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2021-04-05
La guerra dei radar umani: storia degli aerofonisti ciechi
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Aerofonisti ciechi della III Legione MACA di Genova (courtesy Unione Italiana Ciechi)
L'impiego dei ciechi nella Milizia contraerei anticipò di pochi mesi lo scoppio del conflitto mondiale e fu sancita dopo un acceso dibattito parlamentare non privo di forti contrapposizioni all'utilizzo di una tale disabilità in guerra. Fu soprattutto la pressione sulle autorità militari da parte del primo presidente dell'Unione Italiana Ciechi a condurre ad una legge che permise ai non vedenti l'arruolamento nell'artiglieria contraerea della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale. Aurelio Nicolodi (per curiosità bisnonno dell'attrice Asia Argento) era un irredentista trentino che aveva perso la vista durante la Grande Guerra in un'azione sul Monte Sei Busi (Gorizia) ed aveva fondato nel primo dopoguerra l'associazione che raccoglieva i privi della vista allo scopo di migliorarne l'istruzione e l'inserimento nel mondo del lavoro, un concetto ancora agli albori nella prima metà del ventesimo secolo. L'idea di includere i privi della vista nella specialità contraerea gli venne in seguito ad una conversazione che ebbe durante un viaggio in treno con un alto ufficiale del Regio Esercito, il quale gli spiegò che gli artiglieri vedenti venivano spesso bendati nelle esercitazioni di intercettazione acustica per migliorarne la concentrazione. Nicolodi fu illuminato da quella rivelazione e, da cieco, ben sapeva quanto l'udito fosse particolarmente sviluppato negli individui privi della vista, che avrebbero potuto rendersi parte attiva alla difesa nazionale esattamente come i normodotati. Dopo un'intensa attività di lobbying presso i politici e i militari la sua caparbietà fu premiata con una legge, la n. 1827/1939 che sanciva la possibilità per i non vedenti di arruolarsi nell'artiglieria contraerea della MVSN, tramite i centri di riferimento dell'Unione Italiana Ciechi, in qualità di operatori aerofonisti.
L'entusiasmo tra i ciechi italiani si concretizzò in circa 2,500 domande di ammissione in una specialità di artiglieria che, grazie al loro affinatissimo udito, li rendeva più abili degli abili. Non secondario poi era il senso di completa integrazione che il vestire la divisa grigioverde significò per i privi della vista accettati come elementi pienamente attivi nella difesa del territorio italiano.
La situazione dell'artiglieria contraerei alla vigilia dell'ingresso in guerra per l'Italia non era tuttavia tra le più rosee. Dalla Grande Guerra erano ancora in linea pezzi vetusti (come le mitragliatrici Saint Etienne e Fiat o i pezzi campali adattati al tiro contraereo ) mentre fu solo poco prima della guerra che iniziarono ad entrare in linea i pezzi da 75/46 e i "gioielli" da 90/53 (da cui è tratta la famosa espressione "pezzo da 90"). Per quanto riguarda gli strumenti per l'intercettazione a distanza degli aerei nemici, il progresso tecnico aveva permesso di realizzare l'apparecchio meccanico all'epoca più affidabile e diffuso, l'aerofono. Lo strumento, costruito dalle industrie italiane Officine Galileo, Safar e San Giorgio, consisteva di due (o più frequentemente quattro) amplificatori a "tromba" disassati tra loro e uniti con canne ricurve a cuffie ad alto isolamento acustico. Il movimento manuale tramite volantini permetteva di ruotare oppure di alzare e abbassare gli strumenti per seguire la sorgente acustica. Intercettato il rumore l'aerofono forniva i dati e le stime di rotta ad una centralina che forniva l'alzo e registrava la correzione di parallasse a seconda della velocità e della rotta dell'apparecchio. A quel punto il servente della centralina comunicava i dati al pezzo d'artiglieria (spesso con impianti telefonici a cavi scoperti) il quale procedeva al puntamento e al fuoco. All'aerofono erano collegate anche le batterie di fotoelettriche posizionate a una certa distanza dalla postazione di artiglieria per rendere più difficile la localizzazione da parte dei bombardieri o dei caccia di scorta. A loro volta le diverse postazioni di zona erano collegate ad una centrale della difesa contraerea dove un pannello luminoso raccoglieva ed elaborava i dati provenienti dalle varie batterie. Tutte le comunicazioni dovevano giungere entro pochi minuti dal momento in cui nelle cuffie dell'aerofonista veniva captato il suono cupo dei motori degli aeroplani in volo.
Non fu facile la selezione per i ciechi che avevano aderito alla chiamata per il ruolo di aerofonisti: molte prove e settimane di addestramento li attendevano nelle scuole di Nettunia (oggi Nettuno), Gaeta e di altre città della penisola. Inizialmente i ciechi venivano addestrati con un simulatore costruito dalle Officine Galileo dove in una stanza isolata venivano riprodotti diversi suoni, compresi quelli ambientali che l'operatore avrebbe dovuto saper distinguere e separare dall'obiettivo principale dell'aereo in volo (vento, rumore del mare, animali, rumori meccanici ecc.). Quindi nel simulatore veniva riprodotto il suono di un motore d'aviazione, che il cieco doveva distinguere e seguire per poi indicare l'"agganciamento" del bersaglio tramite un pulsante. Sulla tabella luminosa dell'istruttore appariva il risultato con gli eventuali dati da correggere. Quindi l'addestramento proseguiva all'esterno ai comandi di un aerofono vero e proprio, dove l'allievo doveva seguire veri velivoli appositamente decollati per le esercitazioni di tiro contraereo. Una volta terminato l'addestramento, per i non vedenti in grigioverde le possibilità erano di essere inquadrati nei ranghi della MACA (Milizia Artiglieria Contro Aerei) oppure nelle postazioni di difesa costiera della MILMART (Milizia Artiglieria Marittima), divisi in legioni territoriali da cui dipendevano diverse postazioni o PAV (postazioni avvistamento velivoli). Durante la fase bellica saranno 827 i non vedenti arruolati che presero servizio nella difesa contraerea, dalle Alpi alla Sicilia.
Come un cieco può vedere dalle cuffie dell'aerofono
Nell'agosto del 1941 il Comando della MILMART rispose all'appello delle Officine Galileo di Firenze, che chiedevano l'invio di due aerofonisti ciechi presso i laboratori di ricerca al fine di studiare l'uso dell'apparecchio e gli effetti sui serventi per poterne migliorare le prestazioni. I due militi prescelti furono Ferruccio Cagianelli e Mario Petris. Dal rapporto stilato presso i laboratori fiorentini le parole dei due non vedenti dimostrarono ai normodotati qualcosa di straordinario. Terminate le prove, Cagianelli si rivolse ai tecnici della Galileo chiedendo che in ognuno dei padiglioni della cuffia venisse installato un cicalino acustico tarato su un tono acuto di 1500 periodi di frequenza. La richiesta era motivata dal fatto che quell'accorgimento tecnico avrebbe potuto migliorare di molto l'efficacia di collimazione, perché il cieco letteralmente "vedeva" i suoni una volta seduto e indossate le cuffie. Ad un rumore acuto il cervello trasmetteva l'immagine di una sottile linea biancastra verticale larga circa 3 millimetri di fronte al viso dell'ascoltatore, mentre un suono grave (come quello prodotto dai motori degli aerei) generava nel non vedente l'immagine di una macchia di forma circolare di colore tendente al marrone larga circa 3 centimetri, che si spostava nello spazio a seconda del movimento delle onde sonore. In poche parole l'aerofono produceva nel cieco una sorta di "mirino naturale", che permetteva una precisa collimazione dell'obiettivo una volta che la linea verticale si fosse trovata in asse con il cerchio marrone. Dall'aerofono O.G. mod. 40 collegato alla centrale di tiro tipo G.1, Cagianelli e Petris lasciarono a bocca aperta i tecnici e i militari che assistevano alla seduta sperimentale, quando constatarono l'estrema precisione dei dati inviati dall'aerofono all'elaboratore meccanico per l'alzo dei pezzi.
Fuoco nelle tenebre: storie di aerofonisti ciechi negli anni dei grandi bombardamenti sull'Italia
L'anno seguente gli esperimenti di Cagianelli e Petris, finì la relativa calma che aveva risparmiato i cieli d'Italia tra il 1941 e la fine del 1942, e la penisola divenne obiettivo di grandi bombardamenti a tappeto prima da parte del "Bomber Command" della RAF e quindi dell'USAAF. In questo spazio di tempo si collocano le storie magistralmente raccolte da Giorgio Cobolli nell'opera unica (ed ormai introvabile) "Gli Aerofonisti Ciechi durante la Seconda Guerra Mondiale" (edizione Unione Italiana Ciechi). I racconti personali dei militi vissuti nel buio dei loro occhi, fanno luce sulla durissima vita dei serventi delle batterie contraeree e della loro esposizione totale al fuoco nemico, alla cui furia devastante gli aerofonisti ciechi non potevano sottrarsi come gli altri commilitoni vedenti. Fortunatamente, il bilancio totale delle vittime tra i ciechi fu estremamente basso e dai dati a disposizione si sono accertati un morto per fuoco aereo, due per malattia e 17 feriti. La loro esperienza con la divisa terminò alla firma dell'armistizio con lo scioglimento della MVSN, ma le loro fatiche proseguiranno fino alla fine della guerra e oltre. Ecco alcune delle loro storie in breve, vissute nelle postazioni contraeree di tutta Italia dove solo verso la fine del 1943 furono installati i pochissimi radar prodotti dalle officine San Giorgio di Pistoia, che verranno rase al suolo proprio da una violenta incursione aerea alleata il 19 maggio 1944 prima di poter portare a termine la produzione delle apparecchiature.
Antonio Battistella di San Donà di Piave (Venezia) servì nella XI Legione MACA di Trieste, dove fu assegnato all'aerofono in località Monrupino del Carso, oggi in territorio sloveno. Il 9 settembre 1943 fu catturato dai partigiani titini e messo al muro nonostante la sua condizione di disabilità. Fu per un caso (che Antonio definì piuttosto un miracolo) che non fosse stato fucilato sul posto. Per intercessione dei compagni d'armi fu rinchiuso in una pensione come prigioniero e recuperato soltanto diversi giorni dopo dalla sorella.
Francesco Coppola, napoletano, fu assegnato dalla XIX Legione MACA alla batteria di San Giovanni a Teduccio. Qui rimase per un periodo senza il compagno che fu posto a riposo per malattia e si sentì inutile, dopo essere stato sostituito da personale vedente. Decise allora per una soluzione azzardata per un cieco, alla quale inizialmente i suoi superiori rifiutarono categoricamente di acconsentire. Ma l'insistenza di Francesco ebbe ragione sui timori, ottenendo alla fine il pericolosissimo compito di "scappucciatore" di proiettili fianco a fianco dei serventi dei cannoni. Era un compito delicatissimo anche per un vedente che Coppola, con una dedizione e un'attenzione massima, riuscì a portare a termine (con il cuore in gola e le gambe tremanti come ammise) in uno dei numerosi e violentissimi bombardamenti su Napoli durante il quale la sua batteria fu sfiorata da un ordigno di grosso calibro che per poco non li avrebbe fatti a pezzi.
Manrico Mione era diventato cieco da bambino per gli effetti di un ordigno inesploso della Grande Guerra. Arruolatosi nella XI legione MACA di Trieste fu assegnato al posto di ascolto di Duino del Timavo (oggi Slovenia) con il cieco ed amico Olivo Rizzo. Del servizio svolto come aerofonista ricordò con piacere quando fu in grado di aiutare i commilitoni vedenti nella raccolta e nel taglio della legna per le stufe. Dopo l' 8 settembre, durante la fuga rocambolesca verso casa, terminò la guerra nelle file della resistenza.
Francesco Ortensio di Bitonto, arruolatosi nel 1942, fu assegnato come Mione alla XI Legione MACA di Trieste. All'8 settembre è dapprima arrestato dai Tedeschi, quindi riconsegnato agli Italiani e congedato contestualmente. Il suo viaggio verso casa, tra brevi tratti in treno e lunghi tratti a piedi, durò dieci giorni.
Giuseppe Pollara da Petralia Soprana in provincia di Palermo era rimasto cieco per lo scoppio accidentale di una mina durante il lavoro in una cava. Era sposato con un figlio quando rispose alla chiamata alle armi come aerofonista, inquadrato nella XXII Legione Maca di Palermo che lo destinò alla protezione dell'aeroporto militare di Boccadifalco. La postazione dove era stato installato l'aerofono si trovava in una zona estremamente impervia, sulle alture dell'entroterra palermitano in località Torre Sant'Anna. Solo l'impresa di raggiungere la postazione attraverso sentieri dissestati risultava una prova molto impegnativa per un non vedente. Nella sua divisa grigioverde della Milizia contraerea con la scritta "cieco" ricamata in caratteri dorati Giuseppe passò lunghe notti all'aerofono fino a quando, il 25 maggio 1943 per poco non rimase ucciso durante un incursione dell'Usaaf che aveva come obiettivo proprio l'aeroporto di Boccadifalco, centrato da una grande formazione mista di bombardieri pesanti, medi e caccia decollata dalle basi nordafricane. Dalla pioggia di morte sputata dalle pance dei bombardieri Giuseppe fortunatamente rimediò soltanto una scheggia conficcata nell'elmetto quando, immobile, era rimasto attaccato all'aerofono dopo essersi tolto le cuffie per il fragore insopportabile amplificato dal macchinario, mentre i suoi commilitoni vedenti avevano trovato rifugio. Poco più tardi sarà trasferito alla batteria di Sambuca di Sicilia anche questa volta a protezione di un aeroporto, quello di Sciacca in provincia di Agrigento. Colto dallo sbarco alleato del luglio 1943, ritornò a Petralia a piedi dopo un viaggio durato quattro giorni.
Il Professore di filosofia Severino Schiff, udinese di nascita e bolognese di adozione, rimase cieco all'età di quattro anni per lo scoppio di un residuato bellico della Grande Guerra. Da Bologna, arruolatosi aerofonista volontario, fu trasferito alla batteria di Casamassima in provincia di Bari di competenza della XX Legione MACA, dove operò per un periodo assieme al concittadino e amico non vedente Nardecchia. Schiff ricorda nella sua testimonianza l'estrema soddisfazione che provò quando i dati provenienti dal suo aerofono furono talmente precisi che un bombardiere fu centrato in pieno e cadde a poca distanza dalla trincea parabolica dove era installato l'apparecchio di ascolto. Il suo amico Eliseo Nardecchia, residente anche lui a Bologna, dopo l'arruolamento fu inizialmente destinato in zona Castelletto-Serravalle di competenza della XII Legione della città felsinea. Fu il giovane non vedente ad accorgersi per primo dell'errato posizionamento dell'aerofono in quanto disturbato dalla vicinanza delle baracche di alloggiamento e dalla posizione stabilita scorrettamente ad un livello inferiore alla batteria, fatto che ne limitava decisamente l'efficienza. Durante la permanenza Eliseo trovò il modo di intrattenere tutti i commilitoni montando una vecchia radio galenica alla quale aveva apportato una originale modifica stendendo fili di rame a fare da antenna sul fianco del colle. In seguito sarà trasferito a Bari, dove ritroverà l'amico Severino Schiff, per essere quindi destinato alla batteria di Cassano Murge. Nardecchia partecipò alla difesa durante uno dei più intensi bombardamenti su Bari avvenuto il lunedì di Pasqua del 1943, che costò 14 morti e centinaia di feriti tra la popolazione civile. All'armistizio il bolognese si ritrova tra due fuochi, temendo sia la rappresaglia dei Tedeschi in ritirata che l'avanzata anglo-americana. Sarà più tardi testimone del "ribaltamento" del fronte del cielo quando la Luftwaffe colpirà violentemente il territorio del capoluogo pugliese il 2 dicembre del 1943, periodo in cui sia lui che l'amico Schiff patirono letteralmente la fame non ricevendo più il rancio della Milizia dissolta dopo l'armistizio. La svolta per i due non vedenti, entrambi validi musicisti, venne dal ricostituito Esercito del Sud nei ranghi del quale i due amici finirono la guerra incorporati nella banda militare.
Foino Marucchi, classe 1898 si arruolò presso la V legione Maca di Milano a protezione dello strategico stabilimento aeronautico Caproni di Taliedo. Alla batteria fu umiliato da un sedicente superiore che evidentemente non gradiva la presenza di un non vedente nel suo gruppo. Il graduato gli aveva consegnato un fucile, affermando sprezzante che se un cieco si considerava un soldato "come gli altri", allora avrebbe dovuto saper usare l'arma individuale. Marucchi non si lasciò scoraggiare dall'affronto e una notte, mentre si trovava in servizio, sentì nelle cuffie dell'aerofono un fruscio sospetto provenire dalla vicina vegetazione, che il suo udito sopraffino localizzò perfettamente. Imbracciato il fucile, si diresse dalla parte del rumore e intimò urlando la parola d'ordine con il colpo in canna. Pochi istanti dopo una voce rispondeva tremante: "Trieste!". Era proprio quel superiore che lo aveva sottovalutato che, terreo in volto, avanzò le mani in alto verso Marucchi.
Dino Viacava, cieco dalla nascita, studiò a Firenze nelle scuole speciali volute dal presidente dell'Unione Aurelio Nicolodi. Assegnato alla MILMART prese parte alle prove sperimentali sul litorale di Viareggio dove ricorda di aver inseguito con l'aerofono un idrovolante decollato appositamente da Orbetello. Nel 1941 è inquadrato nella XIII legione di Livorno, mentre Giuseppe Graziano, classe 1918 e cieco per atrofia dei bulbi oculari, entrò nel 1940 nella MILMART di Trapani a difesa dell'aeroporto militare di Trapani-Milo. L'1 aprile 1943 alle 15:20 gli Americani presero di mira la pista d'atterraggio, arrecando gravi danni e distruzione anche al porto della città siciliana. L' aerofonista ricorda la strage avvenuta nel rifugio del Comando della Regia Marina, dove una bomba dirompente uccise tutti i militari presenti. Passata la tempesta, un giorno si trovava nei pressi di una fontana pubblica quando gli si avvicinò una giovane donna disperata che accompagnava due bambini piccoli segnati dalla fame. La giovane si rivolse a Graziano domandandogli se avesse del pane da vendergli. L'aerofonista non ebbe esitazione: prese immediatamente due filoni di pane non chiedendo nulla in cambio, perché quella per lui era l'etica di un soldato. Anzi, Giuseppe fece molto di più per quella famiglia allo stremo, chiedendo ed ottenendo il permesso di ospitare ogni giorno i due bambini alla mensa della batteria. Nei suoi ricordi emerge la generale stima che godette durante il servizio a Trapani, eccezion fatta per un episodio avvenuto a ridosso di un bombardamento quando un'anziana trapanese osò sputargli addosso urlando che le incursioni avrebbero avuto successo finché la popolazione fosse stata difesa da "derelitti" come i ciechi.
Antonio Mazzeo perse la vista per uno spruzzo di calce viva sul lavoro. Pugliese di San Severo della classe 1923, si arruolò volontario a ridosso dell'armistizio e inviato alla MACA di Trieste, dove ricorda il caos e l'indifferenza delle persone e dei commilitoni sbandati dalla resa dell'Italia. Fu lui che, avendo un residuo visivo di appena 1/50 dovette accompagnare il compagno non vedente Carlo Antiga fino a Valdobbiadene, per poi affrontare un viaggio di oltre 600 chilometri percorsi per la maggior parte a piedi fino a San Severo nascondendosi dai Tedeschi che deportavano gli italiani sbandati.
Molto credente, Mazzeo dichiarò nelle sue memorie che " Lo Spirito Santo ci ha accompagnati in quel viaggio di ritorno verso le nostre case, perché fummo lasciati soli, noi due ciechi, in mezzo a quella bufera militare dove la solidarietà era sconosciuta". (Cobolli, Op.cit.)
Storia di Enrico Tiana, l'aerofonista caduto
Enrico Tiana era nato cieco nel 1916 ad Arbus, in Sardegna. Formatosi alle scuole speciali come musicista, nel 1940 aderisce con entusiasmo al bando di arruolamento nella Milizia contraerea. L'addestramento nella scuola aerofonisti di Cagliari lo vide uscire primo in graduatoria, superando molti compagni di corso vedenti. Dal settembre 1941 al gennaio 1942 con la XVII Legione fu assegnato alla postazione antiaerea di Flumentorgiu a sud di Oristano ed in seguito a quella di Fenustruvu, nella postazione di artiglieria costiera nei pressi di Piscinas di Arbus, vicino al paese natale. Durante il servizio il giovane artigliere aerofonista lasciò un diario destinato alla madre e scritto in caratteri speciali destinati ai vedenti. Dalle pagine emerge un commuovente spaccato della vita quotidiana di un cieco in una postazione contraerea, dove il servizio svolto prevalentemente nelle ore notturne era intervallato da momenti di svago (la pesca dei ricci, le nuotate guidato dalla voce dei compagni sulla riva, le serate musicali e l'approssimarsi dei temporali ascoltati all'aerofono in anticipo). Enrico era un'anima gentile, affrontava le lunghe notti sul sedile
metallico dell'aerofono con diligenza esposto a qualunque condizione climatica. Tutto finì improvvisamente il 26 agosto 1943 quando Tiana aveva intercettato una formazione di aerei nemici in transito ed aveva dato l'allarme. Si trattava di cacciabombardieri Curtiss P-40 Warhawk del 325° Fighter Group che avevano colpito Carloforte e si stavano allontanando. All'improvviso uno degli incursori si sganciò dalla formazione e puntò dritto alla postazione contraerea di Fenustruvu. Istanti più tardi il caccia americano a volo radente vomitò il suo carico di morte dalle mitragliatrici Browning, che falciarono Enrico Tiana e i due commilitoni Concas e Porcu, tra cui uno era il suo accompagnatore. La salma di Tiana fu recuperata dal marconista di Arbus Adolfo Atzeni e dal capomanipolo MVSN Mario Salezzari e composta nella chiesa di Arbus, dove i tre caduti furono vegliati da un picchetto misto della Milizia e dei Marò del Battaglione San Marco. Enrico Tiana fu decorato con la Croce di Guerra, che soltanto anni dopo sarà ritirata dal fratello Angelo assieme all'encomio del Distretto Militare di Cagliari.
Terminata la guerra, per gli aerofonisti e più in generale per tutti i non vedenti d'Italia si apriva un periodo di incertezze e di difficoltà dovute alla crisi profonda che il Paese dovette affrontare nei primi anni del dopoguerra. Tornati alla vita civile, gli ex militi della difesa contraerea intrapresero diverse strade (centralinisti, fisioterapisti, insegnanti) supportati costantemente dalla guida illuminata del neo presidente dell'Unione Italiana Ciechi Paolo Bentivoglio, succeduto a Nicolodi nel 1945. Il riconoscimento ufficiale dell'opera degli aerofonisti ciechi durante la guerra si ottenne nel 1988 in seguito alla richiesta da parte dell'UIC all'allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Alla presenza del Ministro della Difesa Valerio Zanone gli aerofonisti ciechi superstiti furono tutti insigniti della Croce di Cavaliere al Merito dell'Ordine Militare della Repubblica. Era il 3 giugno 1988 e più di quarant'anni dopo la fine della guerra fu riconosciuto il valore di chi, pur soffrendo una grave disabilità, si era offerto volontario per un delicatissimo compito che fu sempre di difesa e che fornì per gli anni più bui la protezione di un occhio vigile, garantito da coloro ai quali la sorte aveva spento la vista.
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Si fatica persino ad immaginare, ad ottant'anni di distanza, cosa possano avere vissuto gli uomini della contraerea impegnati nella difesa del territorio italiano quando l'inferno si scatenò dal cielo in migliaia di incursioni che colpirono tutta la penisola tra il 1940 e il 1945. Ancora più sbalorditi si rimane quando si scopre che diverse centinaia di questi "radar umani" erano persone prive della vista.L'impiego dei ciechi nella Milizia contraerei anticipò di pochi mesi lo scoppio del conflitto mondiale e fu sancita dopo un acceso dibattito parlamentare non privo di forti contrapposizioni all'utilizzo di una tale disabilità in guerra. Fu soprattutto la pressione sulle autorità militari da parte del primo presidente dell'Unione Italiana Ciechi a condurre ad una legge che permise ai non vedenti l'arruolamento nell'artiglieria contraerea della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale. Aurelio Nicolodi (per curiosità bisnonno dell'attrice Asia Argento) era un irredentista trentino che aveva perso la vista durante la Grande Guerra in un'azione sul Monte Sei Busi (Gorizia) ed aveva fondato nel primo dopoguerra l'associazione che raccoglieva i privi della vista allo scopo di migliorarne l'istruzione e l'inserimento nel mondo del lavoro, un concetto ancora agli albori nella prima metà del ventesimo secolo. L'idea di includere i privi della vista nella specialità contraerea gli venne in seguito ad una conversazione che ebbe durante un viaggio in treno con un alto ufficiale del Regio Esercito, il quale gli spiegò che gli artiglieri vedenti venivano spesso bendati nelle esercitazioni di intercettazione acustica per migliorarne la concentrazione. Nicolodi fu illuminato da quella rivelazione e, da cieco, ben sapeva quanto l'udito fosse particolarmente sviluppato negli individui privi della vista, che avrebbero potuto rendersi parte attiva alla difesa nazionale esattamente come i normodotati. Dopo un'intensa attività di lobbying presso i politici e i militari la sua caparbietà fu premiata con una legge, la n. 1827/1939 che sanciva la possibilità per i non vedenti di arruolarsi nell'artiglieria contraerea della MVSN, tramite i centri di riferimento dell'Unione Italiana Ciechi, in qualità di operatori aerofonisti.L'entusiasmo tra i ciechi italiani si concretizzò in circa 2,500 domande di ammissione in una specialità di artiglieria che, grazie al loro affinatissimo udito, li rendeva più abili degli abili. Non secondario poi era il senso di completa integrazione che il vestire la divisa grigioverde significò per i privi della vista accettati come elementi pienamente attivi nella difesa del territorio italiano. La situazione dell'artiglieria contraerei alla vigilia dell'ingresso in guerra per l'Italia non era tuttavia tra le più rosee. Dalla Grande Guerra erano ancora in linea pezzi vetusti (come le mitragliatrici Saint Etienne e Fiat o i pezzi campali adattati al tiro contraereo ) mentre fu solo poco prima della guerra che iniziarono ad entrare in linea i pezzi da 75/46 e i "gioielli" da 90/53 (da cui è tratta la famosa espressione "pezzo da 90"). Per quanto riguarda gli strumenti per l'intercettazione a distanza degli aerei nemici, il progresso tecnico aveva permesso di realizzare l'apparecchio meccanico all'epoca più affidabile e diffuso, l'aerofono. Lo strumento, costruito dalle industrie italiane Officine Galileo, Safar e San Giorgio, consisteva di due (o più frequentemente quattro) amplificatori a "tromba" disassati tra loro e uniti con canne ricurve a cuffie ad alto isolamento acustico. Il movimento manuale tramite volantini permetteva di ruotare oppure di alzare e abbassare gli strumenti per seguire la sorgente acustica. Intercettato il rumore l'aerofono forniva i dati e le stime di rotta ad una centralina che forniva l'alzo e registrava la correzione di parallasse a seconda della velocità e della rotta dell'apparecchio. A quel punto il servente della centralina comunicava i dati al pezzo d'artiglieria (spesso con impianti telefonici a cavi scoperti) il quale procedeva al puntamento e al fuoco. All'aerofono erano collegate anche le batterie di fotoelettriche posizionate a una certa distanza dalla postazione di artiglieria per rendere più difficile la localizzazione da parte dei bombardieri o dei caccia di scorta. A loro volta le diverse postazioni di zona erano collegate ad una centrale della difesa contraerea dove un pannello luminoso raccoglieva ed elaborava i dati provenienti dalle varie batterie. Tutte le comunicazioni dovevano giungere entro pochi minuti dal momento in cui nelle cuffie dell'aerofonista veniva captato il suono cupo dei motori degli aeroplani in volo. Non fu facile la selezione per i ciechi che avevano aderito alla chiamata per il ruolo di aerofonisti: molte prove e settimane di addestramento li attendevano nelle scuole di Nettunia (oggi Nettuno), Gaeta e di altre città della penisola. Inizialmente i ciechi venivano addestrati con un simulatore costruito dalle Officine Galileo dove in una stanza isolata venivano riprodotti diversi suoni, compresi quelli ambientali che l'operatore avrebbe dovuto saper distinguere e separare dall'obiettivo principale dell'aereo in volo (vento, rumore del mare, animali, rumori meccanici ecc.). Quindi nel simulatore veniva riprodotto il suono di un motore d'aviazione, che il cieco doveva distinguere e seguire per poi indicare l'"agganciamento" del bersaglio tramite un pulsante. Sulla tabella luminosa dell'istruttore appariva il risultato con gli eventuali dati da correggere. Quindi l'addestramento proseguiva all'esterno ai comandi di un aerofono vero e proprio, dove l'allievo doveva seguire veri velivoli appositamente decollati per le esercitazioni di tiro contraereo. Una volta terminato l'addestramento, per i non vedenti in grigioverde le possibilità erano di essere inquadrati nei ranghi della MACA (Milizia Artiglieria Contro Aerei) oppure nelle postazioni di difesa costiera della MILMART (Milizia Artiglieria Marittima), divisi in legioni territoriali da cui dipendevano diverse postazioni o PAV (postazioni avvistamento velivoli). Durante la fase bellica saranno 827 i non vedenti arruolati che presero servizio nella difesa contraerea, dalle Alpi alla Sicilia.Come un cieco può vedere dalle cuffie dell'aerofonoNell'agosto del 1941 il Comando della MILMART rispose all'appello delle Officine Galileo di Firenze, che chiedevano l'invio di due aerofonisti ciechi presso i laboratori di ricerca al fine di studiare l'uso dell'apparecchio e gli effetti sui serventi per poterne migliorare le prestazioni. I due militi prescelti furono Ferruccio Cagianelli e Mario Petris. Dal rapporto stilato presso i laboratori fiorentini le parole dei due non vedenti dimostrarono ai normodotati qualcosa di straordinario. Terminate le prove, Cagianelli si rivolse ai tecnici della Galileo chiedendo che in ognuno dei padiglioni della cuffia venisse installato un cicalino acustico tarato su un tono acuto di 1500 periodi di frequenza. La richiesta era motivata dal fatto che quell'accorgimento tecnico avrebbe potuto migliorare di molto l'efficacia di collimazione, perché il cieco letteralmente "vedeva" i suoni una volta seduto e indossate le cuffie. Ad un rumore acuto il cervello trasmetteva l'immagine di una sottile linea biancastra verticale larga circa 3 millimetri di fronte al viso dell'ascoltatore, mentre un suono grave (come quello prodotto dai motori degli aerei) generava nel non vedente l'immagine di una macchia di forma circolare di colore tendente al marrone larga circa 3 centimetri, che si spostava nello spazio a seconda del movimento delle onde sonore. In poche parole l'aerofono produceva nel cieco una sorta di "mirino naturale", che permetteva una precisa collimazione dell'obiettivo una volta che la linea verticale si fosse trovata in asse con il cerchio marrone. Dall'aerofono O.G. mod. 40 collegato alla centrale di tiro tipo G.1, Cagianelli e Petris lasciarono a bocca aperta i tecnici e i militari che assistevano alla seduta sperimentale, quando constatarono l'estrema precisione dei dati inviati dall'aerofono all'elaboratore meccanico per l'alzo dei pezzi.Fuoco nelle tenebre: storie di aerofonisti ciechi negli anni dei grandi bombardamenti sull'ItaliaL'anno seguente gli esperimenti di Cagianelli e Petris, finì la relativa calma che aveva risparmiato i cieli d'Italia tra il 1941 e la fine del 1942, e la penisola divenne obiettivo di grandi bombardamenti a tappeto prima da parte del "Bomber Command" della RAF e quindi dell'USAAF. In questo spazio di tempo si collocano le storie magistralmente raccolte da Giorgio Cobolli nell'opera unica (ed ormai introvabile) "Gli Aerofonisti Ciechi durante la Seconda Guerra Mondiale" (edizione Unione Italiana Ciechi). I racconti personali dei militi vissuti nel buio dei loro occhi, fanno luce sulla durissima vita dei serventi delle batterie contraeree e della loro esposizione totale al fuoco nemico, alla cui furia devastante gli aerofonisti ciechi non potevano sottrarsi come gli altri commilitoni vedenti. Fortunatamente, il bilancio totale delle vittime tra i ciechi fu estremamente basso e dai dati a disposizione si sono accertati un morto per fuoco aereo, due per malattia e 17 feriti. La loro esperienza con la divisa terminò alla firma dell'armistizio con lo scioglimento della MVSN, ma le loro fatiche proseguiranno fino alla fine della guerra e oltre. Ecco alcune delle loro storie in breve, vissute nelle postazioni contraeree di tutta Italia dove solo verso la fine del 1943 furono installati i pochissimi radar prodotti dalle officine San Giorgio di Pistoia, che verranno rase al suolo proprio da una violenta incursione aerea alleata il 19 maggio 1944 prima di poter portare a termine la produzione delle apparecchiature. Antonio Battistella di San Donà di Piave (Venezia) servì nella XI Legione MACA di Trieste, dove fu assegnato all'aerofono in località Monrupino del Carso, oggi in territorio sloveno. Il 9 settembre 1943 fu catturato dai partigiani titini e messo al muro nonostante la sua condizione di disabilità. Fu per un caso (che Antonio definì piuttosto un miracolo) che non fosse stato fucilato sul posto. Per intercessione dei compagni d'armi fu rinchiuso in una pensione come prigioniero e recuperato soltanto diversi giorni dopo dalla sorella.Francesco Coppola, napoletano, fu assegnato dalla XIX Legione MACA alla batteria di San Giovanni a Teduccio. Qui rimase per un periodo senza il compagno che fu posto a riposo per malattia e si sentì inutile, dopo essere stato sostituito da personale vedente. Decise allora per una soluzione azzardata per un cieco, alla quale inizialmente i suoi superiori rifiutarono categoricamente di acconsentire. Ma l'insistenza di Francesco ebbe ragione sui timori, ottenendo alla fine il pericolosissimo compito di "scappucciatore" di proiettili fianco a fianco dei serventi dei cannoni. Era un compito delicatissimo anche per un vedente che Coppola, con una dedizione e un'attenzione massima, riuscì a portare a termine (con il cuore in gola e le gambe tremanti come ammise) in uno dei numerosi e violentissimi bombardamenti su Napoli durante il quale la sua batteria fu sfiorata da un ordigno di grosso calibro che per poco non li avrebbe fatti a pezzi.Manrico Mione era diventato cieco da bambino per gli effetti di un ordigno inesploso della Grande Guerra. Arruolatosi nella XI legione MACA di Trieste fu assegnato al posto di ascolto di Duino del Timavo (oggi Slovenia) con il cieco ed amico Olivo Rizzo. Del servizio svolto come aerofonista ricordò con piacere quando fu in grado di aiutare i commilitoni vedenti nella raccolta e nel taglio della legna per le stufe. Dopo l' 8 settembre, durante la fuga rocambolesca verso casa, terminò la guerra nelle file della resistenza. Francesco Ortensio di Bitonto, arruolatosi nel 1942, fu assegnato come Mione alla XI Legione MACA di Trieste. All'8 settembre è dapprima arrestato dai Tedeschi, quindi riconsegnato agli Italiani e congedato contestualmente. Il suo viaggio verso casa, tra brevi tratti in treno e lunghi tratti a piedi, durò dieci giorni. Giuseppe Pollara da Petralia Soprana in provincia di Palermo era rimasto cieco per lo scoppio accidentale di una mina durante il lavoro in una cava. Era sposato con un figlio quando rispose alla chiamata alle armi come aerofonista, inquadrato nella XXII Legione Maca di Palermo che lo destinò alla protezione dell'aeroporto militare di Boccadifalco. La postazione dove era stato installato l'aerofono si trovava in una zona estremamente impervia, sulle alture dell'entroterra palermitano in località Torre Sant'Anna. Solo l'impresa di raggiungere la postazione attraverso sentieri dissestati risultava una prova molto impegnativa per un non vedente. Nella sua divisa grigioverde della Milizia contraerea con la scritta "cieco" ricamata in caratteri dorati Giuseppe passò lunghe notti all'aerofono fino a quando, il 25 maggio 1943 per poco non rimase ucciso durante un incursione dell'Usaaf che aveva come obiettivo proprio l'aeroporto di Boccadifalco, centrato da una grande formazione mista di bombardieri pesanti, medi e caccia decollata dalle basi nordafricane. Dalla pioggia di morte sputata dalle pance dei bombardieri Giuseppe fortunatamente rimediò soltanto una scheggia conficcata nell'elmetto quando, immobile, era rimasto attaccato all'aerofono dopo essersi tolto le cuffie per il fragore insopportabile amplificato dal macchinario, mentre i suoi commilitoni vedenti avevano trovato rifugio. Poco più tardi sarà trasferito alla batteria di Sambuca di Sicilia anche questa volta a protezione di un aeroporto, quello di Sciacca in provincia di Agrigento. Colto dallo sbarco alleato del luglio 1943, ritornò a Petralia a piedi dopo un viaggio durato quattro giorni.Il Professore di filosofia Severino Schiff, udinese di nascita e bolognese di adozione, rimase cieco all'età di quattro anni per lo scoppio di un residuato bellico della Grande Guerra. Da Bologna, arruolatosi aerofonista volontario, fu trasferito alla batteria di Casamassima in provincia di Bari di competenza della XX Legione MACA, dove operò per un periodo assieme al concittadino e amico non vedente Nardecchia. Schiff ricorda nella sua testimonianza l'estrema soddisfazione che provò quando i dati provenienti dal suo aerofono furono talmente precisi che un bombardiere fu centrato in pieno e cadde a poca distanza dalla trincea parabolica dove era installato l'apparecchio di ascolto. Il suo amico Eliseo Nardecchia, residente anche lui a Bologna, dopo l'arruolamento fu inizialmente destinato in zona Castelletto-Serravalle di competenza della XII Legione della città felsinea. Fu il giovane non vedente ad accorgersi per primo dell'errato posizionamento dell'aerofono in quanto disturbato dalla vicinanza delle baracche di alloggiamento e dalla posizione stabilita scorrettamente ad un livello inferiore alla batteria, fatto che ne limitava decisamente l'efficienza. Durante la permanenza Eliseo trovò il modo di intrattenere tutti i commilitoni montando una vecchia radio galenica alla quale aveva apportato una originale modifica stendendo fili di rame a fare da antenna sul fianco del colle. In seguito sarà trasferito a Bari, dove ritroverà l'amico Severino Schiff, per essere quindi destinato alla batteria di Cassano Murge. Nardecchia partecipò alla difesa durante uno dei più intensi bombardamenti su Bari avvenuto il lunedì di Pasqua del 1943, che costò 14 morti e centinaia di feriti tra la popolazione civile. All'armistizio il bolognese si ritrova tra due fuochi, temendo sia la rappresaglia dei Tedeschi in ritirata che l'avanzata anglo-americana. Sarà più tardi testimone del "ribaltamento" del fronte del cielo quando la Luftwaffe colpirà violentemente il territorio del capoluogo pugliese il 2 dicembre del 1943, periodo in cui sia lui che l'amico Schiff patirono letteralmente la fame non ricevendo più il rancio della Milizia dissolta dopo l'armistizio. La svolta per i due non vedenti, entrambi validi musicisti, venne dal ricostituito Esercito del Sud nei ranghi del quale i due amici finirono la guerra incorporati nella banda militare. Foino Marucchi, classe 1898 si arruolò presso la V legione Maca di Milano a protezione dello strategico stabilimento aeronautico Caproni di Taliedo. Alla batteria fu umiliato da un sedicente superiore che evidentemente non gradiva la presenza di un non vedente nel suo gruppo. Il graduato gli aveva consegnato un fucile, affermando sprezzante che se un cieco si considerava un soldato "come gli altri", allora avrebbe dovuto saper usare l'arma individuale. Marucchi non si lasciò scoraggiare dall'affronto e una notte, mentre si trovava in servizio, sentì nelle cuffie dell'aerofono un fruscio sospetto provenire dalla vicina vegetazione, che il suo udito sopraffino localizzò perfettamente. Imbracciato il fucile, si diresse dalla parte del rumore e intimò urlando la parola d'ordine con il colpo in canna. Pochi istanti dopo una voce rispondeva tremante: "Trieste!". Era proprio quel superiore che lo aveva sottovalutato che, terreo in volto, avanzò le mani in alto verso Marucchi. Dino Viacava, cieco dalla nascita, studiò a Firenze nelle scuole speciali volute dal presidente dell'Unione Aurelio Nicolodi. Assegnato alla MILMART prese parte alle prove sperimentali sul litorale di Viareggio dove ricorda di aver inseguito con l'aerofono un idrovolante decollato appositamente da Orbetello. Nel 1941 è inquadrato nella XIII legione di Livorno, mentre Giuseppe Graziano, classe 1918 e cieco per atrofia dei bulbi oculari, entrò nel 1940 nella MILMART di Trapani a difesa dell'aeroporto militare di Trapani-Milo. L'1 aprile 1943 alle 15:20 gli Americani presero di mira la pista d'atterraggio, arrecando gravi danni e distruzione anche al porto della città siciliana. L' aerofonista ricorda la strage avvenuta nel rifugio del Comando della Regia Marina, dove una bomba dirompente uccise tutti i militari presenti. Passata la tempesta, un giorno si trovava nei pressi di una fontana pubblica quando gli si avvicinò una giovane donna disperata che accompagnava due bambini piccoli segnati dalla fame. La giovane si rivolse a Graziano domandandogli se avesse del pane da vendergli. L'aerofonista non ebbe esitazione: prese immediatamente due filoni di pane non chiedendo nulla in cambio, perché quella per lui era l'etica di un soldato. Anzi, Giuseppe fece molto di più per quella famiglia allo stremo, chiedendo ed ottenendo il permesso di ospitare ogni giorno i due bambini alla mensa della batteria. Nei suoi ricordi emerge la generale stima che godette durante il servizio a Trapani, eccezion fatta per un episodio avvenuto a ridosso di un bombardamento quando un'anziana trapanese osò sputargli addosso urlando che le incursioni avrebbero avuto successo finché la popolazione fosse stata difesa da "derelitti" come i ciechi.Antonio Mazzeo perse la vista per uno spruzzo di calce viva sul lavoro. Pugliese di San Severo della classe 1923, si arruolò volontario a ridosso dell'armistizio e inviato alla MACA di Trieste, dove ricorda il caos e l'indifferenza delle persone e dei commilitoni sbandati dalla resa dell'Italia. Fu lui che, avendo un residuo visivo di appena 1/50 dovette accompagnare il compagno non vedente Carlo Antiga fino a Valdobbiadene, per poi affrontare un viaggio di oltre 600 chilometri percorsi per la maggior parte a piedi fino a San Severo nascondendosi dai Tedeschi che deportavano gli italiani sbandati.Molto credente, Mazzeo dichiarò nelle sue memorie che " Lo Spirito Santo ci ha accompagnati in quel viaggio di ritorno verso le nostre case, perché fummo lasciati soli, noi due ciechi, in mezzo a quella bufera militare dove la solidarietà era sconosciuta". (Cobolli, Op.cit.)Storia di Enrico Tiana, l'aerofonista cadutoEnrico Tiana era nato cieco nel 1916 ad Arbus, in Sardegna. Formatosi alle scuole speciali come musicista, nel 1940 aderisce con entusiasmo al bando di arruolamento nella Milizia contraerea. L'addestramento nella scuola aerofonisti di Cagliari lo vide uscire primo in graduatoria, superando molti compagni di corso vedenti. Dal settembre 1941 al gennaio 1942 con la XVII Legione fu assegnato alla postazione antiaerea di Flumentorgiu a sud di Oristano ed in seguito a quella di Fenustruvu, nella postazione di artiglieria costiera nei pressi di Piscinas di Arbus, vicino al paese natale. Durante il servizio il giovane artigliere aerofonista lasciò un diario destinato alla madre e scritto in caratteri speciali destinati ai vedenti. Dalle pagine emerge un commuovente spaccato della vita quotidiana di un cieco in una postazione contraerea, dove il servizio svolto prevalentemente nelle ore notturne era intervallato da momenti di svago (la pesca dei ricci, le nuotate guidato dalla voce dei compagni sulla riva, le serate musicali e l'approssimarsi dei temporali ascoltati all'aerofono in anticipo). Enrico era un'anima gentile, affrontava le lunghe notti sul sedile metallico dell'aerofono con diligenza esposto a qualunque condizione climatica. Tutto finì improvvisamente il 26 agosto 1943 quando Tiana aveva intercettato una formazione di aerei nemici in transito ed aveva dato l'allarme. Si trattava di cacciabombardieri Curtiss P-40 Warhawk del 325° Fighter Group che avevano colpito Carloforte e si stavano allontanando. All'improvviso uno degli incursori si sganciò dalla formazione e puntò dritto alla postazione contraerea di Fenustruvu. Istanti più tardi il caccia americano a volo radente vomitò il suo carico di morte dalle mitragliatrici Browning, che falciarono Enrico Tiana e i due commilitoni Concas e Porcu, tra cui uno era il suo accompagnatore. La salma di Tiana fu recuperata dal marconista di Arbus Adolfo Atzeni e dal capomanipolo MVSN Mario Salezzari e composta nella chiesa di Arbus, dove i tre caduti furono vegliati da un picchetto misto della Milizia e dei Marò del Battaglione San Marco. Enrico Tiana fu decorato con la Croce di Guerra, che soltanto anni dopo sarà ritirata dal fratello Angelo assieme all'encomio del Distretto Militare di Cagliari. Terminata la guerra, per gli aerofonisti e più in generale per tutti i non vedenti d'Italia si apriva un periodo di incertezze e di difficoltà dovute alla crisi profonda che il Paese dovette affrontare nei primi anni del dopoguerra. Tornati alla vita civile, gli ex militi della difesa contraerea intrapresero diverse strade (centralinisti, fisioterapisti, insegnanti) supportati costantemente dalla guida illuminata del neo presidente dell'Unione Italiana Ciechi Paolo Bentivoglio, succeduto a Nicolodi nel 1945. Il riconoscimento ufficiale dell'opera degli aerofonisti ciechi durante la guerra si ottenne nel 1988 in seguito alla richiesta da parte dell'UIC all'allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Alla presenza del Ministro della Difesa Valerio Zanone gli aerofonisti ciechi superstiti furono tutti insigniti della Croce di Cavaliere al Merito dell'Ordine Militare della Repubblica. Era il 3 giugno 1988 e più di quarant'anni dopo la fine della guerra fu riconosciuto il valore di chi, pur soffrendo una grave disabilità, si era offerto volontario per un delicatissimo compito che fu sempre di difesa e che fornì per gli anni più bui la protezione di un occhio vigile, garantito da coloro ai quali la sorte aveva spento la vista.
Gabriele D'Annunzio (Ansa)
Il patrimonio mondiale dell’umanità rappresentato dalla cucina italiana sarà pure «immateriale», come da definizione Unesco, ma è fatto di carne, ossa, talento e creatività. È il risultato delle centinaia di migliaia di persone che, nel corso dei secoli e dei millenni, hanno affinato tecniche, scoperto ingredienti, assemblato gusti, allevato animali con amore e coltivato la terra con altrettanta dedizione. Insomma, dietro la cucina italiana ci sono... gli italiani.
Ed è a tutti questi peones e protagonisti della nostra storia che il riconoscimento va intestato. Ma anche a chi assapora le pietanze in un ristorante, in un bistrot o in un agriturismo. Alla fine, se ci si pensa, la cucina italiana siamo tutti noi: sono i grandi chef come le mamme o le nonne che si danno da fare tra le padelle della cucina. Sono i clienti dei ristoranti, gli amanti dei formaggi come dei salumi. Sono i giornalisti che fanno divulgazione, sono i fotografi che immortalano i piatti, sono gli scrittori che dedicano pagine e pagine delle loro opere ai manicaretti preferiti dal protagonista di questo o quel romanzo. Insomma, la cucina è cultura, identità, passato e anche futuro.
Giancarlo Saran, gastropenna di questo giornale, ha dato alle stampe Peccatori di gola 2 (Bolis edizioni, 18 euro, seguito del fortunato libro uscito nel 2024 vincitore del Premio selezione Bancarella cucina), volume contenente 13 ritratti di personaggi di spicco del mondo dell’italica buona tavola («Un viaggio curioso e goloso tra tavola e dintorni, con illustri personaggi del Novecento compresi alcuni insospettabili», sentenzia l’autore sulla quarta di copertina). Ci sono il «fotografo» Bob Noto e l’attore Ugo Tognazzi, l’imprenditore Giancarlo Ligabue e gli scrittori Gabriele D’Annunzio, Leonardo Sciascia e Andrea Camilleri. E poi ancora Lella Fabrizi (la sora Lella), Luciano Pavarotti, Pietro Marzotto, Gianni Frasi, Alfredo Beltrame, Giuseppe Maffioli, Pellegrino Artusi.
Un giro d’Italia culinario, quello di Saran, che testimonia come il riconoscimento Unesco potrebbe dare ulteriore valore al nostro made in Italy, con risvolti di vario tipo: rispetto dell’ambiente e delle nostre tradizioni, volano per l’economia e per il turismo, salvaguardia delle radici dal pericolo di una appiattente omologazione sociale e culturale. Sfogliando Peccatori 2, si può possono scovare, praticamente a ogni pagina, delle chicche. Tipo, la passione di D’Annunzio per le uova e la frittata. Scrive Saran: «D’Annunzio aveva un’esperienza indelebile legata alle frittate, che ebbe occasione di esercitare in diretta nelle giornate di vacanza a Francavilla con i suoi giovani compagni di ventura in cui, a rotazione, erano chiamati “l’uno a sfamare tutti gli altri”. Lasciamogli la cronaca in diretta. Chi meglio di lui. “In un pomeriggio di luglio ci attardavamo nella delizia del bagno quando mi fu rammentato, con le voci della fame, toccare a me le cura della cucina”. La affronta come si deve. “Non mancai di avvolgermi in una veste di lino rapita a Ebe”, la dea della giovinezza, “e di correre verso la vasta dimora costruita di tufo e adornata di maioliche paesane”. Non c’è storia: “Ruppi trentatré uova e, dopo averle sbattute, le agguagliai (mischiai) nella padella dal manico di ferro lungo come quello di una chitarra”. La notte è illuminata dal chiaro di luna che si riflette sulle onde, silenziose in attesa, e fu così che “adunai la sapienza e il misurato vigore... e diedi il colpo attentissimo a ricevere la frittata riversa”. Ma nulla da fare, questa, volando nel cielo non ricadde a terra, ovvero sulla padella. E qui avviene il miracolo laico. “Nel volgere gli occhi al cielo scorsi nel bagliore del novilunio la tunica e l’ala di un angelo”. Il finale conseguente. “L’angelo, nel passaggio, aveva colta la frittata in aria, l’aveva rapita, la sosteneva con le dita” con la missione imperativa di recarla ai Beati, “offerta di perfezione terrestre...”, di cui lui era stato (seppur involontario) protagonista. “Io mi vanto maestro insuperabile nell’arte della frittata per riconoscimento celestiale”.
La buona e sana cucina, dunque, ha come traino produttori e ristoratori «ma ancor più valore aggiunto deriva da degni ambasciatori e, con questo, i Peccatori di gola credo meritino piena assoluzione», conclude l’autore.
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Dal primo luglio 2026, in tutta l’Unione europea entrerà in vigore un contributo fisso di tre euro per ciascun prodotto acquistato su internet e spedito da Paesi extra-Ue, quando il valore della spedizione è inferiore a 150 euro. L’orientamento politico era stato definito già il mese scorso; la riunione di ieri del Consiglio Ecofin (12 dicembre) ne ha reso operativa l’applicazione, stabilendone i criteri.
Il prelievo di 3 euro si applicherà alle merci in ingresso nell’Unione europea per le quali i venditori extra-Ue risultano registrati allo sportello unico per le importazioni (Ioss) ai fini Iva. Secondo fonti di Bruxelles, questo perimetro copre «il 93% di tutti i flussi di e-commerce verso l’Ue».
In realtà, la misura non viene presentata direttamente come un’iniziativa mirata contro la Cina, anche se è dalla Repubblica Popolare che proviene la quota maggiore di pacchi. Una delle preoccupazioni tra i ministri è che parte della merce venga immessa nel mercato unico a prezzi artificialmente bassi, anche attraverso pratiche di sottovalutazione, per aggirare le tariffe che si applicano invece alle spedizioni oltre i 150 euro. La Commissione europea stima che nel 2024 il 91% delle spedizioni e-commerce sotto i 150 euro sia arrivato dalla Cina; inoltre, valutazioni Ue indicano che fino al 65% dei piccoli pacchi in ingresso potrebbe essere dichiarato a un valore inferiore al reale per evitare i dazi doganali.
«La decisione sui dazi doganali per i piccoli pacchi in arrivo nell’Ue è importante per garantire una concorrenza leale ai nostri confini nell’era odierna dell’e-commerce», ha detto il commissario per il Commercio, Maroš Šefčovič. Secondo il politico slovacco, «con la rapida espansione dell’e-commerce, il mondo sta cambiando rapidamente e abbiamo bisogno degli strumenti giusti per stare al passo».
La decisione finale da parte di Bruxelles arriva dopo un iter normativo lungo cinque anni. La Commissione europea aveva messo sul tavolo, nel maggio 2023, la cancellazione dell’esenzione dai dazi doganali per i pacchi con valore inferiore a 150 euro, inserendola nel pacchetto di riforma doganale. Nella versione originaria, l’entrata in vigore era prevista non prima della metà del 2028. Successivamente, il Consiglio ha formalizzato l’abolizione dell’esenzione il 13 novembre 2025, chiedendo però di anticipare l’applicazione già al 2026.
C’è poi un secondo balzello messo a punto dall’esecutivo Meloni. Si tratta di un emendamento che prevede l’introduzione di un contributo fisso di due euro per ogni pacco spedito con valore dichiarato fino a 150 euro.
La misura, però, non sarebbe limitata ai soli invii provenienti da Paesi extra-Ue. Rispetto alle ipotesi circolate in precedenza, l’impostazione è stata ampliata: se approvata, la tassa finirebbe per applicarsi a tutte le spedizioni di piccoli pacchi, indipendentemente dall’origine, quindi anche a quelle spedite dall’Italia. In origine, l’idea sembrava mirata soprattutto a intercettare le micro-spedizioni generate da piattaforme come Shein o Temu. Il punto, però, è che colpire esclusivamente i pacchi extra-europei avrebbe reso la misura assimilabile a un dazio, materia che rientra nella competenza dell’Unione europea e non dei singoli Stati membri. Per evitare questo profilo di incompatibilità, l’emendamento alla manovra 2026 ha quindi «generalizzato» il prelievo, estendendolo all’intero perimetro delle spedizioni. L’effetto pratico è evidente: la tassa non impatterebbe solo sulle piattaforme asiatiche, ma anche sugli acquisti effettuati su Amazon, eBay e, in generale, su qualsiasi negozio online che spedisca pacchi entro quella soglia di valore dichiarato.
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Insomma: il vento è cambiato. E non spinge più la solita, ingombrante, vela francese che negli ultimi anni si era abituata a intendere l’Italia come un’estensione naturale della Rive Gauche.
E invece no. Il pendolo torna indietro. E con esso tornano anche ricordi e fantasie: Piersilvio Berlusconi sogna la Francia. Non quella dei consessi istituzionali, ma quella di quando suo padre, l’unico che sia riuscito a esportare il varietà italiano oltre le Alpi, provò l’avventura di La Cinq.
Una televisione talmente avanti che il presidente socialista François Mitterrand, per non farla andare troppo lontano, decise di spegnerla. Letteralmente.
Erano gli anni in cui gli italiani facevano shopping nella grandeur: Gianni Agnelli prese una quota di Danone e Raul Gardini mise le mani sul più grande zuccherificio francese, giusto per far capire che il gusto per il raffinato non ci era mai mancato. Oggi al massimo compriamo qualche croissant a prezzo pieno.
Dunque, Berlusconi – quello junior, stavolta – può dirlo senza arrossire: «La Francia sarebbe un sogno». Si guarda intorno, valuta, misura il terreno: Tf1 e M6.
La prima, dice, «ha una storia imprenditoriale solida»: niente da dire, anche le fortezze hanno i loro punti deboli. Con la seconda, «una finta opportunità». Tradotto: l’affare che non c’è, ma che ti fa perdere lo stesso due settimane di telefonate.
Il vero punto, però, è che mentre noi guardiamo a Parigi, Parigi si deve rassegnare. Lo dimostra il clamoroso stop di Crédit Agricole su Bpm, piantato lì come un cartello stradale: «Fine delle ambizioni». Con Bank of America che conferma la raccomandazione «Buy» su Mps e alza il target price a 11 euro. E non c’è solo questo. Natixis ha dovuto rinunciare alla cassaforte di Generali dov’è conservata buona parte del risparmio degli italiani. Vivendi si è ritirata. Tim è tornata italiana.
Il pendolo, dicevamo, ha cambiato asse. E spinge ben più a Ovest. Certo Parigi rimane il più importante investitore estero in Italia. Ma il vento della geopolitica e cambiato. Il nuovo asse si snoda tra Washington e Roma Gli americani non stanno bussando alla porta: sono già entrati.
E non con due spicci.
Ieri le due sigle più «Miami style» che potessero atterrare nel dossier Ilva – Bedrock Industries e Flacks Group – hanno presentato le loro offerte. Americani entrambi. Dall’odore ancora fresco di oceano, baseball e investimenti senza fronzoli.
E non è un caso isolato.
In Italia operano oltre 2.700 imprese a partecipazione statunitense, che generano 400.000 posti di lavoro. Non esattamente compratori di souvenir. Sono radicati nei capannoni, nella logistica, nelle tecnologie, nei servizi, nella manifattura. Un pezzo intero di economia reale. Poi c’è il capitolo dei giganti della finanza globale: BlackRock, Vanguard, i soliti nomi che quando entrano in una stanza fanno più rumore del tuono. Hanno fiutato l’aria e annusato l’Italia come fosse un tartufo bianco d’Alba: raro, caro e conveniente.
Gli incontri istituzionali degli ultimi anni parlano chiaro: data center, infrastrutture, digitalizzazione, energia.
Gli americani non si accontentano. Puntano al core del futuro: tecnologia, energia, scienza della vita, space economy, agritech.
Dopo l’investimento di Kkr nella rete fissa Telecom - uno dei deal più massicci degli ultimi quindici anni - la direzione è segnata: Washington ha scoperto che l’Italia rende.
A ottobre 2025 la grande conferma: missione economica a Washington, con una pioggia di annunci per oltre 4 miliardi di euro di nuovi investimenti. Non bonus, non promesse, ma progetti veri: space economy, sostenibilità, energia, life sciences, agri-tech, turism. Tutti settori dove l’Italia è più forte di quanto creda, e più sottovalutata di quanto dovrebbe.
A questo punto il pendolo ha parlato: gli americani investono, i francesi frenano.
E chissà che, alla fine, non si chiuda il cerchio: gli Usa tornano in Italia come investitori netti, e Berlusconi torna in Francia come ai tempi dell’avventura di La Cinq.
Magari senza che un nuovo Mitterrand tolga la spina.
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