2020-11-06
Le mani della Cina sull'Italia. Il Copasir: in 5 anni aumentati di 10 volte gli investimenti
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Nella relazione del comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti vengono pubblicati i dati forniti da Banca D'Italia sui flussi di investimento cinesi. Siamo passati da 573 milioni di euro nel 2015 a 4,9 miliardi di euro nel 2018. «Le acquisizioni avvengono, infatti, con sistematicità ad ogni livello, nei settori a più alto valore aggiunto o più strategici». La relazione del Copasir (comitato parlamentare di controllo sui nostri servizi segreti) sul settore bancario e assicurativo, sulle influenze e gli interessi stranieri sulle nostre grandi aziende, esamina in un capitolo la penetrazione dei capitali cinesi nel tessuto economico italiano. E mette in fila come la Cina abbia aumentato di dieci volte, nel giro di appena 5 anni, i flussi di investimento. Secondo i dati forniti da Banca D'Italia, infatti, siamo passati da 573 milioni di euro nel 2015 a 4,9 miliardi di euro nel 2018. La Cina in questo supera gran parte delle altre nazioni, come ad esempio la Russia, accusata spesso di avere molta influenza sul nostro paese. A parlare sono i dati. Nello stesso periodo dell'avanzata cinese, Mosca ha ridotto gli investimenti, passando da 2,2 miliardi agli attuali 1,5. Questo anche perché «la strategia implementata da Cina e Russia nella politica degli investimenti è differente: la Cina investe in tutti i settori, cerca aziende attrattive dal punto di vista delle tecnologie e delle tematiche produttive, dei mercati dei servizi o dell'appeal del brand senza una focalizzazione su determinati settori, la Russia, invece, investe soprattutto nel settore delle infrastrutture o in settori che abbiano un legame con la produzione nazionale». E la questione diventa rilevante, perché «energia, reti, aziende ad alto potenziale strategico e innovative vedono una grande concentrazione di capitali cinesi. Il flusso si è recentemente interrotto con la pandemia da Coronavirus, ma ha in passato creato concentrazioni notevoli: la Shangai Electric Corporation ha comprato – già nel 2014 – il 40 per cento di Ansaldo Energia (con sede a Genova), mentre quote di Eni, Tim, Enel e Prysmian sono sotto il controllo della People's Bank of China, la banca centrale della Repubblica Popolare Cinese».La relazione del comitato parlamentare distingue in 3 categorie gli investimenti cinesi, quelli in aziende fondate in Italia da soci italiani e che hanno visto l'ingresso di soci cinesi nel capitale azionario con partecipazioni di rilievo; quelle fondate da cinesi e infine gli investimenti finanziari sulle quotate. «Per quanto concerne i primi due punti» si legge «a fine 2019 risultano direttamente presenti in Italia 405 gruppi cinesi, di cui 270 della Repubblica Popolare Cinese e 135 con sede principale a Hong Kong, attraverso almeno un'impresa partecipata. Le imprese italiane partecipate da tali gruppi sono in tutto 760 e la loro occupazione è di poco superiore a 43.700 unità, con un giro d'affari di oltre 25,2 miliardi di euro. In particolare, le 572 imprese italiane a partecipazione cinese occupano oltre 31.000 dipendenti, mentre il loro giro d'affari sfiora i 17,9 miliardi di euro. Le 188 imprese partecipate da multinazionali di Hong Kong occupano invece oltre 12.600 dipendenti e il relativo giro d'affari è pari a 7,35 miliardi di euro».A questo si aggiunge che «le acquisizioni avvengono, infatti, con sistematicità ad ogni livello, nei settori a più alto valore aggiunto o più strategici. Tra gli attori maggiormente coinvolti, si segnalano multinazionali come StateGrid e ChemChina. La prima ha da diversi anni una significativa quota del 35 per cento nella finanziaria delle nostre reti energetiche elettriche – Cdp Reti – che controlla Snam, Terna, Italgas. ChemChina, invece, è detentrice della maggioranza (45 per cento) delle quote di Pirelli società che opera, come noto, nel settore chimico-industriale come produttore di pneumatici per automobili, motociclette e biciclette, oltre a materassi e cuscini e rappresenta uno dei principali operatori mondiali nel settore degli pneumatici in termini di fatturato con presenza commerciale in oltre 160 nazioni. In tale società ChemChina esprime il presidente (mentre l'amministratore delegato risulta essere il rappresentante del secondo azionista, Camfin, che detiene il 10,1 per cento dell'azionariato)».Infine, «per quanto riguarda gli investimenti di società cinesi in imprese quotate in Italia di grandi dimensioni, i Cinesi detengono – come detto – la maggioranza di Pirelli, ma hanno quote di minoranza in Eni, Intesa San Paolo, Prysmian, Saipem, Moncler, Salvatore Ferragamo, Prima Industrie. Per completezza pare utile evidenziare che quanto sopra esposto riguarda esclusivamente gli investimenti diretti realizzati da soggetti cinesi in Italia. Tuttavia, nell'ambito degli investimenti di capitali cinesi nel nostro Paese, non si possono trascurare gli investimenti effettuati attraverso fondi di investimento, società di gestione del risparmio, società fiduciarie italiane ed estere o società finanziarie, le quali in qualche modo schermano l'identificazione del titolare effettivo degli investimenti. Si pensi che il fondo sovrano cinese China Investment Corporation (Cic) realizza i propri investimenti in Europa prevalentemente attraverso alcune catene societarie di diritto lussemburghese. In tali casi è difficile intercettare l'origine dei fondi e ricondurre l'azionariato delle aziende italiane oggetto di investimenti a soggetti cinesi».
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)