2022-05-01
Ci sentiamo in colpa se non le usiamo. È il ricatto morale sulle mascherine
Cadono gli obblighi, ma consigliano: «Meglio se le mettete». Parlano di ritorno alla libertà, ma ci dicono di non abusarne. Ci hanno martellato così a lungo che, alla fine, siamo diventati i carcerieri di noi stessi.Negozio milanese, interno giorno. «Ma tu lunedì la metti la mascherina?». «Non so, forse sì, la tengo un po’ poi vediamo come va». Scena di vita reale e delirio montante a poche ore dalla data fatidica, cioè il primo maggio, festa del lavoro e giornata della liberazione dal bavaglio. Con un solo problema: in realtà, non ci si libera proprio di nulla. Le peggiori restrizioni e i meccanismi costrittivi, semplicemente, entrano in sonno. Non sono stati cancellati o eliminati: si inabissano, magari in attesa di tornare a pieno regime con l’arrivo dell’autunno, prospettiva che il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, parlando a Tg2 Post venerdì sera non si è sentito di escludere. Quanto alle mascherine, la situazione è persino più complessa. Niente obbligo all’aperto, nei negozi, dal barbiere, dall’estetista, alle poste, in banca e in chiesa, ed è senz’altro una soddisfazione. Resta tuttavia l’assurda imposizione in cinema, teatri, sale da concerto. Ma, soprattutto, fino al 15 giugno i dispositivi di protezione si dovranno portare nelle scuole e sui mezzi di trasporto pubblico a lunga percorrenza. In pratica, i ragazzini dovranno tenersi la pezzuola mozza respiro in classe, cosa che sicuramente gioverà al loro benessere e alla concentrazione, però potranno togliersela appena usciti per giocare al pallone o andare in discoteca. Però dovranno rimettersela sui mezzi, e togliersela di nuovo per andare a comprare un paio di jeans. E di nuovo rimetterla la sera per il cinema. Liscio come l’olio. Discorso ancora differente per il lavoro: almeno fino al 4 di maggio resteranno in vigore i protocolli di sicurezza firmati dalle associazioni di categoria. E ai dipendenti pubblici toccherà destreggiarsi fra le asperità contenute nella circolare appena emanata dal ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta. Che cosa vi sia di scientifico in questa bouillabaisse di raccomandazioni, cavilli, precisazioni e sfasamenti è davvero difficile da capire. Anzi, a dire il vero emerge piuttosto chiaramente una triste verità: la mascherina è soltanto un feticcio, una sorta di amuleto a cui continua ad aggrapparsi questo governo incapace di assumersi responsabilità. La questione è di facile risoluzione: o la mascherina è necessaria, dunque va tenuta ovunque, oppure non lo è, e allora va tolta ovunque (fatta eccezione per ospedali e luoghi di cura), come del resto avviene in tutto l’Occidente. Invece la linea del governo è più o meno la seguente: poiché non possiamo più giustificare le restrizioni, ci tocca toglierle, ma non vogliamo mollare la presa quindi le leviamo solo un pochino, fingendo di agire con prudenza. In questo quadro, il culto della mascherina assume i tratti - da una parte - della pura superstizione («tienila, magari non ti serve a nulla, ma male non fa»). Dall’altra, al solito, si tratta di clamoroso scarico di responsabilità («se ti contagi è colpa tua, poiché sei andati in giro a grugno scoperto»). Il risultato di questo pastrocchio magico-emotivo lo abbiamo sotto gli occhi. Per l’ennesima volta, le istituzioni creano confusione, insicurezza, dubbi e paure. Sorridono e si battono robuste pacche sulle spalle: «Visto come siamo stati bravi? Vi abbiamo restituito la vita normale!». Contemporaneamente, tuttavia, instillano il sospetto, fanno lavorare il tarlo. L’esecutivo si comporta da madre perversa, quella che, di fronte alle insistenze del bambino, sbuffa: «Fa come vuoi, decidi tu», ma lascia trapelare irritazione profonda. Così al piccolo non restano molte alternative: o fa in effetti ciò che vuole, ma sentendosi in colpa; oppure rinuncia ai desideri per far contenta la mamma, anche se questa non ha posto un esplicito divieto. L’atteggiamento dei media fa il resto. Sulle tv pubbliche e private, in queste ore, si susseguono i servizi leggermente allarmati in cui si fa capire che gli obblighi cadono, ma che, in fondo, la mascherina conviene tenerla per precauzione. La retorica ricalca quella del passato: «Meglio agire con intelligenza e restare protetti, non si sa mai», dice il virologo di turno. Gli fa eco la giornalista di sinistra: «La mascherina la dovremo portare per sempre, tanto vale continuare a metterla anche in assenza di specifiche disposizioni, il fastidio è pur sempre minimo».Di nuovo, emerge con cristallina chiarezza quale sia il pilastro della cattedrale sanitaria in servizio permanente: il ricatto morale. La stretta si allenta, ma Roberto Speranza fa intuire che, se fosse per lui, dovremmo circolare con lo scafandro. Ci parlano di ritorno alla normalità, ma suggeriscono che non si debba abusare della libertà che ci viene finalmente concessa, come se si trattasse di una questione morale e non, appunto, scientifica. All’italiano resta il rovello nella pancia: che faccio, la tolgo? Oppure la tengo? O ancora me la infilo ma la abbasso sotto il mento? Se la indosso mi sento più sicuro, ma respiro male, magari posso allentarla appena appena…Sì, certo, può sembrare una faccenda di poco conto, un piccolo disturbo, come suggeriscono arguti commentatori. In realtà, è la più subdola delle manifestazioni del potere: non si presenta più come divieto esterno, ma opera come imperativo interiore. Ci hanno martellato così a lungo e così costantemente da averci trasformati nei carcerieri di noi stessi. La maschera più fastidiosa, oggi, è quella dietro a cui si nasconde l’oppressione.