella Nato. Una rara voce fuori dal coro è stata ieri quella del premier slovacco, Robert Fico, che durante una conferenza stampa insieme all’omologo ungherese, Viktor Orbán, ha chiarito: «Sono certo che l’adesione alla Nato, finché riguarda l’Ucraina, è una questione che rovinerebbe completamente qualsiasi idea di colloqui di pace». Anche Orbán, su X, ha sostenuto che a Bruxelles «invece di fermare la guerra, vogliono continuare a finanziarla». In casa nostra, intanto, con 97 voti favorevoli, al Senato è stata approvata la risoluzione di maggioranza che proroga fino al 31 dicembre 2025 l’invio di armi a Kiev. Prima della votazione, il ministro della Difesa, Guido Crosetto, è intervenuto così: «Finora la posizione è sempre stata chiara, riteniamo di continuare a dare sostegno all’Ucraina», riconoscendo che «non esiste una soluzione semplice e immediata» alla guerra. Oggi sono attese le comunicazioni di Crosetto anche alla Camera. Sul teatro di guerra, le truppe ucraine sono colpite da uno scandalo: il capo psichiatra dell’esercito di Kiev è stato arrestato per corruzione. Il sospettato, dall’inizio della guerra, avrebbe acquisito beni senza dichiararli per un valore di un milione di dollari. La corruzione è il tallone d’Achille dell’Ucraina, impegnata a porvi rimedio anche per rispondere alle richieste dell’Ue. Ma sono diversi i casi di tangenti pagate da cittadini ucraini per evitare la mobilitazione in guerra. Intanto, la guerra continua: le difese aeree russe hanno abbattuto 30 droni lanciati da Kiev nella regione di Rostov e di Bryansk. Mentre Kiev ha reso noto che, nella notte tra lunedì e martedì, la Russia ha attaccato il territorio ucraino con quattro missili balistici Iskander-M e 131 droni, di cui 72 sono stati distrutti dalle forze ucraine.
Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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