2022-02-10
Chiuse le indagini sul caso Attanasio. Due impiegati Onu a rischio processo
Accusati per la tragedia Rocco Leone e Mansour Rwagaza, dipendenti del Pam. Secondo i pm hanno omesso e falsificato procedure necessarie a proteggere l’ambasciatore in un’area del Congo notoriamente pericolosa.Come sono morti l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo, assassinati mentre percorrevano la mattina del 22 febbraio 2021 la strada che da Goma, capoluogo del North Kivu, una delle province più instabili e violente del Congo, diretti a Rutshuru, località raggiungibile tramite la strada denominata «Rn2», a sua volta una delle strade più pericolose al mondo che si trova al confine con Uganda, Ruanda e Burundi, lungo la quale settimanalmente o quasi avvengono fatti di sangue? Morirono sul posto oppure vennero fatti scendere dall’auto e poi uccisi? E chi lo ha fatto e perché? Al di là delle sceneggiate congolesi fatte di annunci di arresti e video che mostrano sedicenti colpevoli a quasi un anno da quella maledetta mattina, queste risposte ancora non ci sono. Tuttavia, ieri dalle nebbie della vicenda sono arrivate alcune risposte grazie al lavoro della Procura di Roma, che ha iscritto nel registro degli indagati Mansour Luguru Rwagaza, funzionario del Programma alimentare mondiale (Pam), al momento in Madagascar, all’epoca coordinatore della sicurezza in quest’area, e il cinquantaseienne italiano Rocco Leone (unico superstite dell’agguato), vicedirettore del Pam nella Repubblica Democratica del Congo. Sono accusati di omesse cautele in relazione all’omicidio colposo dei tre. Dalle indagini dei pm romani è emerso che la morte di Attanasio, Iacovacci e dell’autista congolese non si sarebbe verificata se il Pam, come era obbligato a fare, avesse gestito in modo scrupoloso e adeguato la sicurezza della missione a Goma. La Procura, seppur in mezzo alle difficoltà, è comunque riuscita ad accertare che i due funzionari incaricati della sicurezza del convoglio hanno violato non solo i protocolli di protezione imposti dalla stessa Onu, ma anche le più elementari regole di cautela e prudenza, nonostante la riconosciuta pericolosità della strada in cui si è verificato l’agguato mortale, che al netto delle chiacchiere vuol dire che Attanasio, Iacovacci e il malcapitato autista quella mattina non potevano che finire nei guai. Allora perché vennero condotti in quel tratto di strada da persone esperte senza nessuna protezione, e come è possibile che un funzionario dell’esperienza di Rocco Leone abbia potuto commettere in concorso con il funzionario congolese del Pam così tante violazioni? Secondo Matteo Giusti, giornalista e saggista che segue la vicenda ormai da un anno, «Leone conosce profondamente l’Africa, come mi hanno raccontato colleghi di lunga esperienza, e conosce i rischi e le precauzioni da prendere in ogni zona. Soprattutto in quell’area del Congo falcidiata da omicidi, stupri e saccheggi. Sembra impossibile leggendo le sue mancanze che il programma fosse stato organizzato da un professionista, che metteva a rischio anche la propria stessa vita, essendo parte di un convoglio che in territorio ostile si presentava privo di ogni forma di difesa».Dato che non è stata certo l’inesperienza a farli agire così cosa si può ipotizzare? Conferma Giusti: «La superficialità, l’approssimazione, l’eccessiva sicurezza di sé sembrano - anche sommate - davvero troppo poco per spiegare come sia possibile agire in modo così avventato. Addirittura falsificando documenti e mentendo al carabiniere Iacovacci che aveva chiesto una maggiore protezione per l’ambasciatore. Questi due atti sono di una gravità estrema e fotografano appieno la drammatica situazione in cui sono finiti i nostri connazionali». Ciò che è sconvolgente in tutta questa storia è l’atteggiamento del Pam, che si è trincerato fin da subito dietro un beffardo muro di silenzi, ma non solo: l’ufficio legale dell’Onu ha posto ufficialmente la questione dell’immunità per i suoi funzionari, che oggi sono liberi di viaggiare e di lavorare, mentre chi ha perso un padre, un marito, un figlio o un fidanzato deve assistere a questo inaccettabile teatrino. In prima fila a combattere affinché sia fatta giustizia c’è la moglie di Attanasio, Zakia Seddiki, he alla Verità ribadisce il suo sdegno: «Ho appreso della conclusione di una parte delle indagini relative all’assassinio nella Repubblica democratica del Congo di mio marito Luca, di Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustapha Milambo. Secondo le verifiche della Procura, tali gravissime omissioni hanno concorso a cagionare la morte di Luca, di Vittorio e di Mustapha, che sono stati esposti, senza alcuna effettiva protezione, alla furia degli assalitori. Ringrazio la magistratura e tutte le istituzioni italiane che hanno lavorato strenuamente per accertare quanto accaduto. Auspico adesso che nessuno si sottragga alle proprie responsabilità e che il Pam non ostacoli in alcun modo lo svolgimento di un giusto processo nel nostro Paese». Giunti fin qui non è bene guardare anche a chi si faceva fotografare in compagnia dell’ambasciatore? Secondo Matteo Giusti, «bisogna indagare su tutto e su tutti e se un uomo come Leone, di cui Luca Attanasio si fidava, ha mancato completamente ai suoi doveri, dove sta il discrimine fra chi è affidabile e chi no?».