True
2023-09-13
La toga dell’inchiesta sulle zone rosse adesso scarica il consulente Crisanti
Antonio Chiappani, procuratore di Bergamo, da ieri in pensione (Ansa)
Il governo di centrodestra alle prese con il rialzo dei casi di Covid ha la necessità di mantenere un equilibrio tra la sua storica propensione (almeno per quel che riguarda Lega e Fdi) a non esasperare il timore del virus e la necessità di non essere accusato di non aver fatto nulla nel malaugurato caso che dovessero sorgere problemi. Si parte dalle scuole: oggi, nel tardo pomeriggio, è in programma il tavolo fra tecnici del ministero della Salute e dell’Istruzione sulla situazione dell’evoluzione del Covid e le eventuali misure nelle scuole.
«Il 5 maggio scorso», dice a La Stampa il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, «l’Oms ha decretato la fine della pandemia da Covid evidenziando che la patologia dovrà essere controllata e gestita al pari di altre malattie infettive. Nel quadro costituzionale della garanzia del diritto allo studio e del diritto alla salute, ho già avviato un confronto con il ministro della Salute riguardo alle misure di prevenzione sanitaria ritenute utili da adottare nelle scuole, secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità, per prevenire il rischio diffusivo di contagi da Covid-19, in particolare per gli studenti e il personale scolastico che versano in condizioni di fragilità. Abbiamo anche deciso», aggiunge Valditara, «la istituzione di un tavolo interministeriale che si riunirà con cadenza periodica per monitorare l’evolversi della situazione in base ai riscontri scientifici relativi all’andamento del virus . Adotteremo insomma tutte le misure che gli esperti giudicheranno utili a contenere il contagio a tutela in particolare degli studenti ed il personale fragile. Per le nuove scuole si è disposta la necessità di adeguati sistemi di aerazione così da ridurre l’impatto della circolazione dei vari virus respiratori».
«Non mi sembra che al momento ci siano condizioni allarmanti», sottolinea la sottosegretaria all’Istruzione Paola Frassinetti, «i presidi sanno comunque, rispetto a due anni e mezzo fa, quali sono le procedure di emergenza, la distribuzione delle mascherine e dei disinfettanti. Non abbiamo ragioni per avere preoccupazioni che vadano oltre un normale controllo della situazione». Messaggi distensivi arrivano anche dai presidi: «Non esiste alcun allarme Covid», sottolinea all’Agi il presidente dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli, «si sono diffuse delle preoccupazioni, è vero che qualche caso in più c’è stato ma dopo l’estate ce lo aspettavamo. Siamo ormai in una fase di endemizzazione. Le mascherine a scuola? Assolutamente no, certo serve molta attenzione per i fragili e intendo le persone molto anziane o gli immunodepressi. Naturalmente se uno studente vorrà indossare la mascherina perché ha una situazione delicata a casa, lo farà tranquillamente».
Un altro aspetto da tenere presente è quello che riguarda le persone fragili che si recano al lavoro: «Presenterò un’interrogazione ai ministri Schillaci e Zangrillo», ha detto il capogruppo del M5S in commissione Affari sociali e sanità al Senato, Orfeo Mazzella, «per richiamare all’attenzione del governo la delicata tematica dello smart working semplificato per i lavoratori fragili, in scadenza il prossimo 30 settembre. Al momento, solo due categorie di lavoratori possono usufruire di questa tipologia di lavoro sino al termine dell’anno, ma, come suggerito da numerosi esperti, è necessario prorogare la misura per tutti i lavoratori del settore pubblico e privato, in considerazione di un aumento dei contagi. Inoltre, dato che non è chiaro», aggiunge Mazzella, «ho chiesto all’esecutivo di chiarire se, fino al termine dell’anno, è consentito lavorare in smart working sia ai lavoratori dipendenti del settore pubblico che privato esposti a rischio di contagio dal virus, in ragione dell’età o della condizione di rischio derivante da immunodepressione, da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o comunque da comorbilità che possano caratterizzare una situazione di maggiore rischio».
Non ripetere gli errori del passato è la parola d’ordine, e a proposito di errori del passato suscita molta curiosità quanto affermato al Corriere da Antonio Chiappani, procuratore di Bergamo, da ieri in pensione. La Procura orobica, ricordiamolo, ha curato l’inchiesta sulla pandemia che ha l’archiviazione da parte del Tribunale dei Ministri del filone che coinvolgeva l’ex premier Giuseppe Conte, l’ex ministro Roberto Speranza e il governatore Attilio Fontana. Alla domanda se risceglierebbe il microbiologo Andrea Crisanti, oggi senatore del Pd, come consulente della Procura nelle indagini sui primi mesi della pandemia, l’ex procuratore di Bergamo risponde così: «Io non ho fatto la scelta di Crisanti, che stimo (l’indagine è in capo all’aggiunto Maria Cristina Rota, ndr). Evidentemente è una scelta che non ci ha aiutato. Il presidente della Regione della Lega che si vede accusato da un senatore del Pd può avere da ridire. Però con noi Crisanti si è sempre comportato in modo obiettivo, da consulente. Del resto, uno degli accusati era del suo partito, il ministro (Speranza, ndr)».
Che disastro i medici «importati»
Esattamente cosa vuole dire «necessaria radiografia al collo dell’utero» in un paziente uomo?
E cosa vuol dire: «Paziente esce dall’auto, un incidente di 4 ore, iniziato due ore fa con dolore al collo e nausea?». E «studio radiografico della mamma cosciente»?
E ancora. Cosa sta a significare: «Impressionante moderata disidratazione dovuta alla mancanza di appetito»? O «le membrane mucose secche e pallide sono annotate, non ittero»? E cos’è esattamente un «fumatore gerarchico»?
A leggerli, questi sberleffi della lingua italiana, verrebbe da pensare che siamo matti o che qualcuno è uscito di senno, ma in realtà sono i referti giunti in mano alla Verità e provenienti dal pronto soccorso dell’ospedale di Latisana in Friuli Venezia Giulia. Scivoloni linguistici, ruzzoloni verbali, svarioni idiomatici, che raccontano e narrano situazioni assurde e inverosimili, se non fosse per il fatto che gli autori di simili prodezze sono i medici esterni di origine sudamericana di cui il pronto soccorso di Latisana, quest’estate, si è avvalso per far fronte alla carenza di personale negli ospedali. I medici argentini sono stati messi a disposizione all’azienda sanitaria universitaria Friuli Centrale da una società privata. Il punto è che se già in situazioni di emergenza è facile sbagliare, figuriamoci con questi referti di cui non si capisce assolutamente nulla.
E il pronto soccorso è una realtà in emergenza assoluta. Non sono ammessi distrazioni, ritardi, sbagli, errori, tentennamenti. Qui il tempo corre alla velocità della luce e bisogna prenderlo in tempo prima che prenda gli esseri umani. Qui si sta in fila come i dannati, il traffico di barelle è inverosimile. Arrivano come arrivano le valigie ai nastri trasportatori. Gli infermieri le prendono, le spostano, le accostano, fanno retromarcia, vanno avanti, indietro. Ci sono anche quelli che sollevano i malati e uno-due-tre-al mio quattro-giù sulla barella. Se uno si mette anche a perdere tempo per interpretare quello che un medico sudamericano, con tutto il rispetto, voglia dire, campa cavallo. Tanto che ora l’ospedale ha deciso di prendere un interprete. Ossia, la sanità pubblica in Italia è talmente avanzata, che anziché far lavorare i medici italiani, importiamo quelli di altri Paesi e poi, se non ci capiamo, prendiamo un traduttore che ci fa da tramite. Che bellezza.
Così abbiamo contatto il presidente regionale Fvg Aaroi - Emac, l’associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani - Emergenza Area Critica, e abbiamo addirittura scoperto che tutto questo è dovuto sì alla mancanza di personale, ma anche al Covid di cui ancora portiamo sul groppone gli strascichi.
«La normativa italiana», ci spiega Alberto Peratoner, «non prevede che questi possano lavorare in Italia, però con l’emergenza Covid, con una deroga, è stata data la possibilità ai medici extracomunitari di venire qui. Ma per lavorare in Italia uno deve avere una parificazione con la laurea italiana, così come noi per fare i medici negli Stati Uniti noi dobbiamo fare un esame. Ma allora perché non investire sui nostri specializzandi?». Già. Perché? «Quello che c’è dietro a queste cooperative private per noi rimane un mistero. Noi vediamo solo il risultato finale, che è questo, ma cosa spinga una cooperativa a scegliere un medico latino americano anziché uno italiano non lo sappiamo». Le aziende sanitarie comprano questi pacchetti dalle cooperative e come si dice «ndò cogli cogli». «Infatti», continua Peratoner, «poi a noi arrivano questi casi qua. L’azienda ha dovuto ingaggiare dei traduttori per permettere ai pazienti di capire la lingua. Il problema è che queste coop senza criterio lanciano questi medici nel sistema pubblico. Farebbe sorridere, se non si pensa che dietro ci sono delle persone».
Continua a leggereRiduci
Il procuratore di Bergamo va in pensione e ammette: «Sceglierlo non ci ha aiutato». Intanto il governo studia nuove tutele per i lavoratori fragili. Sulla scuola la sottosegretaria Paola Frassinetti rassicura: «Non c’è allarme».Con la pandemia si è dato il via libera all’assunzione di dottori stranieri. I quali, nel pronto soccorso di Latisana (Udine) prescrivono radiografie all’utero agli uomini...Lo speciale contiene due articoli.Il governo di centrodestra alle prese con il rialzo dei casi di Covid ha la necessità di mantenere un equilibrio tra la sua storica propensione (almeno per quel che riguarda Lega e Fdi) a non esasperare il timore del virus e la necessità di non essere accusato di non aver fatto nulla nel malaugurato caso che dovessero sorgere problemi. Si parte dalle scuole: oggi, nel tardo pomeriggio, è in programma il tavolo fra tecnici del ministero della Salute e dell’Istruzione sulla situazione dell’evoluzione del Covid e le eventuali misure nelle scuole. «Il 5 maggio scorso», dice a La Stampa il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, «l’Oms ha decretato la fine della pandemia da Covid evidenziando che la patologia dovrà essere controllata e gestita al pari di altre malattie infettive. Nel quadro costituzionale della garanzia del diritto allo studio e del diritto alla salute, ho già avviato un confronto con il ministro della Salute riguardo alle misure di prevenzione sanitaria ritenute utili da adottare nelle scuole, secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità, per prevenire il rischio diffusivo di contagi da Covid-19, in particolare per gli studenti e il personale scolastico che versano in condizioni di fragilità. Abbiamo anche deciso», aggiunge Valditara, «la istituzione di un tavolo interministeriale che si riunirà con cadenza periodica per monitorare l’evolversi della situazione in base ai riscontri scientifici relativi all’andamento del virus . Adotteremo insomma tutte le misure che gli esperti giudicheranno utili a contenere il contagio a tutela in particolare degli studenti ed il personale fragile. Per le nuove scuole si è disposta la necessità di adeguati sistemi di aerazione così da ridurre l’impatto della circolazione dei vari virus respiratori». «Non mi sembra che al momento ci siano condizioni allarmanti», sottolinea la sottosegretaria all’Istruzione Paola Frassinetti, «i presidi sanno comunque, rispetto a due anni e mezzo fa, quali sono le procedure di emergenza, la distribuzione delle mascherine e dei disinfettanti. Non abbiamo ragioni per avere preoccupazioni che vadano oltre un normale controllo della situazione». Messaggi distensivi arrivano anche dai presidi: «Non esiste alcun allarme Covid», sottolinea all’Agi il presidente dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli, «si sono diffuse delle preoccupazioni, è vero che qualche caso in più c’è stato ma dopo l’estate ce lo aspettavamo. Siamo ormai in una fase di endemizzazione. Le mascherine a scuola? Assolutamente no, certo serve molta attenzione per i fragili e intendo le persone molto anziane o gli immunodepressi. Naturalmente se uno studente vorrà indossare la mascherina perché ha una situazione delicata a casa, lo farà tranquillamente».Un altro aspetto da tenere presente è quello che riguarda le persone fragili che si recano al lavoro: «Presenterò un’interrogazione ai ministri Schillaci e Zangrillo», ha detto il capogruppo del M5S in commissione Affari sociali e sanità al Senato, Orfeo Mazzella, «per richiamare all’attenzione del governo la delicata tematica dello smart working semplificato per i lavoratori fragili, in scadenza il prossimo 30 settembre. Al momento, solo due categorie di lavoratori possono usufruire di questa tipologia di lavoro sino al termine dell’anno, ma, come suggerito da numerosi esperti, è necessario prorogare la misura per tutti i lavoratori del settore pubblico e privato, in considerazione di un aumento dei contagi. Inoltre, dato che non è chiaro», aggiunge Mazzella, «ho chiesto all’esecutivo di chiarire se, fino al termine dell’anno, è consentito lavorare in smart working sia ai lavoratori dipendenti del settore pubblico che privato esposti a rischio di contagio dal virus, in ragione dell’età o della condizione di rischio derivante da immunodepressione, da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o comunque da comorbilità che possano caratterizzare una situazione di maggiore rischio».Non ripetere gli errori del passato è la parola d’ordine, e a proposito di errori del passato suscita molta curiosità quanto affermato al Corriere da Antonio Chiappani, procuratore di Bergamo, da ieri in pensione. La Procura orobica, ricordiamolo, ha curato l’inchiesta sulla pandemia che ha l’archiviazione da parte del Tribunale dei Ministri del filone che coinvolgeva l’ex premier Giuseppe Conte, l’ex ministro Roberto Speranza e il governatore Attilio Fontana. Alla domanda se risceglierebbe il microbiologo Andrea Crisanti, oggi senatore del Pd, come consulente della Procura nelle indagini sui primi mesi della pandemia, l’ex procuratore di Bergamo risponde così: «Io non ho fatto la scelta di Crisanti, che stimo (l’indagine è in capo all’aggiunto Maria Cristina Rota, ndr). Evidentemente è una scelta che non ci ha aiutato. Il presidente della Regione della Lega che si vede accusato da un senatore del Pd può avere da ridire. Però con noi Crisanti si è sempre comportato in modo obiettivo, da consulente. Del resto, uno degli accusati era del suo partito, il ministro (Speranza, ndr)».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/chiappani-toga-inchiesta-zone-rosse-2665287330.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="che-disastro-i-medici-importati" data-post-id="2665287330" data-published-at="1694542415" data-use-pagination="False"> Che disastro i medici «importati» Esattamente cosa vuole dire «necessaria radiografia al collo dell’utero» in un paziente uomo? E cosa vuol dire: «Paziente esce dall’auto, un incidente di 4 ore, iniziato due ore fa con dolore al collo e nausea?». E «studio radiografico della mamma cosciente»? E ancora. Cosa sta a significare: «Impressionante moderata disidratazione dovuta alla mancanza di appetito»? O «le membrane mucose secche e pallide sono annotate, non ittero»? E cos’è esattamente un «fumatore gerarchico»? A leggerli, questi sberleffi della lingua italiana, verrebbe da pensare che siamo matti o che qualcuno è uscito di senno, ma in realtà sono i referti giunti in mano alla Verità e provenienti dal pronto soccorso dell’ospedale di Latisana in Friuli Venezia Giulia. Scivoloni linguistici, ruzzoloni verbali, svarioni idiomatici, che raccontano e narrano situazioni assurde e inverosimili, se non fosse per il fatto che gli autori di simili prodezze sono i medici esterni di origine sudamericana di cui il pronto soccorso di Latisana, quest’estate, si è avvalso per far fronte alla carenza di personale negli ospedali. I medici argentini sono stati messi a disposizione all’azienda sanitaria universitaria Friuli Centrale da una società privata. Il punto è che se già in situazioni di emergenza è facile sbagliare, figuriamoci con questi referti di cui non si capisce assolutamente nulla. E il pronto soccorso è una realtà in emergenza assoluta. Non sono ammessi distrazioni, ritardi, sbagli, errori, tentennamenti. Qui il tempo corre alla velocità della luce e bisogna prenderlo in tempo prima che prenda gli esseri umani. Qui si sta in fila come i dannati, il traffico di barelle è inverosimile. Arrivano come arrivano le valigie ai nastri trasportatori. Gli infermieri le prendono, le spostano, le accostano, fanno retromarcia, vanno avanti, indietro. Ci sono anche quelli che sollevano i malati e uno-due-tre-al mio quattro-giù sulla barella. Se uno si mette anche a perdere tempo per interpretare quello che un medico sudamericano, con tutto il rispetto, voglia dire, campa cavallo. Tanto che ora l’ospedale ha deciso di prendere un interprete. Ossia, la sanità pubblica in Italia è talmente avanzata, che anziché far lavorare i medici italiani, importiamo quelli di altri Paesi e poi, se non ci capiamo, prendiamo un traduttore che ci fa da tramite. Che bellezza. Così abbiamo contatto il presidente regionale Fvg Aaroi - Emac, l’associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani - Emergenza Area Critica, e abbiamo addirittura scoperto che tutto questo è dovuto sì alla mancanza di personale, ma anche al Covid di cui ancora portiamo sul groppone gli strascichi. «La normativa italiana», ci spiega Alberto Peratoner, «non prevede che questi possano lavorare in Italia, però con l’emergenza Covid, con una deroga, è stata data la possibilità ai medici extracomunitari di venire qui. Ma per lavorare in Italia uno deve avere una parificazione con la laurea italiana, così come noi per fare i medici negli Stati Uniti noi dobbiamo fare un esame. Ma allora perché non investire sui nostri specializzandi?». Già. Perché? «Quello che c’è dietro a queste cooperative private per noi rimane un mistero. Noi vediamo solo il risultato finale, che è questo, ma cosa spinga una cooperativa a scegliere un medico latino americano anziché uno italiano non lo sappiamo». Le aziende sanitarie comprano questi pacchetti dalle cooperative e come si dice «ndò cogli cogli». «Infatti», continua Peratoner, «poi a noi arrivano questi casi qua. L’azienda ha dovuto ingaggiare dei traduttori per permettere ai pazienti di capire la lingua. Il problema è che queste coop senza criterio lanciano questi medici nel sistema pubblico. Farebbe sorridere, se non si pensa che dietro ci sono delle persone».
In Toscana un laboratorio a cielo aperto, dove con Enel il calore nascosto della Terra diventa elettricità, teleriscaldamento e turismo.
L’energia geotermica è una fonte rinnovabile tanto antica quanto moderna, perché nasce dal calore naturale generato all’interno della Terra, sotto forma di vapore ad alta temperatura, convogliato attraverso una rete di vapordotti per alimentare le turbine a vapore che girando, azionano gli alternatori degli impianti di generazione. Si tratta di condotte chiuse che trasportano il vapore naturale dal sottosuolo fino alle turbine, permettendo di trasformare il calore terrestre in elettricità senza dispersioni. Questo calore, prodotto dai movimenti geologici naturali e dal gradiente geotermico determinato dalla profondità, può essere utilizzato per produrre elettricità, riscaldare edifici e alimentare processi industriali. La geotermia diventa così una risorsa strategica nella transizione energetica.
L’energia geotermica non dipende da stagionalità o condizioni climatiche: è continua e programmabile, dando un contributo alla stabilità del sistema elettrico.
Oggi la geotermia è riconosciuta globalmente come una delle tecnologie più affidabili e sostenibili: in Cile, Islanda, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Filippine e molti altri Paesi questa filiera sta sviluppandosi vigorosamente. Ma è in Italia – e più precisamente in Toscana – che questa storia ha mosso i suoi primi passi.
La presenza dei soffioni boraciferi nel territorio di Larderello (Pisa), da sempre caratterizzato da manifestazioni naturali come vapori, geyser e acque termali, ha fatto intuire il valore energetico di quella forza invisibile. Già nel Medioevo erano attive piccole attività produttive basate sul contenuto minerale dei fluidi geotermici, ma è nel 1818 – grazie all’ingegnere francese François Jacques de Larderel – che avviene il primo utilizzo industriale. Il passaggio decisivo c’è però nel 1904, quando Piero Ginori Conti, sfruttando il vapore naturale, accende a Larderello le prime cinque lampadine: è la prima produzione elettrica geotermica al mondo, anticipando la nascita nel 1913 della prima centrale geotermoelettrica al mondo. Da allora questa tecnologia non ha mai smesso di evolversi, fino a diventare un laboratorio internazionale di ricerca e innovazione.
Attualmente, la Toscana rappresenta il cuore della geotermia nazionale: tra le province di Pisa, Grosseto e Siena Enel gestisce 34 centrali, per un totale di 37 gruppi di produzione che garantiscono una potenza installata di quasi 1.000 MW. Questi impianti generano ogni anno tra i 5,5 e i quasi 6 miliardi di kWh, pari a oltre un terzo del fabbisogno elettrico regionale e al 70% della produzione rinnovabile della Toscana.
Si tratta anche di uno dei più avanzati siti produttivi dal punto di vista tecnologico, che punta non allo sfruttamento ma alla coltivazione di questi giacimenti di energia. Nelle moderne centrali geotermiche, il vapore che ha già azionato le turbine – chiamato tecnicamente «vapore esausto» – non viene disperso nell'atmosfera, ma viene convogliato nelle torri refrigeranti, che con un processo di condensazione ritrasformano il vapore in acqua e lo reimmettono nei serbatoi naturali sotterranei attraverso pozzi di reiniezione.
Accanto alla dimensione produttiva, la geotermia toscana si distingue per la sua capacità di integrarsi nel tessuto sociale ed economico locale. Il calore geotermico residuo – dopo aver alimentato le turbine dell’impianto di generazione - è ceduto gratuitamente o a costi agevolati per alimentare reti di teleriscaldamento che raggiungono oltre 13.000 utenze, scuole, palazzetti, piscine e edifici pubblici, riducendo le emissioni e i consumi di combustibili fossili. Lo stesso calore sostiene attività agricole e artigianali, come serre per la coltivazione di fiori e ortaggi e aziende alimentari, che utilizzano questo calore «di scarto» invece di bruciare gas o gasolio. Persino la produzione di birra artigianale può beneficiare di questa fonte termica sostenibile!
Ma c’è dell’altro, perché questa integrazione tra energia e territorio si riflette anche sul turismo. Le zone geotermiche della cosiddetta «Valle del Diavolo», tra Larderello, Sasso Pisano e Monterotondo Marittimo, attirano ogni anno migliaia di visitatori. Musei, percorsi guidati e la possibilità di osservare da vicino fenomeni naturali e impianti di produzione, rendono il distretto un caso unico al mondo, dove la tecnologia convive con una geografia dominata da vapori e sorgenti naturali che affascinano da secoli viaggiatori e studiosi, creandoun’offerta turistica che vive grazie alla sinergia tra Enel, soggetti istituzionali, imprese, tessuto associativo e consorzi turistici.
Così, oltre un secolo dopo le prime lampadine illuminate dal vapore di Larderello, la geotermia continua ad essere una storia italiana che unisce ingegneria e paesaggio, sostenibilità e comunità. Una storia che prosegue guardando al futuro della transizione energetica, con una risorsa che scorre sotto ai nostri piedi e che il Paese ha imparato per primo a trasformare in energia e opportunità.
Continua a leggereRiduci
Ecco #DimmiLaVerità del 18 dicembre 2025. Con il nostro Stefano Piazza facciamo il punto sul terrorismo islamico dopo la strage in Australia.
A Bruxelles c’è nervosismo: l’Italia ha smesso di dire sempre sì. Su Ucraina, fondi russi e accordo Mercosur, Roma alza la voce e rimette al centro interessi nazionali, imprese e agricoltori. Mentre l’UE spinge, l’Italia frena e negozia. Risultato? L’Italia è tornata a contare. E in Europa se ne sono accorti.