2020-07-22
Che brutto firmare libri dietro un plexiglas
Comiche disavventure di uno scrittore costretto a presentare i suoi testi tra mille direttive anti Covid. C'è chi impone di autografare ciclostili per tenere distanziati i lettori, mentre un sacco di gente resta chiusa fuori da saloni mezzi vuoti. Impossibile non ribellarsi.«E poi le diamo i fogli ciclostilati». I fogli ciclostilati? «Sì, per firmare le copie». Rimango un po' perplesso. Non sentivo parlare di ciclostile dai tempi dell'oratorio quando facevo il giornalino della parrocchia a casa del don. Perché dovrei firmare dei fogli ciclostilati anziché direttamente le copie ( del libro? «Ovvio: perché c'è il Covid». E il ciclostile ha il potere di respingere il virus? «Certo che no». Dunque? «Dunque il protocollo prevede la firma dei fogli ciclostilati così la gente non si avvicina a lei». Stupendo. Mi spiega come funziona? «Semplice: noi le prepariamo un pila di fogli ciclostilati. Lei li firma…». Io li firmo… «E noi li consegniamo al lettore». Il quale lettore resta distante. «Molto. Lei non lo vede nemmeno». Mi sembra un'idea meravigliosa. Manca solo un particolare: il ciclostile, anziché consegnarlo a mano, non potreste lanciarlo con una cerbottana? O con una balestra? Così il distanziamento sociale sarebbe rispettato ancora meglio…Quando gli straordinari organizzatori della serata di Caorle (Venezia) mi hanno proposto il «sistema ciclostile» per il classico firmacopie alla fine della presentazione del mio libro Sciacalli, mi sono ribellato. Già qualche sera prima, a San Benedetto del Tronto, a un certo punto ero insorto: mi arrivavano i libri con un bigliettino. Su ogni bigliettino il nome a cui fare la dedica. «Patrizia». «Fabrizio». «Roberta». «Ma come faccio a fare la dedica a un pezzo di carta?», ho protestato. Per me, infatti, il momento finale degli incontri in piazza è sempre il più bello. I lettori si avvicinano, ognuno di loro ha un pensiero, un sentimento, un'idea, un suggerimento, un incoraggiamento, una foto da scattare. In ogni caso, di norma, ci si guarda negli occhi, si ha un contatto umano. Si sente la temperatura del Paese. Adesso invece si sente solo la temperatura corporea, come da protocollo anti Covid. Poi si resta lontani. E si è costretti a fare dediche alla cieca a Patrizia, Fabrizio e Roberta senza nemmeno sapere chi diavolo si nasconda dietro quei nomi. Se sono padri o madri di famiglia, anziani o ragazzini, nonni con i loro nipoti o coppie di giovani spensierati in vacanza. Senza ricevere da loro un cenno o un sorriso. Così a San Benedetto, lo confesso, mi sono ribellato. E ho infranto il protocollo. «Non posso stabilire un contatto umano con dei bigliettini», mi sono lamentato. E ce l'ho fatta: dopo varie consultazioni e non senza prima aver chiesto il via libera alla polizia, gli organizzatori hanno acconsentito a fare avvicinare un po' i lettori. Distanti sempre un paio di metri. Ma almeno a portata di vista. «Chi è Patrizia?». E ha alzato la mano una giovane studentessa. «Chi è Fabrizio?». E ha alzato la mano un pensionato. Un gesto da lontano e una parola gridata non sono un granché, ma in ogni caso sempre meglio del nulla. O del ciclostile. In ogni caso ho evitato anche quello. A Caorle, infatti, efficienti come sono, appena hanno capito la mia perplessità, hanno organizzato un sistema alternativo. In pochi minuti è arrivata una barriera in plexiglas. Roba da far felice Lucia Azzolina. Non a caso uno dei primi che si è presentato è stato un ragazzo che aveva un imbuto giallo, come quello che il ministro della istruzione voleva riempire. «Me lo fai qui l'autografo per favore?», mi ha chiesto. L'ho fatto. Abbiamo riso da una parte all'altra del plexiglas. Con il ciclostile sarebbe stato difficile.Che ci volete fare? È dura la vita di chi vuol presentare i libri sulle piazze ai tempi del coronavirus. Per me quello delle presentazioni è sempre stato un momento magico. A volte dico che il vero motivo per cui scrivo i libri è poter andare a parlarne in giro per l'Italia: un modo per conoscere sempre meglio questo Paese, che non si smette mai di scoprire, e per sentire da vicino l'umore della gente. Ma quest'anno il «da vicino» è tutto relativo. All'Aquila l'altra sera gli organizzatori hanno preso la sala più grande che c'era in città, ma secondo protocollo i posti sono stati ridotti di oltre la metà. Risultato: oltre 50 persone in coda fuori. Per due ore. Hanno aspettato diligentemente in piedi la fine dell'incontro. Mi sono sentito male per loro. Pensavo: già è strano che la gente vada ad ascoltare le presentazioni di un libro, ancora più è strano che venga ad ascoltare la presentazione di un mio libro che non fa sognare ma arrabbiare, oltretutto con l'aggravante di dover sopportare pure la mia voce che è più fastidiosa degli scandali che denuncio. Ma stare due ore in piedi? Fuori dalla porta? Mentre dentro c'è più di mezza sala vuota che non si può riempire? A me pare una tortura medioevale.Eppure le norme dei protocolli coronavirus sono inflessibili. Uno degli organizzatori mi ha spiegato che per poter dare il via libera all'evento ha dovuto firmare una serie di papiri, impegnandosi e prendendosi responsabilità come se stesse facendo un'operazione a cuore aperto. Funziona così. Magari nelle spiagge e nei bar della movida si chiude un occhio, ma per gli eventi culturali le regole sono inflessibili: tutti con la mascherina, vietato stare in piedi, obbligatorio prenotarsi dando nome, cognome, numero di telefono e se si è in più di due persone, rapporto di parentela. «Siete congiunti? Potete sedere di fianco. Altrimenti no». A San Benedetto del Tronto eravamo sulla passeggiata a mare: ma se qualcuno si fermava veniva subito allontanato dal servizio d'ordine formato gestapo. «Vogliamo solo ascoltare». Non si può. Anzi raus. E per fare le domande al relatore? C'era un microfono piantato nel mezzo dello spazio, ma chi parlava era obbligato a tenere su la mascherina. «Scusi, non ho capito. Che cosa sta dicendo? Può ripetere? Me lo dica ancora. Non sento…». Qualcuno a un certo punto ha proposto la lingua dei segni, come alle conferenze stampa di Angelo Borrelli (a proposito: è ancora vivo?). A vigilare sul rispetto delle norme c'erano tre poliziotti. Molti simpatici, ci hanno accompagnato anche a incontro terminato, quando siamo andati a prenderci una birra al chiosco: volevano evitare assembramenti pure attorno alla media chiara? Non sarà il problema principale dell'estate 2020, lo capisco. Ma dà il senso dell'assurdità di questo tempo: nel Paese che già legge poco e male, presentare un libro è diventata un'operazione spericolata. E organizzare una presentazione di libro addirittura una follia. Molti, infatti, ci hanno rinunciato. E chi non l'ha fatto si deve attrezzare. Arrangiandosi come può. L'altro giorno ero a Fiume Veneto, vicino a Pordenone. «Con il firmacopie come facciamo?», mi hanno chiesto. Gli ho raccontato della soluzione del plexiglas adottata a Caorle. «Bella idea, lo facciamo anche noi». Poi mentre ero lì, a firmare le copie dietro il plexiglas, tutto orgoglioso di aver dato la soluzione giusta, mi si presenta una persona senza il libro in mano ma con un tono di rimprovero. «Sono la farmacista del paese». Ho detto qualcosa di sbagliato sulle medicine? «No. Ma questo plexiglas è mio». Come è suo? «Gli organizzatori l'hanno rubato dal mio negozio». Siamo scoppiati a ridere. Ai tempi del coronavirus, in ogni caso, meglio violare i comandamenti che i protocolli…