
I numeri ufficiali del disastro di venerdì: la forzatura di Maurizio Landini ha svelato che non ha più seguito nella sanità, nei trasporti e nella scuola. Il sindacato perde credibilità: resta il massimalismo politico in vista delle Europee.Piazza piena, ma fabbriche (e non solo) al lavoro. Venerdì sera, al termine della giornata dello sciopero, quello delle polemiche tra Landini e Salvini, della Cgil che accusa il Garante di essere politicizzato e del governo che svela le mire dell’ex Fiom pronto a lanciare un’Opa sul Pd, questa era stata la sintesi di molti. Al di là del gioco delle parti, infatti, non si può non evidenziare che le percentuali di adesione alla linea dura lanciata dalla Cgil sono risibili (soprattutto nel pubblico impiego), e che alla fine nella maggior parte dei casi la giornata degli italiani è scivolata via (merito della precettazione) senza colpo ferire. Mai come in questo caso, infatti, i numeri (della presidenza del Consiglio) lasciano poco spazio alle interpretazioni. Prendiamo la sanità, settore chiave per la tenuta del Paese e anche per numero di dipendenti pubblici. Venerdì hanno partecipato allo sciopero poco meno di 7.000 persone che rappresentano il 2,7% delle 306.602 che erano in servizio in giornata. Tanto per capire di cosa stiamo parlando: c’erano anche 52.709 lavoratori assenti per altri motivi (malattie, ferie, permessi eccetera). Insomma, c’erano più malati che scioperanti. Vediamo l’istruzione e la ricerca. Qui i numeri crescono, la percentuale addirittura raddoppia al 6%, ma il discorso non si sposta di un centimetro. Adesioni insignificanti pure nei trasporti: il ministero stima la partecipazione al 5% in Rfi (Rete ferroviaria italiana) e sotto il 16% per quanto riguarda il personale sui treni regionali. E allora hai voglia a mandare in loop le immagini di piazza del Popolo che pullula di bandiere rosse (ci mancherebbe che in una giornata «pompata ad arte» contro il governo, quello spazio non si riempisse), ma il punto è che le fabbriche a quell’appello non hanno risposto. Numeri a parte, se vogliamo il fallimento più fragoroso dello sciopero fortemente voluto da Landini e Bombardieri è politico. Cosa hanno ottenuto? Dopo una mobilitazione così «strombazzata» che ha avuto un’incredibile eco mediatica grazie alle polemiche con Salvini e il Garante, cosa si ritrovano in mano? Neanche uno straccio di convocazione, non diciamo una chiamata della presidenza del Consiglio, ma almeno una parola di un ministro. Nulla. E pensare che si tratta dell’extrema ratio. Cgil e Uil si sono giocati un’arma che dovrebbe essere usata con parsimonia per non depotenziarla, ma già prima che la manovra fosse annunciata lo sciopero era praticamente sicuro. Uno sciopero a prescindere che paradossalmente ha ottenuto come risultato quello di aver rafforzato il ruolo della Cisl, rimasto l’unico interlocutore sociale del governo. E infatti i risultati si vedono. La Cisl, per intenderci, sta spingendo perché i tagli previsti in manovra sulle pensioni dei lavoratori degli enti locali, dei sanitari, degli insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate, degli ufficiali, aiutanti e coadiutori giudiziari, vengano eliminati, e tutte le dichiarazioni dei rappresentanti del governo nelle ultime settimane sono andate in quella direzione. Ci sarà un maxi-emendamento del governo di simile orientamento. Per l’entità della rimodulazione tutto dipenderà dalla risorse, ma la linea è quella. Così come non è impossibile che si apra una discussione anche sulle rivalutazioni degli assegni previdenziali. Morale della favola: Landini e Bombardieri che hanno scelto la linea «barricadera» sulla manovra resteranno con le pive nel sacco, mentre Sbarra potrà rivendicare dei risultati. E qui torniamo a bomba: cosa farà adesso la Cgil? La strada è tracciata, e dopo il flop dello sciopero la situazione non potrà che peggiorare. Il cronoprogramma prevede altre mobilitazioni territoriali. Tanto per dare un’idea: neanche il tempo di tirare il fiato nel fine settimana e si riparte. Il 20 novembre a scioperare sarà la Sicilia: alla manifestazione di Siracusa interverrà il leader della Uil Pierpaolo Bombardieri, mentre la Sardegna sciopererà lunedì 27. Questa volta toccherà a Maurizio Landini prendersi la scena e chiudere la manifestazione a Cagliari.In una logica dell’alternanza tuttta politica poi sarà il turno delle regioni del Nord. Dove c’è più trippa per gatti, e infatti a Torino le conclusioni saranno affidate al segretario della Cgil, mentre a Brescia si esibirà il leader della Uil. Infine, venerdì 1 dicembre: dovrebbero incrociare le braccia i lavoratori del Sud. E lo schema sarà lo stesso. La città più grande, Napoli, che assicurerà il proscenio più luccicante, andrà all’ex numero uno della Fiom, mentre a Bari chiuderà la manifestazione Bombardieri. Una mobilitazione continua che darà «ai nostri» qualche altro spunto per prendersi le prime pagine dei giornali e i primi titoli dei tg. E lancerà ancor di più Landini nel ruolo di primo oppositore del governo. Una lunga cavalcata politica che avrà un punto di svolta obbligato nelle Europee di giugno. Se, come probabile, la Schlein dovesse fallire, il leader della Cgil diventerà un candidato naturale per prendere il suo posto. Dando finalmente un senso anche allo sciopero di venerdì.
Leone XIV (Ansa)
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