2021-04-22
Ci tengono rinchiusi per dispetto alla Lega
Cade l'alibi scientifico: il Cts dichiara di non essere stato consultato sulle chiusure alle 22. Ma il governo, per scongiurare l'assist politico al Carroccio, mantiene il coprifuoco fino al 1° giugno, salvo un tagliando a metà maggio. I leghisti disertano il voto in Cdm.Prima giornata di autentico e rovente scontro politico per l'esecutivo guidato da Mario Draghi, con una divaricazione che, nel corso delle ore, si è trasformata in una crepa profonda e visibile, e ha portato la Lega a un atto forte e clamoroso: non votare in Consiglio dei ministri il decreto riaperture. Procediamo in ordine cronologico. Quando mancavano poche ore al cdm, la prima bomba l'ha sganciata il Cts, attraverso un messaggio fatto giungere all'agenzia Agi. Oggetto? Il famigerato coprifuoco, rispetto al quale il Comitato ha sostanzialmente declinato ogni responsabilità, calciando il pallone nella metà campo della politica. Secondo la ricostruzione dell'Agi, ai membri del Cts non sarebbe affatto piaciuto ritrovarsi nel mezzo del conflitto tra partiti, a maggior ragione mentre almeno un paio di ministri, Mariastella Gelmini e Stefano Patuanelli, avevano parlato di decisione presa «ascoltando il Cts». Di qui, la piccata reazione dei tecnici: «Noi del coprifuoco non abbiamo mai parlato: non ci è mai stata sottoposta alcuna istanza in tal senso». Una plateale sconfessione dei due ministri. Contestualmente, sempre nell'imminenza del cdm, Matteo Salvini intensificava il suo pressing: «Ho scritto a Draghi. Estensione dell'orario per uscire la sera e riapertura di attività molto penalizzate: non sono richieste solo della Lega, ma di Regioni italiane di tutti i colori politici. Mi auguro che si arrivi a una soluzione di buonsenso». E ancora, sempre più esplicito: «Non mi va di votare qualcosa che vada contro l'utilità comune e il buonsenso. Mi fido di Draghi, la Lega è al governo per riequilibrare un certo squilibrio su assistenzialismo, statalismo e centralismo, difendendo il lavoro autonomo e le libertà». Conclusione ancora più chiara: «Non me l'ha prescritto il dottore di approvare cose che non mi convincono». Convergente anche la spinta delle Regioni, guidate da Massimiliano Fedriga, e compatte nel chiedere almeno lo slittamento alle 23: molto poco, in termini di libertà personali drammaticamente conculcate. Ma almeno un piccolissimo passo per evitare il massacro della ristorazione. Aprire un ristorante, attivare la cucina, far lavorare il personale per poi chiudere tutto alle 22 è un non senso anche dal punto di vista economico. Le Regioni hanno consegnato al governo anche la richiesta di anticipare il calendario delle riaperture, consentendo dal 26 aprile sia le lezioni individuali in palestra (anziché dal primo giugno) sia l'attività delle piscine all'aperto (anziché dal 15 maggio), e riavviando altri settori (ristoranti anche al chiuso, mercati, wedding).In realtà, a ben vedere, il solo fatto che la discussione sia stata centrata sull'orario del coprifuoco, su un'ora in più o un'ora in meno, dà tragicamente la misura di quanto nel dibattito pubblico italiano si siano smarriti i punti fermi delle libertà civili e costituzionali, oltre che di quelle economiche. Altro tema rovente è poi quello del cosiddetto green pass interregionale, basato su tre criteri: tampone negativo, oppure guarigione, oppure vaccinazione. Previste dure sanzioni in caso di falsificazione, ma è ancora buio pesto su come funzionerà davvero il meccanismo. Prevedibile che per qualche tempo si procederà con le «vecchie» autocertificazioni per spostarsi (motivi di lavoro, di salute, di necessità urgente). Con questi nodi ancora aggrovigliati, è iniziata una riunione politica (pre cdm, poi avviato con oltre un'ora di ritardo), preceduta da una controffensiva mediatica dei chiusuristi. Sia Roberto Speranza sia Dario Franceschini facevano filtrare la loro prevedibilissima contrarietà a ogni norma più flessibile, e una posizione negativa veniva da alcune fonti attribuita allo stesso Draghi, orientato - secondo queste voci, poi rivelatesi attendibili - a confermare il lento calendario annunciato la settimana scorsa, incluso il coprifuoco (in teoria fino al primo giugno, con la possibilità di rivalutarlo in base all'epidemia: ma nel dl non c'è data di scadenza della misura). Non solo: secondo queste ricostruzioni, il premier avrebbe anche manifestato irritazione per la battaglia leghista. Tesi curiosa: i chiusuristi possono tirare la corda da una parte, ma gli altri non possono farlo in direzione opposta.In ogni caso, il sigillo definitivo sul no a maggiori o più rapide riaperture è arrivato attraverso una velina governativa fatta circolare da fonti di maggioranza intorno alle 18.30: «Il testo del decreto non cambia». Almeno non nella sostanza, perché poi delle concessioni col contagocce arrivano. Ad esempio, saranno autorizzati eventi sportivi con più di 1.000 spettatori all'aperto o 500 al chiuso. Inoltre, in zona gialla saranno anticipate al 15 giugno le riaperture delle fiere, mentre per convegni e congressi si dovrà attendere il 1 luglio. Previsto anche un «tagliando» a metà maggio per il dl, per valutare la sussistenza di presupposti per allentare eventualmente le misure.Troppo poco, per la Lega, che ha annunciato di non votare il provvedimento. Una scelta durissima, che ha portato i ministri della Lega ad astenersi in cdm, dichiarandosi «portavoce di quello che chiedono i sindaci e i governatori di tutta Italia, e di qualunque colore politico, su riaperture, coprifuoco e vaccini». «Abbiamo fiducia in te», è stato il messaggio di Salvini a Draghi, «ma noi lavoriamo al prossimo decreto che entro metà maggio - se i dati continueranno a essere positivi - dovrà consentire il ritorno alla vita e al lavoro per milioni di italiani». La sensazione è che sia completamente saltato il fragile paravento di una pseudocopertura «scientifica» delle decisioni. La realtà è che la scorsa settimana, quando Draghi ha annunciato le parziali riaperture, la scelta è passata (e per molti versi obiettivamente lo era, come segnale politico) come un primo successo della Lega e di Salvini. Da quel momento, è però scattata la mobilitazione mediatica a sinistra, e quella politica (intorno a Speranza) del vecchio fronte giallorosso, per blindare la parte restrittiva e chiusurista del decreto, a partire dal coprifuoco. E stavolta purtroppo Draghi ha dato ragione a loro, compiendo una scelta costosissima per il Paese e imprimendo una pericolosa impronta illiberale al decreto. Senza dire che, in altri tempi, con una così plateale rottura nel governo e nella maggioranza, sarebbe stata più che ipotizzabile una salita al Colle da parte del premier.