2021-07-20
        Cambi di casacca e sgarbi, caos centrodestra
    
 
Per Giorgia Meloni: «Occhiuto scelto con regole saltate». E accusa: «Qualcuno lavora ad altre alleanze». Lucio Malan lascia Fi per Fdi. Niente anticiclone delle Azzorre, per il centrodestra sarà un'estate di perturbazioni. Ormai se ne sono convinti tutti e affrontano le turbolenze con stile opposto: Giorgia Meloni attaccando, Matteo Salvini rassicurando, Silvio Berlusconi stando in silenzio. La presidente di Fratelli d'Italia lancia una provocazione che suona come un allarme: «Credo nel centrodestra, ma quello che voglio capire è se ci credono anche gli altri». Sono le stesse parole usate da Daniela Santanchè alla presentazione di Luca Bernardo a Milano, mentre infuriava la polemica della sedia vuota di Giorgia. Ma poiché le frasi sibilline non bastano, ecco due siluri di fatto: lo sbarco di Lucio Malan in Fdi e la brusca frenata sul candidato comune in Calabria, Roberto Occhiuto.L'ingresso del numero due di Forza Italia al Senato (era il vice di Anna Maria Bernini) è un colpo grosso. Malan era con Berlusconi dal 1996, uno dei colonnelli di mille campagne. Piemontese, difensore della famiglia e delle tradizioni, in trincea in questi mesi contro il ddl Zan (uno dei primi a coglierne gli aspetti liberticidi), ha attraversato il fiume. «Non mi sento più di sostenere con il mio voto questo governo», ha spiegato. «Di recente ho dato voto di dissenso o non voto, ma c'è troppo poco cambiamento rispetto al governo Conte 2 su una serie di temi, ad esempio sulla questione dell'assegno per i figli. Con Fdi mi trovo a mio agio anche in chiave europea; sono orgoglioso di entrare a far parte di questa famiglia». Sottolinea l'aspetto internazionale dentro i Conservatori e Riformisti, perché il Ppe in questa fase è percepito come un elefante al traino della volpe progressista. «È impossibile difendere le proprie idee stando in maggioranza con una sinistra arrogante. Tanti si sentono a disagio nel centrodestra e noi siamo in grado di attrarre la migliore classe dirigente», insiste la Meloni e dipinge scenari di altri passaggi settembrini sull'onda dei sondaggi. Da Forza Italia si prova a minimizzare ma la delusione è palpabile. «Forse voleva fare il ministro, forse temeva per la rielezione e ha trovato casa altrove», si sussurra. La Meloni è impietosa: «Non avrebbe avuto problemi a essere rieletto ma ha voluto far valere la coerenza delle sue convinzioni». Si intuisce che è il giorno degli sgambetti quando aggiunge: «La candidatura di Roberto Occhiuto alla presidenza della Calabria è frutto di una delle regole che sono saltate, quindi va fatta una nuova valutazione. Non facciamo scelte di partito che vengano prima del bene dei cittadini». Per poi concludere: «Chiediamo rispetto per la nostra storia, per il lavoro e per le regole che tengono insieme gli alleati».È la seconda grana del giorno: in Calabria il centrodestra aveva trovato un equilibrio sottile con il ticket Occhiuto-Nino Spirlì (Forza Italia-Lega) nonostante Fratelli d'Italia abbia un consistente bacino di voti, ma il siluro meloniano rimette tutto in gioco. Si riapre un cantiere, se ne chiude un altro. In questo caso Bologna, dove l'imprenditore Fabio Battistini ha avuto il via libera da tutte le anime del centrodestra per diventare il candidato unico contro il burocrate imposto dal Nazareno Matteo Lepore, già assessore del capoluogo emiliano. Come a Roma e a Milano, anche a Bologna il designato aveva dovuto alzare la voce contro l'indecisionismo: «Questo modo di fare è una vera e propria mancanza di rispetto a tutti i cittadini di Bologna e non solo agli elettori di centrodestra. Bologna che vale meno di uno scranno nel cda Rai. Non meritiamo questa offesa». Il problema sembra risolto. Ma nessuna comunicazione congiunta, non è il momento. Anche perché, sotto le Due Torri, Forza Italia avrebbe voluto candidare il senatore azzurro Andrea Cangini, stoppato da Salvini. «Abbiamo fatto la scelta di non candidare parlamentari nelle città che vanno al voto, per allargare: a Torino un imprenditore, a Napoli un magistrato, a Roma un avvocato, a Milano un medico e a Bologna ci starebbe bene un imprenditore». Così sarà. E a chi gli chiede dei temporali in atto sotto il cielo di Giorgia Meloni risponde: «Per la Lega la squadra e l'unità del centrodestra vengono prima di tutto». In Fratelli d'Italia da qualche tempo tendono a non crederci. Un po' per alzare la posta sul potere decisionale nella coalizione, un po' per riscuotere ancora di più il dividendo dell'opposizione. Ma soprattutto perché serpeggia un timore profondo, esplicitato da Guido Crosetto, uno dei fondatori, fra i (pochi) consiglieri ascoltati da lady Giorgia: «Qualcuno si è messo in testa di trovare strade alternative alla coalizione. Qualcuno nella Lega reputa di poter costruire una nuova maggioranza senza Fdi. C'è una parte di Fi, quella piddina, che non vuole più stare con il centrodestra». Parole che in serata Giorgia Meloni farà sue. È il timore dell'isolamento stile Marine Le Pen, con Lega e Forza Italia attratte a tal punto da Mario Draghi, da immaginarlo non solo al Quirinale, ma in caso di bocciatura addirittura prossimo candidato premier di una coalizione di conservatori centristi, antitetici all'agghiacciante luna park arcobaleno di Pd, 5 stelle più Roberto Speranza. Uno scenario da warning per la Meloni, che ha deciso di cavalcare il caso Rai per mandare un messaggio all'uranio. In realtà nessun alleato avrebbe votato Giampaolo Rossi dopo tre anni di valzer trasversale e la leader di Fdi lo sapeva. I partiti litigano, gli elettori no: gli ultimi sondaggi danno la coalizione oltre il 50%. Forse per questo Giancarlo Giorgetti è ottimista: «Dopo la tempesta arriva il sereno». Ma senza l'anticiclone, come dicono dalle sue parti, düra minga.
        Ursula von der Leyen (Getty Images)
    
        Edmondo Cirielli (Imagoeconomica)
    
        Il palazzo dove ha sede Fratelli d'Italia a Parma
    
        Marcello Degni. Nel riquadro, Valeria Franchi (Imagoeconomica)