2020-11-25
Chi osa desiderare lo svago è un peccatore
Il governo non si limita a negare le vacanze, bensì punta il dito: bramare un abbraccio o una cena con i propri familiari è da egoisti e irresponsabili. Così, oltre al danno per i lavoratori costretti alla serrata, torna l'odiosa concezione della malattia come colpa.Sulle piste da sci non si può rimettere piede, dice il governo. E anche i cenoni, scordateveli. La «socialità» tipica delle feste? Non pensateci nemmeno. Niente «vacanze indiscriminate», tuona Giuseppe Conte. La sola idea degli impianti sciistici aperti, ringhia Andrea Orlando del Pd, è «irricevibile». Di riaprire le scuole si può discutere. Ma il desiderio impuro di sorridere, di festeggiare, di trascorrere qualche momento di serenità è da mettere al bando: «Con questo numero di morti non si può parlare di vacanze di Natale», è il memento mori del ministro Francesco Boccia. Il punto è, aggiunge il presidente del Consiglio, che «non si può ripetere l'effetto Ferragosto». Scendere dal cucuzzolo, insomma, è da irresponsabili, esattamente come lo fu andare a ballare in discoteca.È molto difficile non avvertire in tutte queste dichiarazioni una sfumatura che va oltre il dato scientifico, supera i numeri dei contagi e scavalca il ragionamenti sui (fantomatici) ristori per entrare in un terreno molto più scivoloso: quello dell'etica. Il governo non si limita a comunicare che non è possibile gestire in sicurezza le piste (affermazione per altro molto discutibile). Ci sta dicendo che andare a sciare «è male». È da egoisti, da cicale che non pensano alle conseguenze delle proprie azioni. In questo quadro, chi insiste a chiedere riaperture è colpevole, corrotto. Perché, in qualche modo, insegue la vanità del mondo. Ecco il messaggio: «È difficile, per lo sciatore, entrare nel regno dei cieli». E lo è pure per l'incauto ballerino, per il giovinastro esuberante, per l'instancabile frequentatore della «movida» e per tutti gli altri empi in circolazione.«Chi non ama la semplicità esteriore mostra di non avere forma e natura di cristiano», scriveva Girolamo Savonarola. I giallorossi parafrasano appena, con l'indice puntato: i peccatori che bramano discese libere, zabaione caldo e cenoni saranno rosolati al fuoco dell'inferno. C'è solo un problema: qui non parliamo di guadagnarsi il paradiso scegliendo in povertà di spirito la via del Signore. I nostri predicatori al potere non ci promettono, in cambio del retto comportamento, il ritorno all'Eden, bensì una improbabile immunità della carne dal virus feroce. Come ha notato ieri in uno splendido articolo il filosofo Giorgio Agamben, «vi è certamente in questo, come in ogni oscuro presentimento, un elemento religioso. La salute si è sostituita alla salvezza, la vita biologica ha preso il posto della vita eterna». Vita biologica, appunto, cioè mera sopravvivenza: questo è il fine. Per quale motivo non dovremmo desiderare una cena in famiglia, un abbraccio o persino un fulmineo passaggio sulle nevi? Anche tutte queste attività concorrono a creare una esistenza vera e piena. Ballare, correre, sciare, festeggiare insieme ci rendono uomini, cioè animali sociali e non individui i quali - come macchine con scarsa obsolescenza programmata - non abbiano che da produrre, consumare e crepare. In questo quadro suonano decisamente ipocriti gli inviti di Conte a trascorrere un «Natale sobrio», come se appunto si trattasse di concentrarsi sullo spirito invece che sulla materia. Infatti Giuseppi, a Otto e mezzo, ci ha tenuto a far sapere di essere disposto a «garantire la tradizione a me molto cara dello scambio di doni, quindi lo shopping». Già: l'unica scintilla vitale che vi è concessa va esaurita nell'acquisto, ma che sia il più rapido e meccanico possibile, in modo da limitare le interazioni sociali (cioè l'umanità). Fra un po' ci diranno di andare a far la spesa con espressione contrita, pensando ai morti e fustigandoci per addomesticare le membra, in piena ascesi neoliberista. Nel fuoco dell'esaltazione puritana, tuttavia, il governo trascura alcuni passaggi fondamentali. A partire dal fatto che tra la scuola in presenza - attività sacrosanta che andrebbe ripresa al più presto - e lo sci in libertà le differenze non sono poi così marcate.Si tende a dimenticare che lo svago e la socialità e il maledetto «divertimento» sono soltanto metà della torta. L'altra metà è fatta di persone che lavorano e che traggono sostentamento dagli impianti sciistici, dai cenoni, dai giocattoli, dagli addobbi, dai caffè in compagnia e perfino dai vestiti che nelle zone rosse è vietato acquistare, poiché sono stati giudicati «superflui» dai padri pellegrini che affollano Palazzo Chigi. Non si tratta, dunque, di difendere certi stantii rituali del consumo, ma di tutelare il lavoro - che è cosa nobile e santa - e di garantire non soltanto la sopravvivenza, ma una vita dignitosa agli italiani, che ne hanno diritto. Di questo si dovrebbe occupare l'esecutivo: di fornire poche e semplici regole che tutti possano rispettare onde salvaguardare al contempo il benessere fisico e quello economico. Però non lo fa. Anzi mette salute e lavoro in contrapposizione, riproponendo un antichissimo conflitto tra spirito e corpo che persino le più rigide tradizioni religiose sembrano aver superato. Ci viene detto che dobbiamo mortificarci per ottenere la salvezza, e si ripristina così un'odiosa concezione della malattia come colpa. Susan Sontag, scrittrice progressista tra le più venerate, alla fine degli anni Settanta pubblicò un saggio intitolato Malattia come metafora, che è appena stato ripubblicato dall'editore Nottetempo. Forse nei palazzi romani a qualcuno farebbe bene sfogliarlo, specie a quanti si dicono «di sinistra». La Sontag spiega che, nel XIX secolo, si riteneva la malattia essere corrispondente «al carattere del malato, come la pena corrisponde al peccatore». Secondo tale visione, la guarigione «dipende dalla volontà sana che “riveste poteri dittatoriali per domare le potenze ribelli" della volontà malata». Bene, siamo tornati a quel punto. Al «rovesciamento sul malato dell'onere della malattia». Alla convinzione che espiando potremo allontanare la collera divina. Se rimarremo puri, il male se ne andrà. Peccato che nel seno della tanto celebrata «Madre Natura» ci siano anche la malattia, il dolore, la sofferenza, il pericolo. Il sogno del «rischio zero» non solo è irrealistico, ma non dipende nemmeno dalla nostra volontà. Dipende invece da noi - dal governo, nello specifico- prendere decisioni semplici e se possibile sensate. Faccia allora il suo mestiere: ci consenta di vivere e lavorare. Di salvarci l'anima si occuperanno altri: a dispetto delle sue convinzioni, Conte non è seduto alla destra del Padre.
«Pluribus» (Apple Tv+)
In Pluribus, da venerdì 7 novembre su Apple Tv+, Vince Gilligan racconta un mondo contagiato da un virus che cancella le emozioni e il conflitto. Un’apocalisse lucida e inquieta, dove l’unica immune difende il diritto alla complessità umana.