2021-04-23
Ciro-gate, la grana Macina investe il governo
La sottosegretaria alla Giustizia accusa Giulia Bongiorno: «Fa la legale della ragazza che denuncia lo stupro o la senatrice e mostra i video a Matteo Salvini?». La Lega chiede le dimissioni, Forza Italia e i renziani si accodano. L'avvocato querela: «Finirà in tribunale».Nuovi problemi politici per Mario Draghi. Ieri la Lega ha chiesto le dimissioni immediate della sottosegretaria grillina alla Giustizia, Anna Macina, accusata di aver infangato il leader del partito, Matteo Salvini, e la senatrice Giulia Bongiorno, che è anche suo avvocato. Alla richiesta si è accodata Italia viva, il partitino di Matteo Renzi. E contro l'esponente grillina anche Forza Italia ha chiesto l'intervento del Guardasigilli, Marta Cartabia.È l'ultima appendice delle polemiche per l'incredibile videomessaggio con cui lunedì scorso Beppe Grillo ha deciso all'improvviso di difendere pubblicamente suo figlio Ciro, dal luglio 2019 indagato con un gruppo d'amici per il presunto stupro di una ragazza a Porto Cervo. Nel filmato, esibendo un armamentario culturale a dir poco sessista, Grillo ha insinuato sospetti sulla vittima delle presunte violenze imputandole un «ritardo di otto giorni» nella presentazione dell'esposto (ma dimenticando che la legge, proprio per la difficoltà che le vittime di abusi incontrano nel denunciare quanto hanno subìto, dà loro un anno di tempo) e ha rimproverato la Procura di Tempio Pausania per non aver ancora archiviato l'indagine. Alla fine del messaggio, Grillo ha urlato che un video ripreso con il cellulare la notte del presunto stupro, e che l'accusa considera prova a carico degli indagati, dimostrerebbe al contrario che la ragazza era consenziente, in quanto inquadrerebbe «ragazzi di 19 anni che si stanno divertendo, che sono in mutande, e saltellano con il pisello così perché sono quattro coglioni, non quattro stupratori!».Dopo aver incassato una salva di critiche, ed evidentemente in difficoltà, mercoledì Grillo ha preteso la solidarietà del suo Movimento, ma ha dovuto accontentarsi dell'imbarazzato sostegno dell'ex ministro Danilo Toninelli e della sottosegretaria all'Economia Laura Castelli. A spendersi per lui con maggiore aggressività, ieri, è venuta la sottosegretaria alla Giustizia Macina: in un'intervista al Corriere della Sera, la grillina - di professione avvocato - non s'è limitata a difendere l'indifendibile fondatore («il suo è l'urlo di dolore di un papà»), ma ha attaccato la collega Bongiorno, che nel procedimento contro Ciro Grillo e i suoi amici difende la ragazza che li ha denunciati. La Macina ha insinuato che la penalista avrebbe permesso a Salvini di visionare «il video che non doveva vedere nessuno». E l'ha criticata per aver «utilizzato a fini politici una vicenda in cui non si capisce se la Bongiorno parla da difensore o da senatrice che passa informazioni al suo capo di partito, di cui è anche difensore».L'intervista s'è inevitabilmente trasformata in caso politico. La Bongiorno ha reagito con una querela per diffamazione: «Sono accuse farneticanti», ha detto, «per le quali la sottosegretaria risponderà in tribunale e dovrebbe immediatamente dimettersi». La senatrice leghista ha smentito di aver «reso noti a chicchessia atti del processo», sottolineando di non averne «mai parlato con nessuno, nonostante le numerose richieste dei giornalisti». Ha negato poi di aver impresso la minima coloritura politica alla difesa della ragazza, e ha ricordato di aver assunto l'incarico «un anno dopo la denunzia che ha dato vita alle indagini». Va detto, inoltre, che la Bongiorno è impegnata contro la violenza sulle donne almeno dal 2007, quando con Michelle Hunziker ha creato la fondazione «Doppia difesa», che assiste le vittime di abusi e fa campagne d'informazione sul tema. Anche Salvini ieri ha annunciato «azioni in sede penale e civile» contro la Macina («Se pensa che io sia andato a vedere il video di uno stupro è da ricoverare»). E la Lega ne ha chiesto le dimissioni per le «insinuazioni gravissime, insultanti e indegne di un membro del governo». Alla richiesta s'è affiancato Enrico Costa (Azione), che ha chiesto che «il ministro Cartabia la cacci seduta stante». Ha sollecitato il ministro anche Pierantonio Zanettin (Fi), che ha criticato «la grave sgrammaticatura istituzionale».Fuori dal centrodestra, anche Iv s'è schierata con la Bongiorno e con Salvini. Il deputato Marco Di Maio ha definito «inaccettabili» le parole della Macina, «tanto più perché pronunciate da un rappresentante del governo», e il suo collega Gennaro Migliore ha aggiunto che «la sottosegretaria ha violato gravemente i suoi doveri istituzionali: è già deplorevole attaccare l'avvocato di una donna che denuncia di aver subìto una violenza sessuale, ma se si aggiunge il ruolo diventa violazione dei codici comportamentali». La vicenda, a dir poco delicata, ora passa nelle mani del ministro Cartabia e soprattutto di Draghi, che dovranno decidere che fare della loquace sottosegretaria grillina. Al di là di quella che sarà la sua sorte, il caso rischia di gonfiarsi a dismisura perché la Procura sarda è vicina alla chiusura delle indagini su Ciro Grillo e sui suoi amici, e quello è il passaggio nel quale l'accusa deposita le sue carte. In mille altre vicende giudiziarie, a quel punto, intercettazioni, foto e video sono divenuti di pubblico dominio. Se dovesse accadere anche in questo caso, chissà come strillerà il fondatore...
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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