2020-09-06
«Chi usa i miei capi non li indossa ma li interpreta»
Stefania Sandrelli (Ansa)
Lo stilista Martino Midali ha ingaggiato come testimonial Stefania Sandrelli: «Ho lanciato l'elastico in vita e il cotone che non si restringe».«Piacere, mi chiamo Maria e vesto da 20 anni Martino Midali. Non sapevo che faccia avesse e sono felice di conoscerla oggi. Complimenti! Immagino che l'armonia irregolare dei suoi vestiti appartenga anche alla sua vita. Mi piacerebbe tanto leggere di lei in un libro: penso che dovrebbe scrivere la sua biografia…». L'affezionata cliente ha dato il la e Martino Midali, stilista sulla scena dal 1980, in quel momento ha deciso di aprire il baule dei ricordi e di mettere nero su bianco la sua storia. Ne è nato La stoffa della mia vita. Un intreccio di trama e ordito (Cairo editore), libro scritto con la giornalista Cinzia Alibrandi. La sua storia da dove parte?«Da un paesino del lodigiano, Mignete. Fin da ragazzo, a 15 anni, avevo le idee ben chiare su quello che avrei voluto fare da grande. Quindi guardai subito avanti, prima a Lodi e poi a Milano, che stava sempre più diventando il centro della moda. Capivo che bisognava fare il gran salto». Quindi la moda è sempre stata la sua passione.«Esotericamente parlando, la moda è un dono che mi è arrivato dal cielo. Allora non c'era la figura dello stilista. Ero un creativo in ogni ambito. Andavo dallo straccivendolo e da quelle grosse balle tiravo fuori di tutto e partiva la mia fantasia. Mettevo insieme cose che davo alle mie amiche. Ero sempre stato attirato dai figli dei fiori anche se, nato nel 1952, facevo parte della generazione successiva. Amavo Jack Kerouac, la sua filosofia della strada. Mi sentivo partecipe del cambiamento della società». Da lì a creare un'azienda ce ne passa...«Certo, ma da una cosa ne nascono mille. Decisi di fare magliette pop art ispirato da Andy Warhol e quello fu l'inizio. In più consigliavo le mie amiche, antesignano del personal shopper, e mi creai un mio giro. Di radical chic. Così nasce il mondo Midali, quando mi sono innamorato del jersey». Di radical chic ce n'erano allora e non mancano adesso.«Le mie donne sono sempre state delle radical chic, che prima di mettere in evidenza il loro corpo volevano mettere in risalto la loro intelligenza. Le mie grandi amiche sono state queste. Persone che non volevano complimenti fisici ma dei rapporti alla pari tra uomo e donna. Ci sono anche oggi e si esprimono nel loro lavoro portato al massimo successo. È stata la rivoluzione della donna. Negli anni Ottanta le donne avevano bisogno di dimostrare di saper comandare. Mi chiedevano abiti che le proteggessero. “Altrimenti perdo forza come capo", mi dicevano». Non trova che il trend sia cambiato e la donna sia più libera di vestirsi?«Oggi le figlie di quelle donne vogliono esaltare la loro femminilità. Magari non capiscono il lavoro di emancipazione che hanno fatto le loro mamme. In diverse c'è ancora una parte di essenzialità che la mamma ha trasmesso. Le donne nate negli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta hanno un'emancipazione mentale estremamente forte. Le figlie hanno ora una sicurezza acquisita e pensano che esaltare il corpo non metta in pericolo la loro intellettualità. Chi mette in evidenza le forme non è più una stupida. Quando ho presentato il libro a Roma una giornalista mi ha ringraziato dicendomi che la mia moda l'aveva salvata da tante situazioni imbarazzanti mettendola alla pari di un uomo». Come definisce la sua moda? Trasversale, democratica?«Posso vestire 10.000 donne e sarebbero tutte diverse una dall'altra. Se vuole indossare una one size e stringerla vicino al corpo è lei che lo decide a suo piacere, io do una forma. Mi innamorai del jersey proprio per questo così come del taffetà, tessuti che ognuna adatta su sé stessa. Non è il mio abito a vestire le donne, ma sono le donne a vestire il mio abito. Le donne che vestono Midali non indossano un mio capo, bensì lo interpretano».Lei ha rivoluzionato certi concetti del vestire.«Ho creato l'elasticizzato inserendo l'elastomero nel jersey, ho messo l'elastico in vita facendo così capire che una donna può vivere una vita più comoda e più semplice. E poi il cotone che non si restringe nel lavaggio, anche quella una conquista. I miei capi sono dei progetti, l'abito a uovo ci “stanchiamo" produrlo. Il mio credo è suggerire un gusto, una filosofia, senza imporre dei canoni».La Midali srl ha chiuso il 2019 a 19 milioni di euro di fatturato, in leggera diminuzione sul 2018 (ma era a 15,3 milioni nel 2017). Il gruppo distribuisce e commercializza più di 300.000 capi l'anno, conta circa 200 dipendenti e 55 negozi in Italia. Come vanno ora le cose dopo il lockdown? «Alla riapertura mi aspettavo una situazione molto difficile. Devo dire però che nonostante all'interno dei negozi si riesca a lasciare lo spazio solo per una o due persone, lavorare in questo modo è diventato anche piacevole. Le mie clienti sono per oltre il 90% italiane, manca però l'afflusso dei turisti stranieri come arabi, americani, russi e questo si sente in particolare in città come Milano e Roma. Ma penso anche a Ortigia dove il pubblico che segue il teatro greco veste Martino Midali». E le vendite online?«A oggi il fatturato gennaio-agosto 2020 ha raggiunto quello dell'intero 2019. Facendo il confronto sul primo semestre, il fatturato è cresciuto del 40%. Da un'analisi approfondita l'indice che ha portato migliori risultati è senza dubbio quello della conversione agli acquisti, aumentato del 30%. Con un nuovo format online, Midali tous les jours, ogni mattina alle 10.30 diamo appuntamento sulle nostre pagine social per una diretta con le nostre venditrici che “escono" dai negozi per arrivare a casa delle clienti. Trasformano così lo showroom in passerella e diventano protagoniste loro stesse, indossando e raccontando la collezione primavera/estate. La donna Midali è abituata a entrare nei negozi ed essere coccolata. Il lockdown ha creato un warm up dei rapporti negozio-venditrice-cliente. Abbiamo sempre anticipato i desideri delle donne e oggi, con l'emergenza, abbiamo inventato un nuovo modo di comunicare. Uno storytelling per coinvolgere il pubblico a casa ma anche per formare il personale in negozio». È iniziata una collaborazione con Stefania Sandrelli.«Siamo legati da più di 20 anni. È una donna che racchiude un'esistenza, che ha rappresentato un amore, donna single, madre, nonna e la vedi in tante fasi della sua esistenza, mi piace tantissimo sentirla parlare e discutere con lei. Donna ironica anche nelle cose importanti. La vesto da anni ma solo ora, in questo momento cosi difficile, mi sono permesso di domandarle di poter “usare" la sua immagine che volevo adattare alle donne di tutte le età. In questi scatti volevo rappresentare la forza di una donna». Pensa che riusciremo a uscire da questo momento drammatico?«Non voglio fare discorsi politici, ma vorrei suggerire a chi ci governa di avere l'umiltà di farsi aiutare dai bravi imprenditori che sanno come salvare i posti di lavoro, e da chi sa fare economia per salvare tutti i settori dell'Italia. Non metto in dubbio che ci siano politici bravissimi, però se mettessi loro in mano le chiavi della mia azienda dopo tre mesi chiuderebbe perché non hanno la minima preparazione per affrontare i problemi davanti ai quali ci troviamo».
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